CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 febbraio 2018, n. 4414
Tributi – TIA – Fabbricato industriale – Controversie riguardanti l’IVA sulla TIA – Giurisdizione del giudice tributario
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. La Q. spa propone otto motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 99 del 30 ottobre 2012 con la quale la commissione tributaria regionale della Toscana, a conferma della prima decisione, ha ritenuto parzialmente infondata la pretesa impositiva risultante dalla fattura liquidatoria di pregresso avviso di accertamento da essa notificato, in quanto soggetto gestore del servizio, alla G.R. srl, per tariffa di igiene ambientale (TIA) 2006/2007; ciò in relazione ad un fabbricato industriale da quest’ultima detenuto in Comune di Calenzano (FI).
Per quanto qui ancora rileva, la commissione tributaria regionale ha ritenuto infondata la pretesa di applicazione dell’Iva sulla Tia, posto che:
– quest’ultima, così come disciplinata dal d.lgs. 446/97, aveva natura tributaria;
– la norma interpretativa introdotta dall’articolo 14, co.33, di 78/10 conv.in I. 122/12, non era qui applicabile, perché espressamente riferita al diverso istituto di cui all’articolo 238 d.lgs 152/06.
Nessuna attività difensiva è stata posta in essere in questa sede dalla società contribuente.
La società ricorrente ha depositato memorie.
2.1 Con il primo motivo di ricorso Q. spa lamenta violazione di legge ed omessa motivazione su un punto decisivo per la controversia. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato che la giurisdizione in materia di Iva sulla Tia spettava al giudice ordinario, e non a quello tributario (non avendo la seconda natura tributaria).
2.2 Il motivo – finanche inammissibile nella parte in cui non indica i fatti di causa idonei ad escludere l’avvenuta formazione, sul punto, di giudicato implicito interno – è comunque infondato.
La presente controversia – avente ad oggetto non azione di rimborso Iva in rapporto privatistico di rivalsa, bensì opposizione ad avviso di accertamento recante, tra il resto, applicazione dell’Iva sulla base imponibile costituita dalla Tia – rientra, in effetti, nella giurisdizione del giudice tributario.
Ciò in forza di quanto affermato dalla giurisprudenza delle SSUU, secondo cui: (ord. nn. 23114/15 e 26268/16): “le controversie riguardanti la debenza della tariffa di igiene ambientale (TIA) spettano alla giurisdizione tributaria, in quanto, come evidenziato anche dall’ordinanza della Corte Costituzionale n. 64 del 2010, tale tariffa non costituisce un’entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993, di cui conserva la qualifica di tributo”.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso Q. spa lamenta – ex art. 360, 1 co.n.3) cpc – violazione o falsa applicazione della Tabella A, parte III, n.127 sexiesdecies del d.p.r. 633/73; dell’art.6, co.13, 1.133/99; del DM 370/00. Per avere la commissione tributaria regionale escluso l’applicabilità dell’Iva sulla Tia, nonostante che la prima dovesse trovare applicazione per ogni genere di prestazione di gestione, stoccaggio e deposito di rifiuti urbani; e che, inoltre, la seconda avesse (quantomeno a far data dal 1° gennaio 1999) natura di corrispettivo. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione, con riferimento altresì all’articolo 12 prel., dell’articolo 14, co.33, dl 78/10 conv.in l. 122/10; secondo cui le disposizioni relative alla Tia dovevano essere interpretate “nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria”, risolvendosi essa in una controprestazione.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della direttiva 2006/112/CE del Consiglio 28 novembre 2006, la quale prevedeva (art. 78 lett.a)) che la base imponibile per il calcolo dell’Iva dovesse ricomprendere anche “le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa Iva”. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 136 Cost., nonché (ex art.360, 1 co.n.5 cpc) insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto la vincolatività della sentenza della corte costituzionale n. 238/09 (sostanzialmente di rigetto), affermativa dell’attribuzione alla giurisdizione tributaria delle controversie in materia di Tia, attesa la natura tributaria di quest’ultima.
3.2 Questi motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche da essi poste, sono infondati.
Ciò, stante l’effettiva non debenza – come correttamente ravvisato dalla commissione tributaria regionale della sentenza qui impugnata – dell’Iva sugli importi versati a titolo di tariffa di igiene ambientale.
Come già anticipato nella disamina della prima censura, si è in materia consolidato l’orientamento secondo cui la TIA non costituisce un’entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993, con conseguente sua qualificazione in termini di tributo; tanto da, appunto, rientrare nella giurisdizione del giudice tributario (ordinanze SSUU poc’anzi cit., par. 2.1).
Da qui consegue l’illegittimità dell’imposizione tributaria sul tributo.
Sul punto specifico della imponibilità Iva della tariffa in questione ricorre, in particolare, quanto affermato da Cass. 4723/15 (con ampi richiami ai profili di compatibilità con il diritto UE) secondo cui: “questa Corte, in plurime occasioni (si veda Cass. Sez. 5, nn. 3293, 3294, 3542, 3755, 3756, 5825, 5826, 5827, 5830, 5831, 5833, 6258, 7333, 7335, 7336, 7338, 7339, 7341, 7342 del 2012; più di recente, Cass. Sez. 5, n. 8383 del 2013) ha avuto modo di chiarire – sulla base di quanto affermato da Corte Cost. nn. 238/2009, 300/2009 e 64/2010 e ribadito da questa Corte, con le decisioni delle 55.UU. n. 14903/2010 e n. 25929/2011- che … la TIA ha natura tributaria e quindi non è soggetta ad IVA, dal momento che l’Iva come qualsiasi altra imposta deve colpire una qualche capacità contributiva. Ed una capacità contributiva si manifesta quando un soggetto acquisisce beni o servizi versando un corrispettivo, non quando paga un’imposta, sia pure “mirata”‘ o “di scopo” cioè destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il soggetto stesso. Per quanto attiene poi all’Iva, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, puntualizza che sono soggette a tale imposta solo le prestazioni di servizi “verso corrispettivo” e non quelle finanziate mediante imposte. Dunque solo ove sussista un “corrispettivo”‘ sarà applicabile il n. 127 sexiesdecies della Tabella A parte terza allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, e dovrà essere applicata l’Iva sulle ‘prestazioni di gestione, stoccaggio e deposito temporaneo, di rifiuti urbani e di rifiuti speciali nonché sulle prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione”.
Questo orientamento ha poi trovato definitiva conferma nella decisione SSUU n. 5078 del 15/03/2016, in base alla quale: “la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all’IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l’acquisto di beni o servizi e non in quello di un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente”.
Obietta la società ricorrente (memoria ex art.378 cpc in data 7 ottobre 2016) che la conclusione così affermata dalle SSUU con riguardo alla c.d “TIA1” (istituita con il d.lgs. 22/97), non potrebbe altresì valere per la c.d. “TIA2” (istituita dall’articolo 238 d.lgs 152/06, entrato in vigore il 29 aprile 2006), qui in concreto applicata (vertendosi di atto impositivo relativo alle annualità 2006/2007).
E ciò perché la TIA2 viene dalla legge espressamente qualificata in termini di “corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani (…)” (art. 238, 1 co., cit.)., con conseguente esclusione della sua natura tributaria.
Questo argomento non può sovvertire la censurata statuizione.
Va infatti osservato che l’atto impositivo in questione ha avuto (ancora) ad oggetto la “TIA1”, atteso che nelle annualità di riferimento (ancorché successive all’entrata in vigore dell’articolo 238 d.lgs 152/06 cit.) continuava ad essere applicabile il pregresso regime di imposizione ambientale, secondo quanto stabilito dall’art. 238, 11 co.,cit. (fin vista l’adozione del regolamento ministeriale prescritto dal co. 6 della medesima disposizione).
In effetti, la soppressione della precedente TIA1 avrebbe dovuto operare dalla data di entrata in vigore dello stesso art. 238 d.lgs. 152/06; tuttavia, si stabilì che, fino alla completa attuazione della TIA2 attraverso l’emanazione del suddetto regolamento ministeriale, “continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti” (art. 238, comma 11, cit). Stante la protratta mancata adozione del ridetto regolamento ministeriale, si dispose (art.1, co.184, 1.296/06, mod. dall’art. 5, commi da 1 a 2-quinquies del d.l. n. 208/08 conv.in 1.13/09) che il regime TARSU e TIA1 adottato in ciascun Comune per l’anno 2006 restasse invariato anche per gli anni 2007/2008/2009; e, poi, che nel caso in cui il regolamento ministeriale non fosse stato adottato entro il 30 giugno 2009 (termine successivamente prorogato, prima, fino al 31 dicembre 2009 e, quindi, fino al 30 giugno 2010), i Comuni avrebbero potuto adottare la TIA2. Senonchè, non essendo stato adottato alcun regolamento ministeriale alla indicata scadenza del 30 giugno 2010, i Comuni che avevano applicato la TARSU, ovvero la TIA1, continuarono a mantenere detti regimi; ferma restando la facoltà per tutti i Comuni italiani di applicare la TIA2 a partire dalla ridetta data del giugno 2010.
In definitiva, che la pretesa impositiva in questione riguardasse le annualità 2008 e 2009 non esclude dunque, vista l’evoluzione normativa su brevemente riportata, che si vertesse di “TIA1”, e non di “TIA2”; così come, del resto, evincibile anche dalla sentenza qui impugnata, nella quale la commissione tributaria regionale dà per scontato che si discutesse della natura tributaria, e non di corrispettivo, attribuibile alla “prima TIA”, rientrante “nel campo di applicazione del d.lgs.446/97”.
Conclusione, questa, che ha trovato iniziale consenso anche nella stessa società ricorrente la quale ha, infatti, riconosciuto de plano in ricorso (pag.17) che la mancata adozione dei regolamenti di attuazione aveva impedito, nella specie, l’applicazione della TIA2.
Quanto alla rilevanza dell’art.14, co.33, di 78/10 conv. in l.122/10 (“Le disposizioni di cui all’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”), emerge che la norma in questione ha riguardo alla TIA2; qui, come detto, non applicata. Né, in ogni caso, può ad essa attribuirsi efficacia interpretativa-retroattiva; aspetto sul quale sono intervenute le SSUU con ord.17113/17.
Chiamate a pronunciarsi sulla natura tributaria dell’addizionale provinciale ambientale ex art. 19 d.lgs 504/92 (positivamente affermata) le SSUU hanno – da un lato – rilevato elementi strutturali comuni tra TIA1 e TIA2 (oltre che TARI), n quanto “(…) tutte caratterizzate dai medesimi presupposti: a) mancanza di nesso diretto tra prestazione e corrispettivo; b) il compenso ricevuto dal prestatore dei servizi non è il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario”; escludendo tuttavia – dall’altro – l’efficacia interpretativa retroattiva dell’art.14, co.33, cit..
Le SSUU hanno osservato, in particolare, che tale disposto potrebbe “essere esteso alla TIA1 solo ove si ritenga che ci si trovi di fronte ad una norma di carattere sostanzialmente interpretativo. Ma così non è perché la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Cassazione era, già al momento della entrata in vigore del D.L. 78/2010, pacificamente orientata nel senso di ritenere la natura tributaria e non di corrispettivo della TIA1”.
4.1 Con il sesto motivo di ricorso il gestore lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 24 Cost., nonché omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato la carenza della legittimazione passiva di esso gestore, atteso il principio per cui il rimborso dell’Iva versata al gestore doveva essere proposta nei diretti confronti dell’agenzia delle entrate, alla quale l’imposta era stata attribuita.
Con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione dell’articolo 100 cpc nonché omessa motivazione su un punto decisivo. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato la carenza di interesse ad agire in capo alla contribuente, in quanto soggetto passivo Iva; e dunque titolare di un corrispondente credito Iva, nei confronti dell’amministrazione finanziaria, sulle fatture Tia da essa registrate.
4.2 Le doglianze sono infondate.
Come già evidenziato, si verteva nella specie non già di azione di ripetizione promuovibile a carico del soggetto destinatario finale del tributo illegittimamente riscosso, bensì di impugnativa ex art.19 d.lgs. 546/92 di atto impositivo.
Impugnativa correttamente proposta dalla società contribuente – ad evitare la definitività della pretesa – nei confronti dell’ente gestore del servizio, che tale atto aveva formato ed emesso al fine di procedere al realizzo di importo parzialmente non dovuto.
Ferma dunque restando la potestà di tale soggetto di chiamare in giudizio l’ente impositore (potestà non esercitata), la legittimazione passiva del soggetto gestore in relazione alla impugnativa proposta dalla società contribuente nei confronti di un suo atto di natura sostanzialmente impositiva non era dubitabile; discendendo tale legittimazione passiva dai poteri di accertamento e riscossione ad essa attribuiti in forza della convenzione stipulata con il Comune (Cass.17491/17).
Conclusione di effettiva sussistenza ricorre anche per quanto concerne l’interesse ad agire in capo alla società opponente; ravvisabile di per sé – rispetto azione che, come detto, non concerne l’accertamento dei presupposti del rimborso di somme già versate – nell’attuazione del diritto ad ottenere l’invalidazione parziale di un atto impositivo illegittimo, ed altrimenti destinato a fungere da titolo definitivo dì esazione integrale a favore del soggetto gestore.
5. Con l’ottavo motivo di ricorso la società di gestione deduce violazione dell’articolo 111, co. 6, Cost. e difetto di motivazione. Per non avere la commissione tributaria regionale preso in esame tutti i motivi di censura da essa formulati, limitandosi ad affermare la non applicabilità dell’Iva alla Tia in ragione della ritenuta natura tributaria di quest’ultima (circostanza tuttavia di per sé non dirimente ai fini della statuizione di non debenza dell’Iva).
Il motivo non può trovare accoglimento.
Esso risulta inammissibile nella parte in cui lamenta la mancata disamina, da parte della commissione tributaria regionale, di tutti i motivi di appello proposti dalla società di gestione. Motivi che non vengono tuttavia riproposti, né meglio indicati nella presente sede di legittimità; nemmeno vengono specificati i “fatti decisivi” per la controversia che la commissione tributaria regionale avrebbe omesso di prendere in esame.
Vero è che, da quanto si evince dalla (del tutto generica) formulazione del motivo di ricorso in esame, la censura mossa alla sentenza di appello pare riferibile non tanto ad altri “motivi” di gravame propriamente intesi, quanto ad altri “argomenti” ovvero “ragioni” poste dal gestore a fondamento giuridico e riscontro dei “motivi” di appello concernenti l’asserita legittimità dell’Iva sulla Tia.
Si tratta dunque di censure argomentative in puro diritto, e dunque suscettibili di venire riproposte nell’ambito dei motivi formulati nella presente sede di legittimità; cosa che, nei limiti in cui sia avvenuta, non è comunque valsa – per le considerazioni sin qui svolte – ad inficiare la ratio decidendi adottata nella sentenza impugnata.
Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso. Nulla si provvede sulle spese, stante la mancata partecipazione al presente giudizio della parte intimata.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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