CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 gennaio 2018, n. 1496
Pensione di vecchiaia – Riliquidazione – Retribuzioni effettivamente percepite durante i periodi di lavoro in Svizzera – Revocazione solo “se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata” – Non fondata
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 14.1.2014, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la statuizione di primo grado che aveva rigettato il ricorso per revocazione proposto da E.F. e C.F. avverso le pronunce con cui il locale Tribunale aveva rigettato la loro domanda di riliquidazione della pensione di vecchiaia sulla scorta delle retribuzioni effettivamente percepite durante i periodi di lavoro effettuati in Svizzera, in luogo di quelle virtuali ricalcolate dall’INPS in rapporto alla diversa incidenza degli oneri contributivi.
La Corte, per quanto qui rileva, ha ritenuto che nessun contrasto di giudicati potesse porsi tra le sentenze in ipotesi revocande e la sentenza con cui, in data 31.5.2011, la Corte EDU aveva condannato lo Stato italiano a risarcire agli istanti i danni loro derivati dall’entrata in vigore dell’art. 1, comma 777, I. n. 296/2006, il quale, determinando l’esito del giudizio pendente nei confronti dell’INPS, aveva frustrato il loro diritto ad un equo processo, dal momento che la Corte EDU, pur riconoscendo la violazione dell’art. 6 CEDU, aveva nondimeno escluso che la disposizione di cui all’art. 1, comma 777, I. n. 296/2006, cit., avesse dato luogo ad un pregiudizio tale da colpire l’essenza del diritto a pensione, onde l’eventuale giudizio rescissorio non avrebbe potuto che concludersi con l’applicazione della disposizione ult. cit., di cui la Corte costituzionale, con sentenza n. 264 del 2012, aveva peraltro accertato la conformità a Costituzione.
Contro tale pronuncia ricorrono E.F. e C.F. con un motivo. L’INPS resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 6 e 46 CEDU, in relazione agli artt. 11 e 117 Cost., per avere la Corte di merito ritenuto che non sussistesse contrasto di giudicati tra le sentenze revocande e quella emessa dalla Corte EDU in data 31.5.2011, che aveva condannato lo Stato italiano a risarcir loro i danni derivati dall’entrata in vigore dell’art. 1, comma 777, I. n. 296/2006, il quale, determinando l’esito del giudizio pendente nei confronti dell’INPS, aveva frustrato il loro diritto ad un equo processo.
Il motivo è infondato.
Questa Corte, giudicando su fattispecie affatto analoga (e precisamente sul ricorso per revocazione della sentenza di legittimità n. 3676 del 2009, con cui era stato rigettato il ricorso per cassazione proposto da A.M. avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce che aveva ritenuto corretta la liquidazione della pensione operata nei suoi confronti dall’INPS in esito al trasferimento dei contributi dalla Svizzera), ha infatti ritenuto che non potesse darsi alcun contrasto di giudicati tra le medesime parti, poiché la sentenza n. 3676 del 2009 era stata resa tra A.M. e l’INPS, mentre la successiva sentenza della Corte EDU del 31.5.2011 era stata pronunziata fra A.M. ed altri consorti (tra cui gli odierni ricorrenti) e la Repubblica Italiana (cfr. Cass. n. 4575 del 2013).
Trattasi di principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità, in considerazione del tenore letterale dell’art. 395 n. 5 c.p.c. (che consente la revocazione solo «se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata») e dell’essere la revocazione per il motivo di cui all’art. 395 n. 5 c.p.c. un mezzo d’impugnazione di carattere straordinario, con conseguente impossibilità di estenderne l’applicazione oltre i casi e i tempi ivi considerati, in ragione del divieto di cui all’art. 14 prel. c.c. (così già Cass. n. 1957 del 1983).
Contrari argomenti, a parere del Collegio, non possono desumersi dal principio, parimenti affermato da questa Corte, secondo cui la sentenza della Corte EDU, una volta divenuta definitiva ai sensi dell’art. 44 CEDU, ha effetti precettivi immediati assimilabili al giudicato e, in quanto tale, deve essere tenuta in considerazione dall’organo dello Stato che, in ragione della sua competenza, è al momento il destinatario naturale dell’obbligo giuridico, derivante dall’art. 1 CEDU, di conformarsi e di non contraddire con la sua decisione al deliberato della Corte per la parte in cui abbia acquistato autorità di cosa giudicata in riferimento alla stessa quaestio disputanda di cui esso è chiamato ad occuparsi (Cass. n. 19985 del 2011): è decisivo al riguardo rilevare che tale principio è stato fissato con riguardo ad una fattispecie in cui la sentenza della Corte EDU, che aveva constatato la violazione dell’art. 6 CEDU e aveva accordato alla parte istante una somma a titolo di equa soddisfazione, era intervenuta mentre il giudizio civile non si era ancora definito, con conseguente inconfigurabilità in radice di alcun contrasto di giudicati. Vale piuttosto la pena di soggiungere che tale conclusione non appare allo stato sospettabile di violare il principio costituzionale di necessaria uniformazione della legge agli obblighi internazionali (art. 117, comma 1°, Cost.), avendo la Corte costituzionale recentemente precisato, sulla scorta di un arresto della stessa Corte EDU (Grande Camera, 5 febbraio 2015, Bochan c/ Ucraina), che, essendo rimessa agli Stati membri la scelta di come meglio conformarsi alle pronunce della Corte medesima, non può ascriversi all’art. 46, paragrafo 1, CEDU, una portata precettiva tale da comportare la piena assimilazione tra processi penali e processi civili, non essendo possibile stravolgere i principi della res iudicata e della certezza del contenzioso civile quando tale contenzioso concerna soggetti diversi dallo Stato che hanno preso parte al giudizio interno (cfr. Corte cost. n. 123 del 2017, che in virtù di tali considerazioni ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 c.p.c., sollevata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in relazione all’art. 117 c.p.c.).
Il ricorso, pertanto, va rigettato. La novità e complessità della vicenda relativa alla configurabilità della revocazione per contrasto con le pronunce della Corte EDU, sulla quale è da ultimo intervenuto il giudice delle leggi, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. Tenuto conto del rigetto del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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