CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2018, n. 4155
Tributi – Dichiarazione dei redditi – Consolidato fiscale nazionale – Regime di tassazione – Compensazione
Fatti di causa
Con istanza del 22.7.2008 la H.I. s.p.a. chiedeva all’Agenzia delle Entrate il rimborso di crediti di imposta Irap e Iva rispettivamente per euro 7.853,00 ed euro 9.445,00.
Spiegava nella istanza che, operando nel settore della produzione e distribuzione di vernici e materiali per la stampa, aveva acquisito quote pari al 100% della società P.C. s.r.l., che già operava come rivenditore dei prodotti H. nella Lombardia, e, nell’anno 2005, aveva optato con tale società per la applicazione del regime di tassazione del “consolidato fiscale nazionale” di cui agli artt. 117 e seguenti del Testo Unico delle imposte dirette, rispettivamente nella qualità di “consolidante” (H.I. s.p.a.) e di “consolidata” (P.C. s.r.l.); nell’anno di imposta 2005 in regime di consolidato la P.C. s.r.l. aveva trasferito al consolidato nazionale crediti fiscali diversi da Ires, nello specifico crediti Irap e Iva, ma sia nell’anno 2005 sia nel 2006, a causa di flessioni di mercato e in conseguenza di oneri aggiuntivi dovuti ad una ristrutturazione interna della H.I. s.p.a., il consolidato “H.-P.C.” non aveva determinato somme dovute a titolo di Ires, sicché i crediti trasferiti dalla consolidata non erano stati utilizzati ai fini della compensazione con i debiti Ires ed erano stati “riportati a nuovo” nella dichiarazione del consolidato del 2005 e nella dichiarazione dell’anno successivo (2006).
Nel dicembre del 2005 la P.C. s.r.l. era stata posta in liquidazione e in data 22.12.2006, a seguito di approvazione del piano di riparto, era stata cancellata dal registro delle imprese; la estinzione della società aveva determinato la interruzione anticipata dell’opzione di consolidato.
La H.I. s.p.a., non potendo richiedere il rimborso dei crediti con la dichiarazione CNM 2007 per l’anno di imposta 2006, poiché la stessa dichiarazione non presentava un quadro analogo a quello RX, presentava istanza di rimborso dei crediti per le eccedenze Irap e Iva, già provenienti dalla consolidata P.C. s.r.l., che erano state annotate in bilancio ed evidenziate nella dichiarazione dei redditi.
L’Agenzia delle Entrate rigettava l’istanza presentata dalla H.I. s.p.a. motivando che “i crediti Irap e Iva non potevano essere trasferiti al consolidato né per il 2005 né per il 2006 in quanto non trovavano compensazione con i debiti Ires della consolidata”.
Contro il provvedimento di diniego di rimborso la H.I. s.p.a. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale, lamentando la errata e falsa applicazione dell’art. 124 del Testo Unico delle Imposte dirette e dell’art. 7 del d.m. 9 giugno 2004 in materia di consolidato fiscale, nonché la illegittimità del provvedimento di diniego per violazione del principio costituzionale di capacità contributiva e dell’art. 10 dello Statuto del contribuente; evidenziava, pure, che la Agenzia delle Entrate non aveva tenuto conto del fatto che, essendo la istante titolare del 100% delle quote della cessata P.C. s.r.l., era succeduta nelle residue posizioni attive e passive della predetta ed era conseguentemente legittimata a pretendere il rimborso.
La Agenzia delle Entrate si opponeva all’annullamento del provvedimento di diniego, ribadendo che, ai sensi dell’art. 7 del d.m. 9.6.2004, il trasferimento di crediti di imposta diversi dall’Ires era consentito ai soli fini della compensazione con debiti relativi all’Ires, sicché la H.I. s.p.a. non era legittimata a far valere la pretesa azionata, che spettava eventualmente al liquidatore della P.C. s.r.l.; aggiungeva che, laddove si fosse ritenuta la legittimazione della H.I. s.p.a. per il fatto che essa deteneva il 100% delle quote della P.C. s.r.l., si sarebbero ampliati il petitum e la causa petendi, atteso che il giudizio aveva per oggetto solo la impugnazione del provvedimento di diniego.
La Commissione Tributaria provinciale, con sentenza n. 19 del 29.1.10, accoglieva il ricorso.
Avverso la suddetta sentenza proponeva appello la Agenzia delle Entrate dinanzi alla Commissione Tributaria regionale.
All’accoglimento dell’appello si opponeva la H.I. s.p.a., la quale chiedeva la conferma della sentenza impugnata.
La C.T.R. respingeva l’appello.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione per tre motivi e la H.I. s.p.a. resiste con controricorso.
La H.I. s.p.a. ha depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. In via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di sinteticità sollevata in udienza dal Pubblico Ministero, il quale ha rilevato che il ricorso è stato compilato con la tecnica del “conglomerato”, cioè con la riproduzione, senza alcuna selezione specifica dei contenuti rilevanti, di diversi documenti contenuti nel fascicolo di merito.
1.1. La eccezione è infondata.
1.2. Come statuito da questa Corte, la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi “assemblati” o “farciti” o “sandwich”, che implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, in assenza di selezione sintetica dei loro contenuti, non soddisfa la richiesta di concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo ed impedisce di cogliere le problematiche della vicenda, comportando “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso (Cass. n. 18363 del 18/9/2015).
Nella specie, tuttavia, i documenti riprodotti nel corpo del ricorso sono facilmente individuabili e separabili dal restante contenuto del ricorso, che è pertanto riconducibile a dimensioni e contenuti rispettosi del canone di sinteticità previsto per il giudizio per cassazione, ed i motivi risultano adeguatamente formulati mediante la chiara enunciazione delle censure proposte (Cass. n. 12641 del 19/5/2017).
2. Con il primo motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate ha eccepito la violazione e falsa applicazione dell’art. 124 del d.P.R. n. 917 del 1986 e dell’art. 7, lett. b), del d.m. del Ministero dell’Economia e delle finanze del 9 giugno 2004, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
Al riguardo ha sottolineato che il trasferimento alla consolidante delle eccedenze di imposta diverse da Irpeg e da Ires e dei crediti di imposta è consentita ai soli fini della compensazione con l’Ires del gruppo e per la parte non eventualmente utilizzata dalle singole società per l’assolvimento di altri tributi e che l’ammontare massimo di crediti trasferibili al consolidato – sulla base della normativa richiamata dall’art. 7 lett. b) del d.m. 9 giugno 2004 – è soggetto ad un duplice limite: 1) non possono essere attribuiti crediti di imposta di importo superiore all’Ires risultante, a titolo di saldo o di acconto, dalla dichiarazione dei redditi del consolidato, sicché i crediti che eccedono tale imposta rimangono di esclusiva spettanza della consolidante 2) con riguardo ai tributi e contributi indicati nell’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997 n. 241, non possono essere trasferiti crediti di imposta di importo superiore ad euro 516.456,90.
Ha quindi dedotto che la cessione delle eccedenze di imposta e dei crediti di imposta diversi da Irpeg ed Ires, sulla base di quanto emerge dalla lettura dell’art. 7 lett. b) del d.m. 9 giugno 2004, risulta legittima soltanto se è finalizzata alla compensazione con l’imposta sul reddito delle società dovuta dalla consolidante, con la conseguenza che, laddove quest’ultima imposta non sia in concreto dovuta, i crediti di imposta non possono essere in alcun modo ceduti.
La Agenzia delle Entrate ha posto in evidenza che nel caso di specie si deve necessariamente procedere ad una lettura congiunta dell’art. 124, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 e dell’art. 7 lett. b) del d.m. 9 giugno 2004, atteso che quest’ultima norma individua il presupposto giuridico che deve sussistere affinché le “eccedenze riportate a nuovo” possano rimanere nella esclusiva disponibilità dell’ente consolidante, con la conseguenza che la sentenza impugnata sarebbe stata emessa in violazione delle norme sopra richiamate, avendo il giudice di appello ritenuto che non sussisterebbero limiti alla cessione dei crediti dalla “consolidata” alla “consolidante”.
2.1. Il motivo è infondato.
Il d.m. 9 giugno 2004, recante disposizioni applicative del regime di tassazione del consolidato nazionale, di cui agli artt. da 117 a 128 del testo unico delle imposte sui redditi, prevede all’art. 7 lett. b) che <ciascun soggetto può cedere, ai fini della compensazione con l’imposta sul reddito della società dovuta dalla consolidante, i crediti utilizzati in compensazione ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997 n. 241, nel limite previsto dall’art. 25 di tale decreto per l’importo non utilizzato dal medesimo soggetto, nonché le eccedenze di imposta ricevute ai sensi dell’art. 43 ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602>.
Tale disposizione applicativa non può apportare limitazioni alla applicazione del principio contenuto nell’art. 124, quarto comma, del Testo Unico delle imposte dirette, che, disciplinando la diversa ipotesi della interruzione della tassazione di gruppo prima del compimento del triennio, prevede che <<le perdite fiscali risultanti dalla dichiarazione di cui all’art. 122, i crediti chiesti a rimborso e, salvo quanto previsto dal comma 3, le eccedenze riportate a nuovo permangono nella esclusiva disponibilità della società o ente controllante>>.
Nel caso in esame non è in discussione che la tassazione di gruppo sia stata interrotta anticipatamente, ossia prima della scadenza del triennio, in conseguenza della messa in liquidazione della società controllata e del suo successivo scioglimento e che le eccedenze di imposta siano state “riportate a nuovo” nella dichiarazione dei redditi del 2005 e nella dichiarazione dell’anno successivo; conseguentemente, risulta evidente che si è verificata proprio l’ipotesi disciplinata dal richiamato art. 124, quarto comma, del Testo unico delle imposte dirette, il quale espressamente stabilisce che le eccedenze ed i crediti “riportati a nuovo” rimangono nella esclusiva disponibilità della controllante.
Non è dunque ravvisabile il vizio di violazione di legge denunciato dalla Agenzia delle Entrate, se si considera che l’art. 7 del d.m. 9 giugno 2004 disciplina gli effetti dell’opzione per la tassazione di gruppo durante il triennio di durata dell’opzione, stabilendo che, in vigenza del consolidato, la cessione dei crediti diversi dall’Ires da parte della società “consolidata” possa avvenire ai soli fini della compensazione con la imposta sui redditi delle società del gruppo, mentre l’art. 124 del t.u.i.r., che disciplina la distinta ipotesi della interruzione anticipata del consolidato prima del triennio di scadenza, introduce il diverso principio della esclusiva disponibilità in capo alla società controllante delle eccedenze di imposta riportate a nuovo nell’ambito della tassazione di gruppo quando questa si sia anticipatamente interrotta.
3. Con il secondo motivo di ricorso è stata eccepita la violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., nonché la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.”.
La Agenzia delle Entrate, con un unico motivo comprensivo di diverse censure, ha dedotto a) un “difetto di titolarità” della H.I. s.p.a. ad agire per il rimborso dei crediti Irap e Iva 2005 maturati in capo alla P.C. s.r.l. e trasferiti al gruppo consolidato b) un vizio di “ultrapetizione” della sentenza impugnata circa la spettanza dei crediti Irap ed Iva 2005 in favore della P.C. s.r.l., in assenza di domanda c) un vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui riconosce la sussistenza dei crediti di imposta Irap ed Iva 2005 a favore della P.C. s.r.l..
3.1. Il motivo di censura, nella parte in cui si assume il difetto di titolarità in capo alla H.I. s.p.a. ad ottenere il rimborso di crediti Irap ed Iva 2005 maturati a favore della P.C. s.r.l., è infondato, dovendo ribadirsi che la legittimazione della H.I. s.p.a. a pretendere il rimborso discende proprio dal regime del cd. “consolidato nazionale”, ed in particolare dalla disposizione speciale di cui all’art. 124, 4° comma, del t.u.i.r., essendosi nella fattispecie in esame verificata una interruzione del regime di tassazione prima del compimento del triennio, per effetto della quale alla società controllante va riconosciuta la disponibilità esclusiva delle eccedenze “riportate a nuovo” risultanti dalla dichiarazione dei redditi del consolidato.
Peraltro, anche qualora si volesse prescindere dalla applicazione della disciplina del cd. “consolidato nazionale”, la titolarità della H.I. s.p.a. ad agire per il rimborso dei crediti di imposta deriva comunque dal fatto che essa, quale socio unico (controllante al 100%) della estinta P.C. s.r.l., è subentrata nei rapporti attivi e passivi della società estinta non definiti al momento della cancellazione della società controllata.
Questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che <<dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo>> (Cass. Sez. U. n. 6070 del 12/03/2013).
In sostanza, il fenomeno successorio dei soci opera anche nei rapporti attivi, non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale.
Né è ipotizzabile, come sostenuto dalla Agenzia delle Entrate, la rimborsabilità dei crediti in esame solo a favore della cancellata P.C. s.r.l., che dovrebbero, a tal fine, formare oggetto di una autonoma istanza di rimborso da parte di quest’ultima, dovendosi escludere la legittimazione ad agire in capo al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, poiché l’effetto estintivo derivato da tale cancellazione determina il venir meno del potere di rappresentanza dell’ente estinto in capo al liquidatore (Cass. n. 11100 del 05/05/2017).
3.2. Neppure è ravvisabile un vizio di “ultrapetizione” della sentenza impugnata, in quanto l’accertamento della esistenza del credito e del suo ammontare ha costituito oggetto delle domande ed eccezioni fatte valere dalle parti sin dal giudizio di primo grado.
A tale proposito occorre considerare che la H.I. s.p.a. nel giudizio dinanzi alla C.T.P. ha impugnato il provvedimento di diniego contestando la motivazione addotta dalla Agenzia delle Entrate secondo cui i crediti Irap e Iva del 2005 non potevano considerarsi trasferiti al gruppo consolidato ed ha sottolineato la correttezza della quantificazione delle somme richieste a rimborso, in quanto risultanti da dichiarazioni regolarmente presentate, già assoggettate alla procedura di liquidazione ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/73, senza che fossero state comunicate irregolarità riguardanti i crediti.
A fronte di tali difese l’Agenzia delle Entrate, già nel giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale, ha insistito, in via principale, per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento di diniego del rimborso per insussistenza dei presupposti legittimanti la cessione dei crediti dalla “controllata” alla “controllante”, anche qualora fossero stati trasferiti al di fuori del consolidato fiscale, ed ha contestato, seppure in modo generico, la quantificazione del rimborso richiesto, tanto che, in via subordinata, nella ipotesi di mancato accoglimento della richiesta avanzata in via principale, ha chiesto di <<procedere alla rideterminazione e regolamentazione del rapporto tributario sulla base degli elementi forniti dalle parti>>.
Nel giudizio di appello, inoltre, la Agenzia delle Entrate, eccependo che il giudice di primo grado aveva deciso oltre i limiti della domanda, ha argomentato che l’oggetto del giudizio di primo grado atteneva esclusivamente alla legittimità del provvedimento impugnato e non anche alla sussistenza dei crediti nella disponibilità della “consolidata” e che in ogni caso non aveva mai riconosciuto la rimborsabilità dei crediti Irap e Iva in capo alla “consolidata” P.C. s.r.l., essendosi limitata ad affermare che la H.I. s.p.a. non aveva titolo per avanzare istanza di rimborso, dato che i crediti, per le modalità con cui erano stati ceduti, non rientravano nella sua disponibilità. Ha quindi dedotto che il giudice di primo grado aveva omesso di indagare sullo svolgimento dei prescritti controlli formali e sostanziali che legittimavano l’erogazione del rimborso di un credito di imposta in favore di una società estinta e che aveva conseguentemente statuito in merito alla rimborsabilità del credito in capo alla consolidata P.C. s.r.l., in assenza di domanda, violando in tal modo la disposizione di cui all’art. 112 cod. proc. civ..
La H.I. s.p.a. costituendosi nel giudizio di secondo grado ha ribadito che l’Agenzia delle Entrate aveva negato il rimborso dei crediti per il fatto che essi non erano stati utilizzati in compensazione, ma che non aveva mai sollevato contestazioni riguardo alla esistenza dei crediti.
Le deduzioni difensive svolte dalle parti evidenziano che il Giudice di appello, esaminando i motivi di impugnazione, si è pronunciato esclusivamente sulle domande ed eccezioni proposte, non travalicando i limiti imposti dall’art. 112 cod. proc. civ., avendo la stessa Agenzia delle Entrate sollevato in primo grado contestazioni in merito alla esistenza del credito ed alla sua quantificazione.
3.3. Neppure risulta fondata la ulteriore censura di vizio della motivazione della sentenza impugnata, perché la ricorrente non articola in concreto un vizio di insufficienza della motivazione, ma contesta nel merito le ragioni che la Commissione Tributaria regionale ha posto a sostegno della decisione di rigetto dell’appello.
Infatti, la C.T.R., rispondendo sulle contestazioni sollevate dalla Agenzia delle Entrate in merito alla sussistenza dei crediti di imposta oggetto della istanza di rimborso, ha ritenuto che la prova di detti crediti possa desumersi sia dalle evidenze documentali risultanti dalla dichiarazioni dei redditi, sia dalla assenza di contestazioni in sede di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973; ha inoltre motivato che il provvedimento di diniego del rimborso, in quanto ancorato al mancato riconoscimento della legittimazione della parte richiedente, contiene l’implicito riconoscimento del credito in capo alla P.C. s.r.l.
La motivazione resa dalla C.T.R. risulta congrua ed esaustiva, in quanto esplicita le ragioni logico giuridiche poste a fondamento della decisione, sicché non è consentita in sede di legittimità una rivalutazione nel merito degli elementi di prova già esaminati dal Giudice di appello.
Per costante orientamento di questa Corte, infatti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 19547 del 04/08/2017).
4. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza per omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546/92 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ..
A supporto di tale motivo la Agenzia delle Entrate ha eccepito che la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente o comunque inadeguata in ordine alla eccezione formulata riguardante i termini di decadenza entro cui deve essere avanzata l’istanza di restituzione del credito Iva non richiesto con la procedura odinaria (Modello VR) ed ha inoltre dedotto che la sentenza, riconoscendo in capo alla “consolidata” P.C. s.r.l. il credito Iva e la sua rimborsabilità, ha violato la norma di cui all’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 che, introducendo un rimborso “anomalo” dei crediti Iva, prevede come limite il termine decadenziale di due anni dalla presentazione dell’ultima dichiarazione per l’inoltro della istanza di rimborso.
4.1. Il motivo è infondato nella parte in cui si lamenta un preteso vizio di motivazione, in quanto la C.T.R., pronunciandosi sulla eccezione, ha negato la decadenza dal diritto al rimborso, motivando sul punto <<Quanto infine all’eccezione di prescrizione dell’istanza di rimborso Introdotta in appello, la stessa è destitutita di fondamento, essendo stata inoltrata tempestivamente la richiesta, come evidenziato dall’appellata nel proprio atto di costituzione in giudizio>>.
4.2. Il motivo è pure infondato nella parte in cui si lamenta la violazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 546/92, in quanto in tema di Iva, la domanda di rimborso relativa all’eccedenza di imposta risultata alla cessazione dell’attività di impresa è regolata dall’art. 30, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con la conseguenza che è esaustiva la manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso, ancorché non accompagnata dalla presentazione del modello ministeriale “VR”, che costituisce, ai sensi dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, solo un presupposto per l’esigibilità del credito, ed è soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale, e non a quello di decadenza biennale, ex art. 21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, applicabile solo in via sussidiaria e residuale (Cass. n. 9941 del 15/05/2015, Cass. n. 4559 del 22.2.17, Cass. n. 4786 del 24.2.2017).
La infondatezza dei motivi di ricorso impone il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che si liquidano in euro 2.500,00, oltre al rimborso forfettario delle spese.
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