CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2018, n. 4216
Socio lavoratore cooperativa – Differenze retributive a vario titolo – Quota sociale di adesione – Violazione del principio di autosufficienza del ricorso
Fatti di causa
1. M.P., soda lavoratrice della Cooperativa Sociale S. ONLUS adì il Tribunale di Oristano per chiedere la Condanna della società al pagamento in suo favore della somma di € 8.994,95 per differenze retributive a vario titolo maturate in relazione all’ attività prestata come socia lavoratrice dal 21 aprile 2004 al 30 aprile 2005. La Cooperativa Sociale S. ONLUS si costituì per resistere alla domanda e chiese in via riconvenzionale la condanna della P. al pagamento della somma di € 2.000,00 a titolo di quota sociale di adesione ancora da versare in esito alla rateizzazione dell’importo originario di € 3000,00. Il Tribunale adito rigettò la domanda della P. ed accolse la domanda riconvenzionale della convenuta. La Corte di appello di Cagliari, investita del gravame da parte della P., ha confermato la sentenza di primo grado.
2. La Corte di merito ha accertato che le censure mosse nell’appello alla sentenza investivano solo alcune voci tra quelle contenute nel ricorso introduttivo del giudizio (restituzione delle trattenute in conto anticipi, omessa retribuzione maggio 2005 e domanda riconvenzionale della cooperativa) e che, pertanto, per il resto la sentenza fosse passata in giudicato. Ha escluso che le somme trattenute per far fronte a gravi difficoltà finanziarie della cooperativa, in esecuzione delle delibere assembleari del 29 dicembre 2003 e del 28 ottobre 2004, potessero essere recuperate non essendo ancora intervenuta la delibera che ne autorizzava la restituzione e perdurando lo stato di difficoltà finanziaria. Quanto al compenso per l’attività prestata in regime di collaborazione a progetto nel periodo 2 maggio 11 giugno 2005 ha accertato che l’importo corrisposto di € 550,00 era addirittura superiore rispetto a quello effettivamente concordato (€ 458,33). Con riguardo, infine, alle somme chieste dalla Cooperativa per quote sociali ha rilevato che era risultato provato che l’importo per l’adesione era di € 3.000,00 e che ne erano stati versati solo € 1000,00 sicché del tutto correttamente era stata accolta la domanda proposta in via riconvenzionale.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre M.P. con un unico motivo cui resiste con controricorso la Cooperativa Sociale Serena ONLUS a r.l.. In data 22 settembre 2017 si sono costituiti i nuovi difensori della ricorrente ai quali con procura notarile ritualmente depositata era stato affidato il mandato, revocato ai precedenti patrocinatori. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
4. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 4.
4.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di appello, contraddittoriamente, avrebbe dato atto che era stato chiesto il pagamento di tutte le competenze già oggetto del giudizio di primo grado e poi aveva pronunciato solo su alcuni capi della domanda ritenendo che nel resto si fosse formato il giudicato.
5. La censura è inammissibile.
5.1. Questa Corte è costante nel ritenere che ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. in relazione all’ erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 cod. proc. civ., è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito (cfr. Cass. 30/04/2010 n. 10605).
5.2. Il vizio di legittimità denunciato va accertato in relazione all’oggetto del giudizio di appello, dovendo verificarsi la corrispondenza tra il tantum devolutum ed il quantum appellatum e rendendosi, quindi, necessario, ai fini della autosufficienza del motivo, la specifica indicazione da parte della ricorrente dei motivi di gravame proposti avverso le statuizioni della sentenza di prime cure.
5.3. Né può supplirsi a tale omessa descrizione degli atti processuali sui quali la censura si fonda, attraverso l’accesso diretto al fascicolo di merito, consentito alla Corte dal tipo di vizio di legittimità denunciato. Come è stato, infatti, ripetutamente affermato da questa Corte in caso di denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, del vizio di pretesa violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., da parte del giudice di merito, per non avere pronunciato su di una censura proposta in appello, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente il ricorso, purché ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6 ed all’ art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, al fine di verificare contenuto e limiti del gravame. Pur configurando la violazione dell’ art. 112 cod. proc. civ. un “error in procedendo”, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, tuttavia il potere – dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (cfr. Cass. 17/01/2007 n. 978, Cass. s.u. 14/05/2010 n. 11730, 22/05/2012 n. 8077, Cass. 04/04/2014 n. 8008 e 02/12/2014 n. 25482 oltre che recentemente Cass. 24/07/2015 n. 15629 in motivazione).
5.4. Nel caso in esame ciò di cui ci si duole è il preteso omesso esame delle censure alla sentenza di primo grado. Si afferma infatti che in appello era stato devoluto l’esame con riguardo a tutte le voci retributive di cui era stato chiesto il pagamento in primo grado. Era necessario pertanto che la ricorrente riportasse nel ricorso per cassazione le censure formulate in appello, non essendo a tal fine sufficiente trascrivere le conclusioni di quel ricorso atteso che la domanda formulata in primo grado e rigettata dal Tribunale aveva ad oggetto voci retributive suscettibili di diversa valutazione in relazione alle allegazioni ed alle prove offerte in giudizio. La P. aveva infatti chiesto il pagamento di somme in relazione a trattenute operate in anticipo conto spese (€ 4260,24), lavoro straordinario (€ 2.171,24), festività (€ 426,53), festività soppresse (€ 156,53), ferie (€ 504,57), permessi non goduti (€ 161,14), retribuzione del mese di maggio 2005 (€ 1.314,11) e la Corte territoriale ha accertato che le censure investivano la sentenza solo con riguardo alla mancata restituzione delle trattenute operate ed al mancato pagamento della retribuzione del mese di maggio 2005 oltre che l’accoglimento della domanda riconvenzionale della cooperativa. In tale situazione la ricorrente era, perciò, tenuta a precisare, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare sin dalla lettura del ricorso i termini della censura formulata nel ricorso, in che termini la censura in appello era stata proposta riportandone, seppure per estratto e con rinvio agli atti depositati, il contenuto.
6. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente soccombente e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge.
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