CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 novembre 2017, n. 27773
IRPEF – Istanza di rimborso – Trattamento di fine rapporto e incentivo all’esodo – Tassazione separata
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con un motivo nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo che, rigettandone l’appello, nel giudizio promosso da A.T., cittadino italiano residente in Svizzera, con l’impugnazione del silenzio rifiuto serbato sull’istanza di rimborso dell’IRPEF pagata sul trattamento di fine rapporto e sull’incentivo all’esodo corrispostigli dalla A.I. spa nel 2003 ed assoggettati a tassazione separata, ha riconosciuto al contribuente il diritto al rimborso.
Secondo il giudice d’appello, alla luce dell’art. 15 della convenzione italo svizzera del 9 marzo 1976 contro le doppie imposizioni, ratificata con la legge 23 dicembre 1978, n. 943, il presupposto rilevante ai fini della tassazione in Italia o in Svizzera sta nel luogo di erogazione delle retribuzioni, comunque denominate, e nella specie il tfr era maturato nel periodo dal 1° aprile 1996 al 30 settembre 2003, mentre il lavoratore aveva trasferito la residenza a Lugano il 10 luglio 1999, sicché l’indennità di fine rapporto era stata corrisposta nella sua interezza quando il percettore risiedeva a Lugano, avendo svolto ivi l’attività lavorativa.
Quanto all’incentivo all’esodo, la relativa erogazione andava senza dubbio “tassata secondo la legge svizzera, non essendo maturata in costanza di rapporto”.
Il contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.
Ragioni della decisione
Col primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 23, comma 2, del tuir e dell’art. 15, commi 1 e 2, della Convenzione Italia Svizzera contro le doppie imposizioni, l’amministrazione ricorrente lamenta la mancata applicazione della presunzione assoluta, posta dalla prima norma, in base alla quale si considerano prodotti in Italia, se corrisposti da soggetti, come è nella specie l’INPDAI, residenti ed operanti in Italia, indipendentemente dal fatto che le attività da cui derivano siano esercitate nel territorio dello Stato, tutta una serie di redditi, tra i quali va compreso il tfr, avente natura di diritto di credito a pagamento differito, che matura anno per anno in relazione al lavoro prestato ed all’ammontare della retribuzione dovuta. Ne conseguirebbe che la tassazione operata dal sostituto d’imposta italiano A.sarebbe del tutto legittima per la particolare e complessa natura di tale reddito, non spettando quindi il rimborso delle ritenute IRPEF sul tfr e sull’incentivo all’esodo corrisposti da una società italiana ad un cittadino italiano residente all’estero che ivi ha svolto la propria attività lavorativa.
Con il secondo motivo si duole della violazione dell’art. 15 della Convenzione Italia Svizzera in relazione alla ripartizione della potestà impositiva fra i due Stati, assumendo che la soluzione più equa sarebbe consentire a ciascuno Stato di applicare la propria imposta sulla quota di tfr rispettivamente maturata nella propria giurisdizione.
I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente legati, sono infondati, alla luce dell’orientamento di questa Corte, dal quale non si ravvisano motivi di discostarsi, secondo cui “in tema d’imposte sul reddito, le somme corrisposte a titolo di t.f.r. da datore di lavoro residente in Italia ad un soggetto residente in Svizzera sono imponibili in Svizzera, ove l’attività lavorativa sia stata ivi prestata, in base all’art. 15 della Convenzione italo-svizzera, che prevale sull’art. 23, comma 2, lett. a, del d.P.R. n. 917 del 1986, essendo la noma pattizia gerarchicamente sovra-ordinata alla legge ordinaria interna” (Cass. sent 14474 del 2016), prevalendo del resto “le norma pattizie derivanti dagli accordi fra gli stati, attesane la specialità e la ratio di evitare fenomeni di doppia imposizione, su quelle interne” (Cass. n. 23984 del 2016; si veda inoltre Cass. n. 2912 del 2015).
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 4.000 per compensi di avvocato, oltre alle spese generali determinate forfetariamente nella misura del 15% e agli accessi di legge.
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