CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 dicembre 2016, n. 26977
Dipendenti pubblici – Indennità di buonuscita – Indennità integrativa speciale – Calcolo – Liquidazione
Ritenuto che, con diversi ricorsi depositati presso la Corte d’appello di Perugia e poi riuniti, numerose persone, tra le quali i ricorrenti indicati in epigrafe, chiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo iniziato con ricorso depositato presso il TAR Lazio il 27 ottobre 2005, e deciso con sentenza n. 13774 del 2010; giudizio avente ad oggetto l’accertamento, quali pensionati e già dipendenti pubblici, del loro diritto a vedersi riliquidare l’indennità di buonuscita tenendo conto, nella base di calcolo, dell’indennità integrativa speciale posseduta al momento del collocamento in quiescenza, con conseguente condanna dell’INPDAP e dei ministeri di appartenenza al pagamento dei corrispondenti importi monetari, oltre accessori di legge;
che l’adita Corte d’appello rigettava la domanda rilevando che la pretesa azionata nel giudizio presupposto doveva ritenersi temeraria e quindi preclusiva del riconoscimento dell’indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001, atteso che la stessa era stata proposta in totale spregio delle disposizioni legislative e di consolidati indirizzi giurisprudenziali, non essendo comunque di ostacolo a tale conclusione la mancata condanna nel giudizio presupposto per lite temeraria;
che per la cassazione di questo decreto i ricorrenti in epigrafe indicati hanno proposto ricorso affidato ad un unico motivo;
che il Ministero dell’economia e delle finanze ha resistito con controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata;
che con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, per cui la configurabilità del danno risarcibile ex L. n. 89 del 2001, derivante dalla irragionevole durata del processo, non può essere esclusa sulla base dell’esito sfavorevole del giudizio a meno che dagli atti del giudizio non risulti la prova per cui la parte, che richiede il risarcimento del danno, abbia proposto una lite temeraria, al solo fine di perseguire l’irragionevole durata del giudizio;
che, dunque, ad avviso dei ricorrenti, la mera consapevolezza della scarsa probabilità di successo dell’iniziativa giudiziaria sarebbe irrilevante al fine di escludere il diritto al risarcimento per la durata irragionevole del processo potendo semmai rilevare ai fini della quantificazione del danno; che il ricorso è infondato;
che nella giurisprudenza di questa Corte il diritto all’equa riparazione è escluso per ragioni di carattere soggettivo: a) nel caso di lite temeraria (v. fra le tante, Cass. n. 28592 del 2011; Cass. n. 10500 del 2011 e Cass. n. 18780 del 2010), cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto o sulla base di una prete sa di puro azzardo; b) nell’ipotesi di causa abusiva (cfr. tra le tante, Cass. n. 7326 del 2015; Cass. n. 5299 del 2015; Cass. n. 23373 del 2014), che ricorre allorché lo strumento processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti della mera pendenza della lite; e c) in tutte le ipotesi in cui la specifica situazione processuale del giudizio di riferimento dimostri in positivo, per qualunque ragione, come la parte privata non abbia patito quell’effettivo e concreto pregiudizio d’indole morale, che è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo (v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 7325 del 2015); che, inoltre, il comma 2-quinquies, aggiunto all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 dall’art. 55, comma 1, lett. a), n. 3) del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, in legge n. 134 del 2012, ha previsto, con elencazione da ritenersi non tassativa, talune ulteriori ipotesi di esclusione dell’indennizzo, in presenza delle quali il giudice non dispone di margini d’apprezzamento della fattispecie; che tale norma è stata oggetto di ulteriore intervento da parte del legislatore con la legge n. 208 del 2015, la quale ha disposto che «non è riconosciuto alcun indennizzo: a) in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’articolo 96 del codice di procedura civile;
che, in base alla disciplina ratione temporis applicabile, tra le ipotesi di esclusione del diritto all’indennizzo per la violazione della ragionevole durata del processo non rientra quella della manifesta infondatezza della domanda, ove non sia caratterizzata dall’ulteriore profilo della temerarietà o della abusività (Cass. n. 21131 del 2015; Cass. n,. 18834 del 2015);
che, nella specie, la Corte d’appello si è attenuta ai principi suindicati, procedendo ad un’autonoma valutazione in ordine alla sussistenza di una situazione di colpa grave in capo ai ricorrenti per la proposizione del giudizio presupposto; valutazione, questa, che implicando apprezzamenti di fatto si sottrae alle proposte censure; che il ricorso va quindi rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo;
che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1 -quater dell’art. 13 del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.