CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 marzo 2017, n. 7272
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Falsa dichiarazione – Maggiori ricavi
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata in data 11/10/2010 la C.T.R. della Sicilia, sezione staccata di Messina, confermava la sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di rettifica con il quale l’Ufficio Iva di Messina aveva richiesto l’iva dovuta dalla contribuente A.P. per l’anno 1994, in dipendenza dell’accertamento di maggiori ricavi non contabilizzati e di imposte non detraibili per difetto di inerenza.
La C.T.P. aveva ritenuto che la percentuale media di ricarico, determinata in base alla merce maggiormente commercializzata e quindi applicata al costo del venduto, non era rappresentativa dei ricavi effettivamente realizzati, in quanto avrebbe dovuto essere rilevata con il metodo della media ponderata su tutti i generi delle merci inventariate.
I giudici di secondo grado, premesso che separato appello, relativo ad analogo avviso di accertamento emesso in relazione all’anno 1995 sulla base degli esiti della medesima verifica fiscale, era stato definito con sentenza – acquisita agli atti – n. 14/2007, depositata in data 8/3/2007, allora ancora soggetta ad impugnazione, ritenevano di poter «fondare il proprio convincimento su elementi di prova e di verità a favore del contribuente» contenuti in tale sentenza che aveva statuito «la infondatezza della illegittimità della pretesa fiscale»; ciò sull’assunto che «il giudicato, anche se non definitivo, può, se condiviso, estendersi anche alle liti relative allo stesso rapporto tributario, anche se riferite ad altre annualità».
Nel merito osservavano, conformemente alla richiamata sentenza, che «la presunzione di ricavi maggiori di quelli dichiarati non può fondarsi sul semplice raffronto tra prezzi di acquisto e di vendita di solo pochi beni» e che, pertanto, «non trattandosi di accertamenti analitici fondati, ottenuti in base ad una media ponderata delle varie percentuali di ricarico», andava affermata l’infondatezza e la illegittimità dell’avviso di rettifica.
2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di sei motivi.
L’intimata non ha svolto difese in questa sede.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. attribuito forza vincolante a quanto deciso, in grado d’appello, in separata sentenza, resa in altra controversia tra le stesse parti, relativa però ad un diverso anno d’imposta e, peraltro, non ancora definitiva, essendo stata impugnata in cassazione.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. attribuito effetto preclusivo al presunto giudicato esterno omettendo di indicare, in concreto, gli elementi costitutivi a carattere permanente dell’obbligazione tributaria che, accertati con la separata sentenza menzionata (n. 14/26/07), ciò consentirebbero in relazione a un diverso anno d’imposta.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce omessa motivazione su altro fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la commissione regionale omesso di considerare che la percentuale di ricarico presunta, pari al 17,394%, era stata espressamente accettata dalla contribuente e dal proprio figlio, in qualità di delegato, «in quanto ritenuta equa e favorevole alla ditta».
4. Con il quarto motivo la ricorrente ripropone la medesima doglianza relativa alla omessa considerazione della espressa accettazione da parte della contribuente della percentuale di ricarico calcolata dai verificatori, assumendo che la stessa integri anche violazione e/o falsa applicazione di legge e, segnatamente, dell’art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché dell’art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e degli artt. 2697 e 2735 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ..
5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, in subordine, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R., una volta ritenuta illegittima la percentuale di ricarico applicata dall’ufficio, omesso di calcolare autonomamente quella ritenuta congrua e, quindi, il presumibile maggior ricavo e le conseguenti imposte evase, venendo meno a un compito decisorio cui la stessa era tenuta quale giudice del rapporto e non solo dell’atto.
6. Con il sesto motivo la ricorrente, infine, denuncia difetto assoluto di motivazione o motivazione solo apparente su altro fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la commissione regionale confermato l’integrale annullamento dell’avviso di rettifica impugnato, senza «esternare alcuna motivazione con riguardo alle contestazioni dell’indebita detrazione dell’Iva».
7. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili, sono inammissibili per difetto di autosufficienza.
La ricorrente ha, infatti, omesso di trascrivere il contenuto del documento sul quale si fonda l’assunto che ne è posto a base (circa l’intervenuta espressa accettazione della percentuale di ricarico presunta dagli agenti verificatori), incontrando pertanto la censura la preclusione di accesso all’esame della Corte per violazione dell’art. 366, comma primo, num. 6, cod. proc. civ..
Giova qui ribadire che, secondo principio consolidato, in tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dalla citata disposizione, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario specificare, in ossequio al principio di autosufficienza, la sede in cui gli atti stessi sono rinvenibili (fascicolo d’ufficio o di parte), provvedendo anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. ex multis Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass. 09/04/2013, n. 8569).
8. Resta conseguentemente assorbito l’esame del primo e del secondo motivo di ricorso, il cui accoglimento infatti – riguardando essi distinta e autonoma ratio decidendi – non varrebbe comunque a privare di fondamento la decisione impugnata, questo rimanendo validamente costituito dalle considerazioni di merito espresse circa l’erroneità del metodo di determinazione del ricarico medio applicabile alle merci vendute.
9. Il quinto motivo di ricorso è poi inammissibile per difetto di specificità o di autosufficienza.
La ricorrente, invero, omette di indicare gli elementi che, se valutati, avrebbero consentito al giudice del merito di pervenire ad una autonoma determinazione sintetica di maggiori ricavi non dichiarati. La decisione impugnata, del resto, perviene all’annullamento della rettifica avendo – come detto – ritenuto erronea la metodologia di calcolo della percentuale di ricarico presunta a base della stessa e ciò alla stregua di una valutazione che non lascia emergere, neppure per implicito, alcun accertamento circa l’inesattezza o inattendibilità anche dei minori ricavi dichiarati dalla contribuente.
10. Va considerato inammissibile, infine, anche il sesto motivo, trattandosi di capo della sentenza di primo grado già coperto da giudicato interno; non risulta, infatti, che sul punto l’Ufficio abbia, in grado d’appello, proposto specifico motivo di gravame.
Ove peraltro ciò fosse avvenuto la mancata statuizione su di esso da parte del giudice d’appello non configurerebbe comunque vizio di motivazione ma avrebbe dovuto essere censurata, a pena di inammissibilità, quale vizio di omessa pronuncia su un motivo di appello, previa trascrizione dello stesso, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ.. (cfr. Cass. 12/12/2014, n. 26155; Cass. 31/10/2013, n. 24553).
11. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese non avendo, come detto, l’intimata, svolto difese nella presente sede.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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