CORTE DI CASSAZIONE- Sentenza 22 dicembre 2017, n. 30806
Tributi – IVA – Operazioni esenti – Compravendita immobiliare ex art.10, n. 8-bis) del DPR n. 633 del 1972 – Requisiti – Prevalente svolgimento di attività di rivendita immobiliare da parte del cedente
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate contestava alla I. Srl, esercente attività di gestione di immobili, di aver svolto per l’anno 2004 principalmente attività di rivendita di immobili, sicché le cessioni operate erano soggette ad Iva in applicazione dell’art. 10, n. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972 e provvedeva alla relativa rettifica.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, confermando la sentenza della CTP di Milano, riteneva illegittimo l’atto di accertamento poiché gli immobili provenivano da conferimento e non da precedente acquisto, sicché le cessioni non potevano considerarsi rivendite ma mere smobilizzazioni del patrimonio, inidonee ad escludere l’applicazione dell’esenzione.
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale con un unico articolato motivo.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2342, terzo comma, e 2254 c.c., nonché dell’art. 10, n. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972 per aver escluso che le cessioni effettuate dalla contribuente nel 2004 potessero considerarsi rivendite, tanto più che i conferimenti in natura costituiscono forme di acquisto analoghe a quelle realizzate mediante compravendita.
2. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2423, secondo comma, 2427, primo comma, nn. 1 e 2, 2425, par. A n. 2, c.c., nonché dell’art. 10, n. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972, per aver ritenuto che l’inclusione degli immobili conferiti tra le rimanenze fosse errata ed inidonea a dimostrare che l’attività prevalente della società fosse intesa alla vendita dei propri immobili. Censura, inoltre, omessa o insufficiente motivazione in ordine alla qualificazione dell’attività della società.
3. La I. SrL, a sua volta, con un unico articolato motivodenuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 56, d.P.R. n. 633 del 1972, per aver la CTR rigettato l’eccezione di nullità dell’accertamento dell’Agenzia per difetto di motivazione, nonché, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione del n. 21, tabella A, parte seconda, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, per aver ritenuto l’errore sulla determinazione dell’imposta dovuta causa non di annullamento dell’intero accertamento ma del solo maggior importo non dovuto, censura che reitera, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa motivazione.
4. I motivi di ricorso, da esaminare unitariamente in quanto strettamente connessi, sono fondati nei termini che seguono.
4.1. L’art. 10, n. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo vigente ratione temporis, prevede che “Sono esenti da imposta … 8 bis) le cessioni di fabbricati, o di porzioni di fabbricato, a destinazione abitativa, effettuate da soggetti diversi dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, ovvero dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni”.
4.2. Orbene, va escluso, in primo luogo, che il termine “rivendita” vada inteso come delimitato strettamente alle ipotesi in cui gli immobili ceduti siano solo quelli precedentemente acquistati.
La ratio della disposizione agevolatrice, infatti, assolve (trovando il proprio riferimento nei principi di cui agli artt. 2 e 42 Cost.) a finalità sociali, correlate al godimento delle case di abitazione, e, dunque, non allo svolgimento di attività di natura commerciale.
Ciò emerge chiaramente, del resto, in relazione alle tre ipotesi di esclusione del riconoscimento del beneficio, ossia le imprese di costruzione, quelle esecutrici di lavori di manutenzione straordinaria, restauro o ristrutturazione, nonché di quelle che svolgono una attività di intermediazione (che sia caratterizzata da prevalenza) nel mercato delle vendite immobiliari.
Ne deriva, pertanto, che non assumono rilievo le modalità di acquisizione del bene poi rivenduto, essendo invece necessaria solamente la verifica dell’attività in concreto esercitata.
4.3. Nel caso in esame, inoltre, è incontestato che il patrimonio immobiliare in questione trae origine dal conferimento effettuato da un socio, la Banca Popolare di N., ossia da una ipotesi – sul piano economico e giuridico – assimilabile ad una vendita, giusta il disposto di cui agli artt. 2342, terzo comma, e 2254 c.c. (secondo cui “per le cose conferite in proprietà la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita”).
4.4. Assume rilievo dirimente, dunque, la verifica sull’oggetto dell’attività esercitata dall’impresa, ossia se “la rivendita” sia connotata dal requisito della prevalenza.
4.5. Orbene, secondo la più recente giurisprudenza della Corte, tale indagine non può essere delimitata ai soli aspetti formali, sicché, non è risolutiva l’eventuale espressa previsione (o la mancanza di una previsione) negli atti societari della rivendita di immobili come oggetto esclusivo o principale, ma è, invece, necessario verificare in concreto quale sia stata l’attività dell’impresa e se essa fosse diretta prevalentemente all’effettuazione delle predette cessioni (v. Cass. n. 17783 del 2017).
Tali connotazioni formali, invero, non sono prive di ogni rilevanza poiché, a fronte di una connotazione in fatto non univoca, possono assurgere ad elementi utili per la complessiva valutazione spettante al giudice di merito.
4.6. Analoga considerazione vale quanto alla qualificazione degli immobili effettuata con il bilancio, ricondotti, nella specie, alle rimanenze e dunque, quali beni destinati alla vendita e non come immobilizzazioni. Giova sottolineare sul punto che tale indicazione è stata apoditticamente qualificata dalla CTR come erronea, senza ulteriori specificazioni, valutazione che, peraltro, appare conseguente all’asserita irrilevanza delle operazioni di cessione in quanto precedute da un conferimento.
4.7. Va dunque affermato che “ai fini della valutazione del requisito della prevalenza di cui all’art. 10, n. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972, le indicazioni (o la loro mancanza) contenute negli atti statutari ovvero nelle scritture contabili e nei bilanci possono costituire solo elementi utili per la complessiva valutazione, spettante al giudice di merito, dell’attività svolta, di cui è necessaria la concreta verifica tenuto conto, in particolare, del numero e del complesso delle operazioni svolte, delle risorse dell’impresa, nonché del fatturato rispettivamente maturato per i diversi ambiti di attività”, tutti elementi – introdotti dall’Agenzia già con l’avviso di accertamento e ribaditi nel giudizio – su cui la CTR ha taciuto, astenendosi dal prendere su di essi ogni opportuna determinazione, così venendo meno all’obbligo di motivare il proprio convincimento in maniera lineare e coerente ed esponendo perciò la decisione da essa adottata ad un vulnus motivazionale che ne giustifica la cassazione.
5. Con riguardo ai motivi fatti valere con il ricorso incidentale, sostanzialmente riconducibili a due profili, la prima doglianza (vizio di motivazione dell’avviso di accertamento) è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente incidentale riprodotto né l’avviso di accertamento, né, soprattutto, il pvc, nel quale, come rilevato dalla CTR, “trovano evidenza i motivi e le circostanze che hanno condotto all’accertamento della maggiore imposta”.
Questa Corte, infatti, ha precisato a più riprese (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 2928 del 2015), che a seguito della novellazione dell’art. 366 c.p.c., ad opera dell’art. 5 della I. n. 40 del 2006, che ha aggiunto ai precedenti il n. 6, in forza del quale “il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità … la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, codificando in tal modo il principio di autosufficienza, il ricorso deve contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito.
5.1. Il secondo gruppo di doglianze, attinenti all’incidenza dell’eventuale errore sulla determinazione dell’imposta dovuta, sono parimenti infondate: la CTR, infatti, ha statuito sull’eccezione affermando che tale errore non costituisce, in ipotesi, ragione di annullamento dell’intero accertamento ma solo della maggiore misura indebitamente richiesta, in coerenza con il principio secondo il quale “ove il giudice tributario ravvisi la parziale infondatezza della pretesa fiscale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo che la rappresenta, ma è tenuto a quantificare la corretta pretesa dell’Amministrazione” (Cass. n. 25317 del 28/11/2014).
6. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, innanzi alla CTR competente in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.
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