CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 febbraio 2018, n. 4412
Tributi – -TARSU – Locali utilizzati per attività industriale – Attività di lavorazione dei legnami – Produzione rifiuti speciali – Esclusione Tarsu
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. La C. Legnami snc propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n.325/32/12 del 23 novembre 2012 con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittime le cartelle di pagamento notificatele dal Comune di Terzigno per Tarsu 2007/2008; ciò con riguardo ai locali nei quali essa ricorrente svolgeva attività industriale nel settore della lavorazione dei legnami.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che, per gli anni in questione, la Tarsu fosse dovuta, atteso che
– la società non aveva dimostrato di provvedere autonomamente allo smaltimento dei rifiuti speciali di origine industriale (tale dimostrazione non poteva desumersi dalle fatture prodotte in giudizio, attestanti unicamente la vendita di segatura e di scarti della lavorazione del legno, non anche lo smaltimento dei rifiuti a mezzo terzi);
– l’esenzione dall’imposizione per il 50%, così come previsto dal regolamento comunale in materia, non poteva trovare riconoscimento, per non avere la società dimostrato in giudizio di aver presentato la prescritta istanza documentata di detassazione;
– la dedotta sentenza della CTR Campania n.172/46/08 del 28 ottobre 2008, favorevole alla società e passata in giudicato, non rilevava ai fini di causa, perché concernente annualità diverse e, inoltre, perché non relativa alle prove necessarie ai fini della richiesta esenzione;
– le cartelle di pagamento in questione erano state regolarmente precedute da avviso di accertamento ormai definitivo, perché regolarmente notificato e non impugnato.
Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, dal Comune di Terzigno.
Il ricorso è stato assegnato all’odierna udienza pubblica in esito a rimessione 7 ottobre 2015 dalla sesta sezione civile.
La società ricorrente ha depositato memoria.
2.1 Con il primo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360, 1 co.n.3) cpc – violazione o falsa applicazione della normativa Tarsu di riferimento (artt. 19, 3 co., d.lgs. 546/92; art. 1, co.161-163, l. 296/06; art. 72, 1 co., d.lgs. 507/93; art.7, 3 co., L. 212/00). Per non avere il giudice di merito rilevato la nullità delle cartelle perché recanti la sola indicazione delle superfici sottoposte a tassazione, senza riferimento ai criteri di individuazione di tali superfici; né tale nullità poteva ritenersi esclusa dalla pregressa notificazione di avviso di accertamento, posto che quest’ultimo concerneva un’annualità (1997) di molto antecedente a quelle dedotte nel presente giudizio.
2.2 Il motivo è infondato.
In primo luogo, esso si basa sull’assunto del difetto di motivazione delle cartelle di pagamento opposte; motivazione asseritamente non evincibile, in contrasto con quanto erroneamente affermato dal giudice di appello, dall’avviso di accertamento notificato e divenuto definitivo con riguardo ad una pregressa e risalente annualità.
Ebbene, in tale motivo non si specifica se, quando ed in quali esatti termini tale questione sia stata introdotta, prima d’ora, in giudizio. Dalla ricostruzione dei fatti di causa e, in particolare, del ricorso introduttivo, si desume anzi che l’invalidità delle cartelle (e relative iscrizioni a ruolo) era stata dedotta sulla base di motivi diversi tanto dalla carenza di motivazione, quanto dalla mancata prodromica notificazione di avvisi di accertamento (che tenessero luogo di quello concernente l’annualità 1997).
Il che depone per la inammissibile novità della questione stessa, essendo il giudizio tributario – di natura impugnatoria – oggettivamente delimitato dai motivi di opposizione all’atto impositivo, così come inizialmente introdotti.
In secondo luogo – ed in ogni caso – la doglianza non si fa carico del fatto che tali cartelle, in assenza di variazioni soggettive ed oggettive, così come di provvedimenti reiettivi di istanze di esenzione o minor debenza da parte del contribuente, potevano legittimamente limitarsi (anche per quanto concerne il coefficiente necessario e sufficiente di motivazione) a riprodurre gli estremi fondamentali di liquidazione desumibili dalle iscrizioni a ruolo dell’imposta relativa alle annualità precedenti. Ciò in applicazione del principio secondo cui “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l’art. 72, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, attribuisce ai Comuni la facoltà eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo sulla base dei ruoli dell’anno precedente, purché sulla base di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione, sicché, salvo il caso di omessa denuncia o incompleta dichiarazione da parte del contribuente, non occorre la preventiva notifica di un atto di accertamento” (Cass. 22248/15; così Cass. 19120/16).
3.1 Con il secondo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360, 1 co.n.3) cpc – violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 codice civile e 62, 3 co., d.lgs. 507/93. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che la citata sentenza CTR n. 172/46/08, passata in giudicato, aveva accertato che essa ricorrente svolgeva attività industriale su parte consistente della superficie produttiva, e che tale superficie non era computabile ai fini Tarsu perché generatrice di rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani, e destinati allo smaltimento in via autonoma (elementi accertati con riferimento all’anno 2003, ma caratterizzati da stabilità nel tempo e, pertanto, riferibili anche alle annualità dedotte nel presente giudizio).
Con il terzo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360, 1 co. nn.3) e 5) cpc – violazione dell’articolo 62, co. 3, d.lgs.507/93, ed omessa considerazione di risultanze istruttorie decisive. Per avere la commissione tributaria regionale, da un lato, subordinato l’esclusione della Tarsu sulla superficie industriale in oggetto a requisiti (smaltimento in proprio e presentazione di istanza annuale di detassazione) non previsti dalla norma citata (ma soltanto dal regolamento comunale per ipotesi di detassazione del tutto differenti dall’esclusione della superficie di produzione di rifiuti industriali, così come dedotta nel presente giudizio). In ogni caso, la commissione tributaria regionale aveva tralasciato di considerare i formulari, con descrizione del rifiuto, riportati sulle facciate retrostanti delle fatture prodotte in giudizio; di per sé attestanti il fatto che la segatura e gli scarti legnosi di lavorazione erano stati fatti oggetto non già di compravendita, bensì di vero e proprio conferimento a terzi, quali rifiuti speciali destinati allo smaltimento.
3.2 Questi due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni ad essi sottese, sono fondati nei termini che seguono.
Deve farsi qui applicazione del principio secondo cui (Cass. ord. 17293/17, con ulteriori richiami): “In tema di tassa per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani (TARSU), ai sensi dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, applicabile “ratione temporis”, nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, di regola, rifiuti speciali, per tali dovendosi intendere, ex art. 2 del d.P.R. n. 915 del 1982, fra l’altro, quelli “derivanti da lavorazioni industriali“; su tale disciplina, infatti, non ha inciso l’art. 39 della I. n. 146 del 1994, il quale, nell’abrogare l’art. 60 del d.lgs. n. 507 del 1993 (dettato in tema di equiparazione dei rifiuti e che, peraltro, si riferiva soltanto a quelli artigianali, commerciali e di servizi), non ha assimilato “ope legis” tutti i rifiuti (esclusi quelli speciali, tossici e nocivi) a quelli urbani, limitandosi ad escludere la necessità di un provvedimento comunale di assimilazione per quei rifiuti già contemplati dalla norma abrogata; ne deriva che i luoghi specifici di lavorazione industriale, cioè le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale, vanno considerate estranee alla superficie da computare per il calcolo della predetta tassa”.
Sulla base di tale principio, il problema di causa verteva proprio sull’accertamento della natura “industriale” dell’attività svolta dalla società contribuente nei locali tassati, e della natura “speciale” (non assimilabile) dei rifiuti prodotti nella superficie corrispondente ai locali medesimi.
Senonché, questi elementi fattuali trovavano accertamento ormai inoppugnabile tra le stesse parti nella menzionata sentenza CTR Campania n. 172/46/08 – in giudicato – secondo la quale: – l’attività svolta dalla C. Legnami aveva appunto natura industriale; – i rifiuti legnosi prodotti avevano, conseguentemente, carattere speciale non assimilabile; – la superficie dei locali destinati alla lavorazione industriale del legno andava pertanto esclusa dal conteggio ai fini Tarsu.
Il giudicato così formatosi non poteva porsi nel nulla, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di merito, perché concernente una diversa annualità d’imposta.
Vale richiamare l’indirizzo di legittimità secondo cui (tra le altre, Cass.13498/15): “In tema di contenzioso tributario, l’efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo nell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente”. Nel caso di specie, l’accertamento dedotto nel giudicato concerneva, appunto, elementi di imposizione (o meglio, di non imposizione) suscettibili di tendenziale stabilità nel tempo, in quanto concernenti la tipologia dell’attività svolta dalla società contribuente (lavorazione industriale di legnami) e la natura dei rifiuti da essa prodotti nei locali in questione (rifiuti speciali, non assimilabili agli urbani, derivanti dalla suddetta lavorazione industriale). Va d’altra parte considerato che la costanza nel tempo dei presupposti impositivi non è stata specificamente contestata nei gradi di merito dal Comune il quale, anzi, ha mostrato di voler basare anche le cartelle qui in esame sugli stessi elementi del rapporto tributario già fissati con l’accertamento del 1997 (lo stesso che venne posto a base dell’annualità 2003, sulla quale si è formato il giudicato in esame). Da ciò deriva la suscettibilità del giudicato in questione ad esplicare effetto preclusivo anche sulle annualità successive, quali quelle dedotte nel presente giudizio.
Tutto ciò considerato, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla commissione tributaria regionale Campania in diversa composizione la quale, in applicazione del su riportato principio di diritto (Cass. ord.17293/17), dovrà riconsiderare il quantum dovuto dalla società contribuente in rapporto alla superficie dei locali aventi destinazione diversa da quella industriale, produttiva di rifiuti speciali destinati allo smaltimento in proprio (art.62 d.lgs.507/93); con ogni conseguente pronuncia.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente procedimento di legittimità.
P.Q.M.
– accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, respinto il primo;
– cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.
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