CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2016, n. 23731
Licenziamento – Superamento del termine del periodo di aspettativa per malattia – lndennità risarcitoria minima – Retribuzione persa dal lavoratore
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 25.9.2006, la Corte di Appello di Venezia confermò la decisione del Tribunale di Vicenza che aveva rigettato la domanda proposta dal T.L., avviato obbligatoriamente al lavoro presso F. s.p.a. con invalidità dell’80%, intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato al predetto il 10.9.2002 per superamento del termine del periodo di aspettativa per malattia, con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie di legge e la condanna della società al risarcimento del danno biologico e morale ex art. 2087 c.c., in ragione dello svolgimento di mansioni incompatibili con il suo stato di salute.
Osservò la Corte che il 30.8.2002 l’azienda aveva comunicato al lavoratore la scadenza del periodo di aspettativa dallo stesso richiesta il 25.7.2001 e che, stante l’assenza di qualsiasi contatto con la ditta e di ripresa del servizio, lo stesso era stato licenziato ai sensi dell’art. 19 c.c.n.I.; che la censura di inefficacia del licenziamento ex art. 2 L. n. 604 del 1966 era infondata perché i motivi erano stati indicati nella lettera di licenziamento del 10/9/2002, rispetto alla quale la specificazione avvenuta con lettera del 14.10.2002, a seguito dì richiesta del lavoratore del 24/2/2002, doveva ritenersi non essenziale ed effettuata per ragioni di correttezza e trasparenza. Rilevò che al ricorrente erano state sempre assegnate mansioni compatibili con il suo stato di invalidità. Osservò che il licenziamento era seguito alla comunicazione di spirato termine del periodo di aspettativa per malattia del precedente 30 agosto e che il superamento del periodo di comporto non costituiva la motivazione del recesso ma solo un presupposto storico dello stesso, di tal che la comunicazione del licenziamento poteva ritenersi contenere già una sufficiente motivazione contestuale. Rilevò che il ricorrente in sede stragiudiziale neppure aveva chiesto spiegazioni sui motivi del superamento del periodo di comporto, sulle assenze computate dalla società e sul perché avesse superato il periodo di aspettativa, per cui nessuna motivazione si imponeva, essendo esaustiva rispetto alla richiesta la motivazione contestuale al recesso. Osservò, infine, che la motivazione della lettera del 14.10.2002 era completa, per essere allegato il testo riassuntivo delle assenze, potendo al più discutersi della sua tardività.
2. Con sentenza del 10/12/2012 n. 22392 la Corte di Cassazione, richiamata la normativa del CCNL 8.6.1999 di riferimento e, specificamente, l’art. 19, comma 1, osservava che “la consequenzialità dell’aspettativa al superamento del comporto, delineata dalla norma contrattuale, rende evidente la connessione tra i due istituti e quindi deve ritenersi che l’esigenza di specificazione dei motivi del licenziamento, palesata dal lavoratore e posta a garanzia del diritto del predetto alla verifica del corretto esercizio del potere datoriale in ossequio ai generali principi di correttezza e buona fede, imponeva al datore di lavoro di dare contezza dei giorni conteggiati anche nel primo periodo di malattia per ritenere realizzata la fattispecie che consentiva l’intimazione del licenziamento”, tanto più che il ricorrente aveva impugnato il licenziamento preliminarmente per mancato superamento del periodo di comporto ed in ogni caso, per non computabilità nel periodo stesso delle assenze per malattia dovute a svolgimento di mansioni incompatibili e, comunque, di quelle non comunicate/contestate nelle forme e nei termini di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 2.
Osservava, inoltre, che “avendo pacificamente nel caso esaminato il ricorrente, in data 24.9.2002, richiesto di specificare i motivi del recesso ed avendo la società solo in data 14.10.2002 informato il lavoratore del superamento di entrambi i periodi di comporto ed aspettativa, con allegazione delle giornate di assenze per malattia, deve ritenersi che il giudice del gravame abbia fatto non corretta applicazione della norma menzionata e che abbia fornito una motivazione inadeguata e contraddittoria laddove ha affermato che la motivazione contestuale del recesso era esaustiva e che era esaustiva anche la risposta del 14.10.12002, contenendo il prospetto riassuntivo delle assenze, con la conseguenza che “la risposta dovrebbe ritenersi, al più, solo tardiva”. Concludeva affermando che il giudice non aveva valutato le conseguenze di tale tardività e tale carenza, unitamente a quella relativa all’interpretazione della domanda introduttiva del giudizio, inficiava la decisione adottata, determinandone la cassazione con rinvio al giudice del merito “in relazione alle censure accolte”. Il giudice del rinvio, richiamate le argomentazioni svolte dalla Corte di Cassazione, valutata la domanda introduttiva del giudizio e le conseguenze della tardività della risposta datoriale alla richiesta di specificazione del ricorrente, accertava l’illegittimità del licenziamento.
3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione L.T. sulla base di due motivi. Resiste F. s.p.a con controricorso, proponendo ricorso incidentale sulla base di un unico motivo, a sua volta resistito con controricorso. Vi sono memorie di entrambe le parti.
Motivi della decisione
1. Va esaminato per primo nell’ordine logico il ricorso incidentale. Con esso la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2 I. 604/1966 in relazione all’art. 19 CCNL metalmeccanica industria: la motivazione ivi presente era esaustiva e completa e non necessitava di alcuna ulteriore precisazione. Osserva che la Cassazione aveva ritenuto necessaria un’ulteriore analisi dei fatti di causa da parte del giudice del merito al fine di valutare se e con quali conseguenze la richiesta del T. di conoscere i motivi di licenziamento fosse fondata e la tardiva risposta della società si fosse riflessa negativamente sui diritti del medesimo. Di conseguenza nel giudizio di rinvio era mancata una nuova completa indagine di merito.
1.2. Va precisato che la rubrica del motivo è formulata in maniera errata, poiché la censura verte più propriamente sulla violazione delle regole processuali in materia di giudizio di rinvio a seguito della cassazione della sentenza. Ciò premesso, deve rilevarsi l’infondatezza della censura. La Corte territoriale, infatti, nel richiamare il dictum della Corte di Cassazione, ha fatto propria la già rilevata carenza delle lettere di licenziamento in punto di indicazione dei giorni di assenza conteggiati con riferimento al primo periodo di malattia, nonché la necessità delle suddette indicazioni in ragione della consequenzialità dell’aspettativa al superamento del comporto. Ha rilevato, inoltre, la tardività della risposta alla richiesta di specificazione dei motivi. Ne consegue che nessuna violazione dei principi processuali è attribuibile al giudice del rinvio, il quale si è attenuto, esplicitandoli, ai principi già enunciati dalla Corte di Cassazione, calandoli nel contesto del caso di specie.
3. Con il ricorso principale sono dedotti i seguenti motivi:
1) Violazione dell’art. 18 c. 4 Statuto dei lavoratori e dell’art. 1218 c.c. in relazione alla decisione della Corte d’appello di Trieste di limitare alle cinque mensilità di retribuzione globale di fatto il risarcimento del danno conseguente alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento. Il ricorrente impugna la sentenza in relazione alla quantificazione in cinque mensilità del risarcimento del danno. Premesso che la Corte territoriale aveva ritenuto superata la presunzione di lucro cessante cui era correlata la corresponsione di una indennità commisurata alla retribuzione ex art. 18 Statuto, in ragione del fatto che il T. si trovava da tempo in aspettativa non retribuita, osserva il ricorrente che tale ultima circostanza non assumeva rilevanza ai fini del superamento della suddetta presunzione, potendo la stessa essere superata solo nel caso in cui il licenziamento fosse frutto di causa non imputabile al datore di lavoro, il che non ricorreva nella specie. Rilevava, inoltre, che le norme di legge e i principi giurisprudenziali non prevedono la necessità che il lavoratore metta a disposizione del datore di lavoro le energie lavorative.
2) Violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’omessa/incomprensibile motivazione circa il fatto dell’assenza oltre i termini previsti dal CCNL Violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione al medesimo fatto (art. 360 n. 3 c.p.c.) Osserva che la Corte trae dall’assenza oltre i termini previsti dal CCNL la circostanza che il T. non avesse diritto all’integrale risarcimento del danno. Osserva che la decisione sul punto è priva di motivazione, poiché manca ogni indicazione circa la durata dell’assenza oltre i termini previsti dal CCNL, specificamente con riferimento all’aspettativa o anche al comporto. Ne consegue che la decisione è nulla per violazione dell’art. 132 c. 4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost.
Rileva, inoltre, che era stato violato l’art. 115 c.p.c. poiché non erano state prese in considerazione le richieste di prova articolate dal lavoratore sul punto relativo al numero delle assenze.
4. I motivi, da trattare congiuntamente in ragione dell’intima connessione, sono infondati.
Sulla questione va richiamato, in primo luogo, il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in forza del quale “In caso di illegittimo licenziamento del lavoratore, l’indennità prevista dall’art. 18, quarto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, nel suo minimo ammontare di cinque mensilità, costituisce una presunzione “juris et de jure” del danno causato dal recesso, assimilabile ad una sorta di penale connaturata al rischio di impresa; la corresponsione, invece, dell’indennità .commisurata alla retribuzione effettivamente non percepita costituisce una presunzione “iuris tantum” di lucro cessante, costituendo onere del datore provare che il danno ulteriore non sussiste”(Cass. n. 23666 del 11/11/2011, Rv. 619650). Il suddetto principio risulta rispettato dalla Corte territoriale, la quale ha tenuto conto che al momento del licenziamento il T. era in aspettativa non retribuita da oltre 18 mesi, né si era ripresentato al lavoro, con la conseguenza che, se la società avesse continuato a tollerare la sua assenza senza procedere al licenziamento, nessuna effettiva retribuzione sarebbe stata in ogni caso conseguita dallo stesso. Correttamente, pertanto, non sussistendo alcun danno per le retribuzioni perdute, la Corte territoriale si era discostata dal parametro di determinazione del risarcimento derivante dalla menzionata presunzione iuris tantum, accedendo alla quantificazione secondo la presunzione iuris et de iure. Di conseguenza nessuna carenza di motivazione era ravvisabile, né, tanto meno, in ragione della condizione di aspettativa non retribuita in cui versava il ricorrente, avrebbero potuto assumere rilevanza ai fini della decisione i mezzi di prova articolati sulle motivazioni delle assenze dal lavoro.
5. In base alle argomentazioni svolte entrambi i ricorsi, principale e incidentale, vanno rigettati. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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