CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 marzo 2017, n. 7281
Accertamento fiscale – Maggiori compensi professionita – Assoggettamento ad Irpef e Irap – Non si applica – Corrispondenza tra versamenti sul conto corrente e le fatture emesse – Sussiste
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate emetteva a carico di B.F., esercente l’attività di medico odontoiatra, tre avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2004, 2005 e 2006, con i quali, sulla base delle risultanze dei conti correnti bancari, accertava la sussistenza di maggiori compensi con applicazione delle corrispondenti imposte Irpef ed Irap.
Contro gli avvisi di accertamento il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia che, previa riunione, li accoglieva con sentenza n. 116 del 2009.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo rigettava con sentenza del 19.9.2012. Il giudice di appello affermava che il contribuente, mediante la produzione di documentazione costituita da tabulati, aveva superato la presunzione legale (relativa) fatta valere dall’Ufficio; non riscontrava la mancanza di corrispondenza tra i versamenti sul conto corrente e le fatture corrispondenti agli anni 2004,2005 e 2006, considerato che “il contribuente ha provato che per l’esercizio 2004 ha emesso fatture per euro 276.547 ed ha effettuato versamenti sul conto per euro 270.997; per l’esercizio 2005 ha emesso fatture per euro 306.641 ed ha effettuato versamenti per euro 308.223; per l’esercizio 2006 ha emesso fatture per euro 333.453 ed ha effettuato versamenti per euro 330.365.
Avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, con unico motivo, per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 cod.proc.civ..
B.F. resiste con controricorso chiedendo di dichiarare inammissibile o comunque infondato il ricorso. Deposita memoria con cui richiama la pronuncia della Corte cost. n.228 del 2014 e deposita documentazione.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento all’ambito applicativo del vizio di omesso esame previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall ‘art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, questa Corte ha stabilito che, in osservanza degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831).
La ricorrente non ha assolto tale onere. Dopo avere riprodotto nel corpo del ricorso per cassazione il testo dell’avviso di accertamento, parte ricorrente censura le valutazioni espresse dal giudice di appello opponendo altre e diverse risultanze istruttorie, di cui assume l’omesso esame, senza previamente indicare “come e quando” tali fatti siano stati veicolati nel giudizio di appello, avendo omesso ogni indicazione, ai sensi dell’art. 366 primo comma n. 6 cod.proc.civ., in ordine agli specifici motivi di gravame a mezzo dei quali i predetti “fatti storici” sono stati devoluti allo scrutinio del giudice di appello. Inoltre l’omesso esame delle circostanze di fatto dedotto nel motivo di ricorso (quali discordanza temporale tra emissione fatture e pagamento dei corrispettivi, versamenti a titolo di “apporto del titolare) non corrisponde alla fattispecie dell’ omesso esame di fatto storico decisivo, trattandosi piuttosto di elementi istruttori il cui mancato specifico esame non integra la causa di ricorso prevista dall’art. 360 primo comma n.5 cod.proc.civ. atteso che il fatto storico decisivo, costituito dalla valutazione dei dati emergenti dalla movimentazione dei conti bancari, è stato comunque effettuato dal giudice di merito.
Spese regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidate in euro 5.500 oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
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