CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2016, n. 23738
Rapporto di lavoro – Dirigente – Poteri gestionali relativi a un solo ramo d’azienda
Svolgimento del processo
Con ricorso all’ora Pretore di Roma dell’1.7.1997 C. F. impugnava il licenziamento intimatogli da A. P. spa in data 21.10.1996 per ragioni disciplinari, deducendone la natura discriminatoria in ragione della appartenenza sindacale e comunque la assenza di giusta causa e giustificato motivo. Chiedeva, altresì, accertarsi il proprio diritto all’inquadramento nella qualifica dirigenziale con decorrenza dall’anno 1981 e condannarsi il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive. Agiva da ultimo per l’accertamento della illegittimità del dimensionamento subito dal 31.7,1995, con consequenziale condanna della parte convenuta al risarcimento del danno.
Il Giudice del Lavoro, con sentenza del 28.2/2.3.2000, rigettava la domanda.
La Corte d’appello di Roma , con sentenza parziale non definitiva del 17.4.2003 – 28.10.2003 (nr. 5582/2003), dichiarava la illegittimità del licenziamento sotto il profilo della mancanza di proporzionalità; disponeva il prosieguo del giudizio per l’accertamento della qualifica superiore e della dequalificazione .
Avverso la sentenza non definitiva proponevano ricorso in cassazione ENI spa in via principale ed il C. in via incidentale.
La Corte di legittimità, con sentenza nr. 20855/2006, rigettava il motivo del ricorso incidentale con il quale si censurava il mancato riconoscimento del carattere discriminatorio del licenziamento; accoglieva il ricorso principale, osservando che la domanda di impugnazione del licenziamento non poteva essere decisa separatamente dalla domanda di inquadramento nella categoria dei dirigenti, in quanto I’ inquadramento richiesto condizionava la disciplina del licenziamento. Dichiarava assorbiti gli ulteriori motivi dei ricorsi principale ed incidentale.
Il giudizio di rinvio introdotto dal C. veniva sospeso dalla Corte d’appello di Roma (ordinanza del 6 luglio 2009) in attesa della definitività della sentenza resa nella more sulla domanda di inquadramento ( sentenza nr. 8281/2006), con la quale era stata dichiarata la improseguibilità dell’appello per effetto della cassazione della sentenza sulla domanda di licenziamento.
Tale decisione veniva cassata, su ricorso del C., con sentenza della Suprema Corte nr. 23419/2011; la Corte di legittimità osservava che il principio richiamato dal giudice dell’appello, sulla improseguibilità del giudizio sul quantum debeatur in ipotesi di cassazione della sentenza sull’an, era inconferente alla fattispecie esaminata giacché la sentenza sul licenziamento cassata non costituiva l’antecedente logico giuridico della domanda di inquadramento dichiarata improseguibile; era vero, anzi, esattamente il contrario.
Con separati ricorsi il C. riassumeva tanto il giudizio di rinvio sospeso e relativo al licenziamento (a seguito di Cass. 20855/2006) che il giudizio di rinvio relativo alla domanda di inquadramento (a seguito della cassazione, con sent. 23419/2011, della sentenza di improseguibilità).
La Corte d’appello, riuniti i ricorsi, con sentenza del 17 marzo -27 agosto 2014 (nr. 2674/2014) , rigettava le domande proposte da C. F..
Per la Cassazione della sentenza ricorre il C., articolando tredici motivi.
Resiste con controricorso ENI spa.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
I primi tre motivi del ricorso hanno ad oggetto la statuizione di rigetto della domanda di inquadramento nella qualifica di dirigente.
1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 CCNL DIRIGENTI AZIENDE INDUSTRIALI.
II ricorrente ha esposto che a tenore della richiamata previsione contrattuale sono dirigenti i prestatori di lavoro subordinato “che ricoprono nella azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale e esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa”.
Ha evidenziato il superamento, nella più recente giurisprudenza, della visione tradizionale secondo cui la categoria dei dirigenti comprende solo coloro i quali abbiano un ruolo di vertice nell’organigramma aziendale ovvero siano dotati di ampissimi poteri e di autonomia gestionale sì da poterli ritenere veri e propri sostituti dell’imprenditore.
Ha esposto che i nuovi assetti dell’area manageriale hanno portato ad affermare che la qualifica di dirigente non presuppone una posizione apicale assoluta e che la complessità delle attuali organizzazioni aziendali è compatibile con la presenza di una pluralità di dirigenti, di livelli diversi, con graduazione di compiti, divenendo determinati per la attribuzione della qualifica le mansioni svolte ed in particolare le capacità professionali del soggetto, la responsabilità ed il grado di autonomia del suo operato, a prescindere dal fatto che egli ricopra un ruolo di vertice nell’organigramma aziendale.
Ha censurato la sentenza per avere operato il giudizio sull’ inquadramento dirigenziale muovendo dalla premessa generale errata della necessità della preposizione del dirigente ad una intera azienda o ad un ramo di essa.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto nullità della sentenza, in relazione all’articolo 132 nr. 4 c.p.c., per totale carenza e mera apparenza della motivazione ovvero per irriducibile contraddittorietà e manifesta illogicità.
Il ricorrente ha esposto che la motivazione, secondo la quale “confrontando le mansioni come indicate nel ricorso introduttivo del giudizio con le declaratorie contrattuali pertinenti, si deve concludere che egli fu correttamente inquadrato nell’area professionale …” era soltanto apparente, come era evidente anche per il fatto che nella premessa del ragionamento la Corte di merito, da un lato, faceva riferimento agli esiti di una attività istruttoria che in effetti non vi era mai stata, dall’altro, ometteva totalmente di considerare le allegazioni del ricorso introduttivo sul contenuto delle mansioni svolte.
3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, consistente nella ampiezza e responsabilità dei compiti a lui assegnati e nella sua collocazione gerarchica in diretto rapporto con il vertice aziendale.
In proposito il ricorrente ha evidenziato i compiti svolti dall’1.6.1981 come responsabile dell’ufficio di sicurezza, ufficio che coordinava e controllava le attività di sicurezza, salute ed ambiente nell’ambito della area “ATtività Commerciali Italia”, costituente una delle due maxi-aree operative in cui era articolata A. P..
Ha ricordato che in tale qualità egli era stato nominato dal 7.2.1983 coordinatore del “COMITATO DI ESPERTI”, istituito per la verifica della sicurezza degli oltre 60 impianti di imbottigliamento del GPL delle quattro società controllate del settore, i cui componenti ( un rappresentante per ciascuna delle quattro società) erano tutti dirigenti.
Ha altresì evidenziato i seguenti ulteriori incarichi di responsabilità:
– la designazione a componente di un gruppo di lavoro ristretto insieme agli altri due responsabili della sicurezza e protezione ambientale del settore A. P., che avevano qualifica dirigenziale;
– la funzione di segretario coordinatore dalla fine dell’anno 1987 del “COMITATO SICUREZZA ATTIVITÀ COMMERCIALI ITALIA E CONSOCIATE”, presieduto dall’amministratore delegato e costituito da due direttori generali A. P. e dai presidenti delle Consociate;
– il ruolo di segretario coordinatore dall’anno 1988 del “COMITATO DI SICUREZZA PER LA SEDE”, presieduto dal direttore generale del personale;
-la assunzione formale, con ordine di servizio del 10.8.1988, della funzione di coordinamento della sicurezza e protezione ambientale, per la quale, pur dipendendo amministrativamente dal direttore generale logistica, riferiva direttamente all’amministratore delegato;
– la attività di coordinamento delle consociate svolta di fatto dal 1981 al 1993 e riconosciutagli formalmente nell’anno 1993;
– il ruolo di segretario coordinatore di tutti “I COMITATI DI SICUREZZA SALUTE ED AMBIENTE DELLE AREE A. P.” (sia per le attività di raffinazione e commerciale sia per le attività internazionali sia per la sede);
– La attribuzione dal gennaio 1995 anche della responsabilità sull’area raffinazione.
Ha evidenziato che a seguito della riorganizzazione dell’anno 1993 gli era stata attribuita la responsabilità dell’ufficio sicurezza solo per le attività in gestione diretta della ATTIVITÀ RAFFINAZIONE E COMMERCIALE ITALIA (e non più verso le consociate) ma che aveva continuato comunque a svolgere la funzione di assistenza e coordinamento verso le consociate come segretario coordinatore del Comitato di sicurezza, comitato che dal maggio 1994 lo aveva incaricato di coordinare i responsabili per la sicurezza, salute, ambiente delle consociate.
I motivi dal numero 4 al numero 10 afferiscono alla statuizione di.-rigetto della domanda di impugnazione del licenziamento.
4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 L. 300/1970, anche in relazione agli articoli 1175 e 1375 cc ed all’articolo 2697 cc., quanto alla pronunzia resa in punto di tempestività della contestazione disciplinare.
Ha dedotto che la immediatezza della contestazione doveva valutarsi in relazione al diritto di difesa del lavoratore ed agli obblighi di correttezza e buona fede gravanti sul datore di lavoro sicché doveva escludersi la possibilità di rinviare la contestazione in assenza di un motivo obiettivo e valido, con onere di allegazione e prova a carico del datore di lavoro.
5. Con il quinto motivo il ricorrente ha denunziato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, consistente nella circostanza che le inadempienze contestate risalivano al periodo aprile/giugno 1996 – da sei a quattro mesi prima della contestazione- ed erano rilevabili immediatamente .
6. Con il sesto motivo il ricorrente ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 L. 300/1970 in relazione alla statuizione sulla specificità degli addebiti disciplinari.
Ha osservato che la sentenza aveva escluso la violazione del requisito di specificità “per l’adeguata difesa svolta dall’Interessato” laddove la specificità, seppur funzionale all’esercizio del diritto di difesa del lavoratore, andava apprezzata con riferimento ai contenuti della contestazione disciplinare senza potersi invertire il procedimento logico né operarsi una sorta di sanatoria per raggiungimento dello scopo.
7. Con il settimo motivo il ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione sul punto della affermata specificità della contestazione disciplinare, censurando il mancato esame dei contenuti della contestazione.
8. Con l’ottavo motivo viene censurata la statuizione della Corte di merito sull’ addebito relativo alla mancata cura dello studio di fattibilità per la robotizzazione delle stazioni di servizio, deducendosi l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorrente ha assunto l’omesso esame del fatto che egli era stato assegnato alla nuova posizione di responsabile della Unità “INNOVAZIONE TECNOLOGICA/C”- estranea alla attività svolta in precedenza per quattordici anni (sicurezza, salute ed ambiente) – soltanto dal 31 luglio 1995 sicché al momento dei fatti addebitati ( aprile-giugno 1996) si trovava ad espletare le nuove funzioni da pochi mesi, con conseguente necessità di un congruo periodo di addestramento.
9. Con il nono motivo il ricorrente ha dedotto, in relazione alla medesima statuizione sul progetto di robotizzazione delle stazioni di servizio, omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’abbandono del progetto da parte del datore di lavoro.
Il ricorrente ha esposto che il fatto non esaminato risultava dalla deposizione del teste M., che riferiva di avere comunicato alla compagnia di assicurazione che la società non era interessata alla polizza assicurativa, perché la apparecchiatura non veniva utilizzata.
Tale fatto era decisivo rispetto alla valutazione di gravità dell’addebito.
10. Con il decimo motivo il ricorrente ha denunziato violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 cc, anche in relazione all’articolo 2106 cc.
Ha dedotto che l’errore nell’esame del fatto storico, illustrato nei due precedenti motivi, aveva determinato l’erronea applicazione della nozione legale di giusta causa.
I motivi dal numero 11 al numero 13 afferiscono alla pronunzia di rigetto della domanda di demansionamento.
11. Con l’undicesimo motivo il ricorrente ha lamentato nullità della sentenza per la apparenza della motivazione, anche in relazione all’articolo 132 nr. 4 c.p.c.
Ha esposto che la domanda di risarcimento del danno per demansionamento era stata respinta con motivazione formale, in assenza di esame delle allegazioni e delle prove offerte dal datore di lavoro in punto di affermata equivalenza delle nuove mansioni.
12. Con il dodicesimo motivo viene denunziato l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, consistente nella sottrazione di mansioni in precedenza svolte.
La censura denunzia l’omessa valutazione delle circostanza di fatto capitolate nel ricorso introduttivo (ai numeri dal numero 41 al numero 49) – riproposte in appello e nel giudizio di rinvio- dalle quali risultava la totale inattività cui egli era stato costretto.
13. Con il tredicesimo motivo il ricorrente ha denunziato violazione e falsa applicazione degli articoli 2103 e 2697 cc.
Ha lamentato che la sentenza non aveva applicato il principio di diritto secondo cui l’onere della prova della assegnazione di mansioni equivalenti cade a carico del datore di lavoro.
Il primo ed il secondo motivo, che possono essere congiuntamente trattati in quanto connessi, sono fondati e meritano accoglimento.
Preliminarmente deve essere qui ribadito, in continuità con la giurisprudenza di questa Corte, che negli assetti organizzativi delle imprese, se di rilevanti dimensioni, ben possono coesistere dirigenti di diverso livello (29/02/2016, n. 3981 Cass. n. 12860 del 1988, n. 14885 del 2000, n. 6393 del 1998, n. 8842 del 1987).
La previsione di una pluralità di dirigenti a diversi livelli, con graduazione di compiti, è difatti ammissibile in organizzazioni aziendali complesse; ciò che rileva è il riconoscimento anche al dirigente di grado inferiore di un’ampia autonomia decisionale, circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore (cfr. Cass. n. 8650 del 2005).
La dipendenza dal dirigente di livello superiore deve essere comunque molto attenuata, sì da non incidere sulla suddetta ampia autonomia del dirigente subordinato nelle scelte decisionali per la realizzazione degli obiettivi della impresa; in sostanza il vincolo gerarchico deve tradursi in un’attività di controllo o di coordinamento e di direttive relativa ad una sfera generalmente più limitata, facente capo al dirigente sovraordinato, costituente tramite diretto della volontà dell’imprenditore (v. pure Cass. n. 1151 del 1998, n. 10285 del 1998).
Il tratto caratteristico della figura del dirigente d’azienda consiste, dunque, nella autonomia e discrezionalità delle scelte decisionali e nella circostanza che dette scelte siano in grado di influire sugli obiettivi aziendali; nelle organizzazioni aziendali complesse tale qualifica può sussistere indipendentemente dalla preposizione alla intera azienda o ad un ramo di essa.
Coerentemente a questa premessa l’articolo 1 del CCNL DIRIGENTI AZIENDE INDUSTRIALI definisce dirigenti i dipendenti “che ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale e esplicano le loro funzioni al fine di promuovere,coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa”.
Appare pertanto fondato il primo motivo di censura, con il quale viene impugnata la premessa generale della decisione della Corte di merito, che ha escluso il diritto del C. alla qualifica dirigenziale, in una situazione aziendale complessa quale è quella di ENI spa, in quanto non risultava la sua preposizione “all’intera azienda o ad un singolo ramo di essa”.
Egualmente sussiste il vizio della motivazione dedotto con il secondo motivo.
Giova premettere che il vizio di cui all’articolo 360 nr. 5, nella attuale formulazione (risultante dalle modifiche di cui al dl 83/2012) configura un vizio specifico, che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.
Accanto a tale vizio sopravvive solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo dell’articolo 111 co. 6 C. (a tenore del quale “tutti I provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”), attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata ed a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Nella fattispecie di causa sussiste il vizio denunziato, sotto il profilo della motivazione apparente.
La Corte di merito ha affermato che le mansioni indicate in ricorso corrispondevano alla declaratoria contrattuale di inquadramento (area professionale) limitandosi a riportare la suddetta declaratoria contrattuale; ha così compiuto un ragionamento tautologico, nel quale la motivazione consiste in ciò che invece si doveva sottoporre a verifica.
Una effettiva motivazione avrebbe richiesto la indicazione delle ragioni per le quali le mansioni allegate in ricorso rientravano nella declaratoria dell’ “area professionale” anche in comparazione con le caratteristiche professionali risultanti ,invece, dalla declaratoria relativa ai dirigenti.
Le ulteriori proposizioni della motivazione si prestano ad analoghe censure perché si limitano a ribadire che le mansioni svolte dal ricorrente rientravano nella esposta declaratoria contrattuale, senza nulla aggiungere in punto di concreto esame e qualificazione di esse.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso: il terzo in quanto presupponente una motivazione esistente, i motivi concernenti il licenziamento giacché, come già rilevato da questa Corte nella sentenza nr. 20855/2006, la relativa domanda è dipendente da quella pregiudiziale di riconoscimento della qualifica dirigenziale, i motivi sul demansionamento in quanto a loro volta dipendenti dall’ accertamento in concreto della collocazione aziendale del C. in epoca anteriore al mutamento delle mansioni.
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio provvedendo ad un esame motivato della domanda principale – in conformità al principio di diritto sopra esposto – e delle ulteriori domande consequenziali.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia- anche per le spese- alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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