CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 marzo 2017, n. 7280
Tributi – Accertamento – Cessione attività – Avviamento – Plusvalenze
Ritenuto in fatto
A seguito della cessione dell’attività da parte della P. del C. dei F. T. snc , l’Agenzia delle Entrate accertava un maggior reddito derivante da avviamento commerciale e da plusvalenza delle attrezzature vendute. Pertanto emetteva avviso di accertamento a carico della società per maggiore Irap ed a carico dei soci T. M. e T. V. per Irpef su reddito da partecipazione.
Avverso gli avvisi di accertamento la società ed i soci proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Bari che, previa riunione, li accoglieva parzialmente confermando il valore dell’avviamento accertato dall’Ufficio, ma annullando la plusvalenza da cessione delle attrezzature.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che, con sentenza 2.10.2008, dichiarava inammissibili i ricorsi introduttivi dei contribuenti perché proposti tardivamente.
Contro la sentenza T. V. e P. del C. snc in liquidazione propongono ricorso per tre motivi: 1) violazione degli artt. 160, 170, 330 comma primo, 101 cod.proc.civ. , in relazione all’art. 360 comma primo n.4 cod.proc.civ.:il giudizio di appello è nullo perché celebrato senza la notificazione dell’impugnazione al difensore costituito nel processo di primo grado, con la conseguenza che gli attuali ricorrenti hanno avuto notizia della sentenza della Commissione tributaria regionale, qui impugnata, soltanto con la ricezione della successiva cartella di pagamento; 2) violazione ed erronea applicazione dell’art. 57 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 , in relazione all’art. 360 comma primo n.3 cod.proc.civ., nella parte in cui ha accolto una domanda nuova in appello dichiarando l’inammissibilità dei ricorsi proposti dai contribuenti; 3) violazione e falsa applicazione degli artt. 331 cod.proc.civ. e 14 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n.546 per avere deciso la causa a seguito di ricorso presentato da uno soltanto dei soci in violazione della regola del litisconsorzio necessario.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, chiedendo preliminarmente di dichiarare inammissibile il ricorso perché tardivo; in subordine ne chiede il rigetto.
Considerato in diritto
L’impugnazione è inammissibile perché proposta oltre il termine di decadenza di un anno previsto dall’art. 327 cod.proc.civ. (nel testo vigente ratione temporis.), atteso che il ricorso per cassazione è stato notificato a mezzo plico postale spedito il 30.11.2011, ben oltre il termine di un anno dal deposito della sentenza di appello avvenuto il 2.10.2008. Anche ipotizzando che sia fondato l’assunto dei ricorrenti di avere avuto conoscenza della impugnata sentenza di appello soltanto a seguito della notificazione delle succedanee cartelle di pagamento (dichiaratamente avvenuta in data 28.7.2009), permane la tardività del ricorso per cassazione proposto in data 30.11.2011. Inoltre occorre considerare che la sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione è stata precedentemente impugnata dai contribuenti con ricorso per revocazione proposto in data 16.10.2009, rigettato con sentenza della Commissione tributaria regionale del 26.5.2010 ( circostanze dedotte nel controricorso e non contrastate dai ricorrenti); ne deriva che la sentenza era pienamente conosciuta, anche nei suoi contenuti, almeno a decorrere dalla data di proposizione della revocazione, con conseguente conferma della tardività del ricorso per cassazione.
Spese regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate , liquidate in euro 2.500 oltre eventuali spese prenotate a debito.
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