CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2018, n. 4337
Informatore scientifico – Contratto di collaborazione – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato
Svolgimento del processo
Con ricorso in data 19 dicembre 2012 A. S.p.A. appellava la sentenza pronunciata dal giudice del lavoro di Milano, che in parziale accoglimento della domanda proposta da B.M., informatore scientifico in forza di un contratto di collaborazione, stipulato il 25 giugno 2004 e cessato il 30-04-2007, nonché di un contratto di collaborazione professionale ex articolo 2222 c.c., stipulato il 4 maggio 2007 (previa definizione del primo rapporto mediante verbale di conciliazione), aveva accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti dal 4 maggio 2007, con mansioni riconducibili alla categoria B, 1° livello del C.C.N.L. chimici aziende industriali, nonché l’illegittimità del licenziamento (recesso privo di motivazione) in data 26 luglio 2010, per l’effetto condannando la società convenuta alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché al risarcimento del danno ed a quant’altro dovuto ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (ovviamente in base al testo ratione temporis all’epoca vigente), ritenuta la natura subordinata del dedotto rapporto contrattuale, contrariamente a quanto stipulato per iscritto.
La Corte di Appello di Milano con sentenza n. 272 in data 12 marzo / 28 maggio 2015, in riforma dell’impugnata pronuncia, rigettava le domande proposte dal B., condannato altresì alla restituzione di ciò che egli aveva percepito in esecuzione della gravata sentenza; spese di lite per entrambi i gradi di giudizio per intero compensate.
Quanto alla qualificazione del rapporto, la Corte territoriale richiamava un suo analogo precedente (sent. n. 814/14, che aveva confermato giudice del lavoro Milano n. 4824/11), concludendo, quindi, nel senso che le parti non avrebbero potuto che stipulare un rapporto di lavoro subordinato ovvero un rapporto di lavoro a progetto, secondo la disciplina di cui al citato articolo 61 del decreto legislativo 276/03. Circa le conseguenze relative all’assenza di un progetto, tale difetto comportava l’applicazione dell’articolo 69 del decreto legislativo n. 276, in forza del quale i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’articolo 61 comma 1 sono considerati di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto, norma integrante però soltanto una presunzione semplice, quanto alla prevista subordinazione, essendo consentito al committente di dimostrare che, nonostante l’assenza di un progetto o programma di lavoro, il rapporto tra le parti sia caratterizzato da autonomia. Peraltro, anche in base alla tesi della presunzione di juris tantum, a fronte della contemporanea scelta legislativa del numero chiuso di fattispecie di collaborazione coordinata e continuativa – proseguiva nel suo ragionamento la Corte milanese – la prova contraria dovrebbe dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo ex articolo 2222 c.c., privo dei requisiti di coordinamento di continuità, al quale sarebbero applicabili non già le disposizioni di cui agli articoli 61 e ss. Dl.vo n. 276/03, ma le norme del codice civile con evidente compressione della tutela del prestatore a tutto vantaggio del committente, che risulterebbe persino avvantaggiato dal fatto di non avere predisposto un progetto programma di lavoro.
Nel caso in esame, ad avviso della Corte territoriale, l’istruttoria svolta, contrariamente a quanto affermato dal primo giudicante, aveva dimostrato la sussistenza del rapporto di lavoro con i connotati di autonomia richiesti dal citato articolo 2222, tenuto conto delle dichiarazioni rese dallo stesso appellato in primo grado nel corso di due udienze, laddove era stata ammessa la libertà di determinare il proprio orario di lavoro, ciò che aveva trovato conferma comunque durante l’istruttoria espletata con le acquisite citate testimonianze. Fermo restando, quindi, gli obblighi di cui al decreto legislativo numero 219 del 2006, recante disciplina dei requisiti e dell’attività degli informatori scientifici, era emerso che il ricorrente aveva autonomia nel decidere gli orari e giorni delle visite da effettuare ai medici (l’unico vincolo consisteva nell’effettuare un determinato numero di visite), riceveva sì dall’azienda un elenco dei medici da visitare, ma ciò non comportava alcun vincolo, potendo egli anche decidere di non visitarli, utilizzava la propria autovettura senza ottenimento dei rimborsi spese e non vi era alcun controllo pregnante sull’attività giornaliera espletata. Pertanto, ad avviso della Corte territoriale, non sussisteva subordinazione nel rapporto di lavoro intercorso tra il B. e la società, con conseguente rigetto di tutte le domande e condanna del soccombente alla restituzione di quanto già percepito sia a titolo di risarcimento del danno, sia a titolo di opzione ex citato articolo 18 comma 5°.
Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il dottor M. B. con atto in data 27 novembre 3 dicembre 2015 affidato a tre motivi, cui ha resistito A. S.p.a. mediante controricorso in data 11 / 12 gennaio 2016, in seguito illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato violazione – falsa applicazione degli artt. 122 e 126 del dl.vo n. 219/2006, dell’art. 61, comma 1, del dl.vo n. 276/2003, nonché degli artt. 2222 e 2230 c.c. in relazione alla natura continuativa e coordinata della prestazione lavorativa fornita dal ricorrente, tenuto conto di tutto quanto osservato nella premessa nella sentenza impugnata, in base alla disciplina dettata in materia dal dl.vo n. 276 per il lavoro a progetto, nei limiti ivi rigorosamente fissati, sicché non sarebbe ipotizzabile un contratto, autonomo, di opera professionale ex citati artt. 2222/2230 c.c., invece ritenuto in concreto dalla Corte distrettuale stante l’accertata autonomia dell’attività svolta dal B..
Con il secondo motivo è stata lamentata la <<violazione – falsa applicazione dell’art. 69 dl.vo n. 276/2003 in relazione alla natura (pretesamente relativa) della presunzione dettata da tale norma (art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.)>>. In sintesi, il ricorrente criticato l’operazione ermeneutica condotta nella specie dalla Corte distrettuale, peraltro operata attraverso il richiamo di suoi precedenti (sentenza n. 814/14, con riferimento a fattispecie anteriore alla vigenza dell’art. 1, co. 24, L. n. 92/2012) circa la tesi della presunzione semplice derivante dalla formulazione del citato art. 69 (natura assoluta o relativa/semplice della presunzione di cui all’art. 69, comma 1, secondo il testo originariamente previsto dalla norma, quindi prima della interpretazione “autentica” da parte del legislatore del 2012).
Inoltre, con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla quotidianità della prestazione fornita – art. 360 co. I n. 5 c.p.c., tenuto conto di quanto riferito dai testi escussi: … Ove il giudice di secondo grado non avesse omesso di esaminare lo svolgimento con frequenza quotidiana della prestazione de qua, circostanza pacificamente in atti emergente, giammai avrebbe potuto concludere per la sussunzione della fattispecie concreta nello schema contrattuale della prestazione d’opera.
Inoltre, la Corte distrettuale, aveva omesso di considerare il fatto che anche dopo la sottoscrizione del secondo contratto l’attore aveva prestato la sua attività con identiche modalità concrete della precedente fase del rapporto, da giugno 2004 agli inizi di maggio 2007, come emergente dalle dichiarazioni rese dal procuratore speciale della convenuta e dalla testimone G., donde la conferma dello svolgimento giornaliero della prestazione lavorativa e della natura coordinata e continuativa della stessa dopo il 4 maggio 2007, riconducibili allo schema previsto dall’art. 409 n. 3 c.p.c., donde la loro decisività.
Tanto premesso e rilevata in primo luogo la formazione del giudicato in ordine al rigetto della domanda per quanto concerne la decorrenza del rapporto, in relazione al contratto stipulato il 25-06-2004 (visto che come si evince dalla sentenza de qua nessuna impugnazione, specialmente da parte attrice, risulta proposta in relazione alla cessazione dell’originario contratto al 30-04-2007, come da apposita conciliazione in data 4-5-2007, logico-giuridico, l’esame del secondo motivo, che giudicasi fondato alla stregua del principio di diritto, già affermato in sede di legittimità e condiviso da questo collegio, secondo cui (cfr. in part. Cass. lav. sentenza n. 17127 del 18/05 – 17/08/2016), in tema di lavoro a progetto, l’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (in senso analogo v. anche Cass. lav. n. 12820 del 21/06/2016) il regime sanzionatorio articolato dall’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto “ope legis”, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti.
V. inoltre Cass. lav. n. 16344 del 4/8/2016, secondo cui l’art. 1, comma 24, della l. n. 92 del 2012, di interpretazione autentica dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, non ha, in base ai criteri di cui all’art. 12 delle preleggi e del successivo comma 25 della norma, portata retroattiva ma, pur avendo ad oggetto l’interpretazione di una norma preesistente, dispone soltanto per fattispecie concrete ancora da realizzarsi).
Ed invero con la succitata pronuncia n. 17127/2016 veniva giudicato fondato il secondo mezzo di impugnazione, con il quale era stata denunciata la violazione dell’art. 69 d.lgs. n. 276/2003, in particolare con riferimento ai contratti proseguiti successivamente al 24 ottobre 2004 – termine entro il quale le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi del d.lgs. n. 276/2003, che non potessero essere ricondotte ad un progetto o ad una fase di esso, mantenevano una loro efficacia ai sensi dell’art. 86 comma 1, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza 5/12/2008 n. 399 – sicché il venir meno della disposizione di cui al citato art. 86, per effetto dell’intervento demolitivo ad opera del giudice delle leggi, determinava la sussistenza fra le parti di un contratto di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 69 comma 1 d.lgs. n. 276/2003, per essere stato stipulato inter partes un rapporto di collaborazione non riconducibile ad alcun progetto.
In tal sensi erano stati criticati gli approdi ai quali era pervenuta la Corte territoriale, laddove aveva ritenuto applicabile alla fattispecie una presunzione relativa e non assoluta, circa l’esistenza fra le parti di un rapporto di lavoro di natura subordinata.
Di conseguenza, Cass. lav. n. 17127/16 richiamava il testo dell’art. 61 d.lgs. n. 276/2003 (nella versione applicabile ratione temporis, anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 23, lett. 0, I. 92 del 2012 e dall’art. 124 bis della legge n. 134 del 2012 con riferimento ai call center), nonché del successivo 69, formulato sotto la rubrica “Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto”. Quindi, la surriferita pronuncia di questa Corte ha correttamente evidenziato il combinato disposto di cui agli artt. 61-69 d.lgs. cit., in coerenza con la tesi accreditata da parte ricorrente, che palesava l’intenzione del legislatore delegato di vietare, in armonia con la finalità enunciata dall’art. 4, comma 1, lett. c), nn. 1 – 6, I. n. 30/2003 (e fatte salve le specifiche eccezioni ivi previste e poi trasfuse nell’art. 61, commi 1-3, d.lgs. n. 276/2003), il ricorso a collaborazioni coordinate e continuative non riconducibili a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, allo scopo di porre un argine all’abuso della figura della collaborazione coordinata e continuativa, in considerazione della frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di rapporti di lavoro subordinato. Questo era l’intendimento, che aveva mosso il legislatore, come desumibile dalla relazione introduttiva alla legge delega n. 30/2003, la quale espressamente richiamava l’esigenza di esentare dalla disciplina generale del lavoro dipendente, solo le collaborazioni “senza vincolo di subordinazione e aventi ad oggetto un progetto o un programma di lavoro o una fase di esso”. Orbene, nello specifico, i contratti stipulati fra le parti, proseguiti oltre l’ottobre 2004 e qualificati come collaborazioni coordinate e continuative, risultavano del tutto privi di programma o progetto. Si poneva, quindi, la questione degli effetti collegati a siffatta carenza, che la Corte distrettuale aveva risolto stabilendo un principio di presunzione juris tantum in ordine alla natura subordinata del rapporto, suscettibile di esser vinta dalla prova che, pur in assenza di un valido progetto o programma, il rapporto di lavoro si era comunque svolto con modalità riconducibili a prestazioni di collaborazione autonoma di altro tipo. Ma gli approdi, cui erano pervenuti i giudici dell’impugnazione, non erano condivisibili, considerato, da un canto, che essi finivano per privare di significato il primo comma dell’art. 69, il quale introduceva una vera e propria disposizione sanzionatoria per il caso di mancata riconducibilità del rapporto coordinato e continuativo ad uno specifico progetto o programma, disponendo tout court che il rapporto “è considerato” di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’origine, tipica dei casi di c.d. “conversione” del rapporto ope legis (quali ad es. le fattispecie interpositorie o di illegittima apposizione del termine finale di durata al contratto di lavoro); dall’altro, che nell’ammettere la prova circa l’insussistenza della subordinazione presunta, si finirebbe per legittimare la perpetuazione delle collaborazioni coordinate e continuative anche in assenza di uno specifico progetto e programma, ogni qualvolta il committente riuscisse a dimostrare il carattere autonomo del rapporto contrattuale, ciò che era proprio quanto il legislatore del 2003 intendeva scongiurare. L’opzione ermeneutica seguita dalla Corte territoriale, si poneva, quindi, in evidente contrasto con la lettera della norma, la quale contemplava un meccanismo sanzionatorio di tipo automatico, senza concedere alternative; si collocava, altresì, in posizione eccentrica rispetto al complessivo assetto della nuova disciplina, ispirata ad esigenze antielusive ed antifrodatorie, compiutamente Individuate anche dalla Corte costituzionale, che con la sentenza n. 399 del 2008, pervenendo alla declaratoria di illegittimità dell’art. 86 d.lgs. n. 276/03, aveva rimarcato come la novità introdotta dagli artt. 61 e seguenti consistesse proprio nel divieto di instaurare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonome, non fossero riconducibili ad un progetto, divieto peraltro giustificato dalla contrarietà di detti rapporti alla norma imperativa in ordine all’obbligo di utilizzare il nuovo tipo legale di contratto (ex art. 1418 c.c.). Inoltre, l’anzidetta opzione interpretativa consentiva di ritenere soddisfatta anche l’esigenza di differenziare la previsione di cui al primo comma dell’art. 69 rispetto al meccanismo previsto dal comma secondo della medesima disposizione di legge, ancorché entrambe sanzionate con l’applicazione della disciplina propria dei rapporti di lavoro subordinato, trattandosi di fattispecie strutturalmente differenti, giacché nella prima rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che, in punto di fatto, rientra nello schema generale del lavoro, laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con le quali, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, venga di fatto resa la prestazione lavorativa. In definitiva, alla luce delle precedenti argomentazioni, il secondo motivo di ricorso andava accolto e la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., veniva cassata con rinvio al giudice di merito, che nel riesaminare la questione doveva attenersi al sopra già indicato principio di diritto (“L’art. 69 comma primo d.lgs. n. 276/2003 si interpreta nel senso che, allorquando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa venga instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni della autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso”).
Analoghe considerazioni, inoltre, si trovano espresse nella ordinanza n. 11429 del 22/02 – 10/05/2017 di questa Corte, con ulteriori richiami giurisprudenziali in senso conforme, laddove per di più è stato osservato come la normativa in esame non induca dubbi di legittimità costituzionale, al riguardo citando la sentenza della Consulta n. 399/2008: <<… In altri termini, la conversione del contratto di lavoro autonomo continuativo instaurato senza progetto in rapporto di lavoro subordinato è la conseguenza della valutazione legale tipica compiuta dal legislatore attraverso la previsione dell’art. 69, comma primo, d.lgs. n. 386/2003 (ndr art. 69, comma primo, d.lgs. n. 276/2003). Come è stato osservato anche in dottrina, la tecnica usata è quella della nullità del contratto, che sia stato in concreto posto in essere senza progetto (o senza un progetto specifico), accompagnata dalla c.d. conversione o trasformazione ope legis del contratto, mediante la sostituzione di diritto delle clausole invalide con la disciplina inderogabile del rapporto (c.d. nullità sanzione come conseguenza della violazione di norme imperative: cfr. art. 1419, comma 2, c.c. relativo alla conservazione del contratto affetto da nullità parziale).
Parimenti infondati appaiono i dubbi di legittimità costituzionale prospettati con riguardo alla regola della indisponibilità del tipo contrattuale che siffatta qualificazione ope legis comporterebbe, in (asserito) contrasto con i principi espressi dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 115 del 1994 e 121 del 1993: in realtà, in queste sentenze si è affermato il principio che «spetta al legislatore stabilire la qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro, pur non essendo allo stesso consentito negare la qualifica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura». L’indisponibilità del tipo contrattuale, dunque, costituisce un limite alla discrezionalità del legislatore e all’autonomia negoziale ma solo nel senso di ritenere indisponibili le tutele del rapporto di lavoro subordinato, avuto riguardo all’esigenza di «dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato»: essa dunque può operare soltanto nella direzione della indisponibilità delle tutele del lavoro subordinato e non – come sarebbe nel caso in esame – in senso inverso>>.
Pertanto, va accolto il secondo motivo di ricorso, risultando sul punto viziata da errore di diritto l’impugnata sentenza, con conseguente cassazione della stessa, donde anche il necessario rinvio della causa ex art. 384 c.p.c. alla Corte di merito per nuovo esame della controversia (ovviamente, nei limiti consentiti dalla rilevata formazione del giudicato interno, ossia con riferimento unicamente al rapporto contrattuale a decorrere dal 4 maggio 2007, perciò con esclusione di quello precedente, cessato al 30-04-2007) alla luce degli enunciati principi, qui condivisi, restando inoltre evidentemente assorbite le altre questioni di cui al primo ed al terzo motivo, siccome chiaramente subordinate alla operatività in concreto e nel caso specifico dell’art. 69 comma I del dl.vo n. 276/03, norma di legge però da interpretarsi in base alla richiamata giurisprudenza di legittimità. La stessa Corte territoriale (ma in diversa composizione) provvederà altresì al regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità.
L’accoglimento dell’impugnazione esclude, infine, la sussistenza dei presupposti di legge (art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115/2002) per poter dar atto dell’obbligo di versamento dell’ulteriore contributo unificato.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Cassa, per l’effetto, l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.