CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 gennaio 2017, n. 1673
Professionisti – Avvocati – Pagamento della parcella – Obbligo – Soggetto che ha conferito il mandato
Svolgimento del processo
A.M., con citazione notificata nel gennaio 2005, citò innanzi al tribunale di Milano il commercialista dr P.P. e l’avv. M.P., chiedendo che si accertasse la insussistenza – nei propri confronti come persona fisica o come imprenditore individuale – del credito complessivo di euro 139.861,40 di cui euro 74.919,67 per onorari relativi a prestazioni di assistenza e consulenza svolte dal P. ed euro 64.941,73 per assistenza e consulenza stragiudiziale rese da entrambi i professionisti nel periodo novembre 1998 – ottobre 2003, oggetto di fatture pro-forma spedite all’attrice; chiese in subordine che si determinasse l’eventuale somma dovuta una volta accertato il reale contenuto delle prestazioni stesse.
A sostegno della domanda sostenne gran parte dell’attività dei professionisti si sarebbe riferita e sarebbe stata a vantaggio della srl B. della quale era stata amministratrice delegata sino alla dichiarazione di fallimento; specificò che se pure la società B. era stata costituita nel giugno 2000 e sebbene che nell’ambito societario essa deducente era stata nominata amministratrice delegata solo con delibera del 6 agosto 2001, già in precedenza poteva impegnare la società, e quest’ultima sarebbe stata tenuta a riconoscere i debiti nascenti da rapporti con terzi intrapresi anche essa deducente, in forza di un patto parasociale, redatto il 20 giugno 2000, e predisposto dallo stesso avv. P.
I convenuti, costituendosi con separate comparse, contrastarono la domanda e svolsero richiesta riconvenzionale di condanna della M. in proprio e quale socia accomandataria della sas L’I. di M. A. & C., al pagamento delle somme specificate nelle fatture pro-forma.
Fu chiamata in causa la s.a.s. L’I. che, costituendosi, eccepì l’indeterminatezza delle domande contra se rivolte e la loro infondatezza.
L’adito Tribunale, con sentenza pubblicata il 7 luglio 2009, accertò la legittimazione passiva della s.a.s. e condannò la M. al pagamento – stabilito in via equitativa – di euro 30.000,00 in favore del P. lunga e di euro 25.000 a vantaggio del P., oltre oneri previdenziali, fiscali e ritenute, nonché alla corresponsione degli interessi nella misura stabilita con decreto legislativo 231/2002, dalla domanda al saldo; condannò la sola sas al pagamento di euro 5000 oltre accessori come sopradetto.
La M., agente in proprio, propose appello, lamentando: la decisione secondo equità senza che le parti avessero concluso in tal senso; il mancato rispetto dell’onere probatorio da parte degli originari convenuti sia per quanto concerneva l’effettività dell’esecuzione delle prestazioni parcellate sia in ordine alla misura degli interessi sia all’applicazione a detti accessori dei criteri relativi ai c.d. crediti commerciali; sia, infine, la mancata pronuncia sui rilievi dedotti dall’appellante.
Il P. ed il P. svolsero appello incidentale sindacando la liquidazione secondo equità ed insistettero per la condanna della M. sulla base delle originarie richieste; non si costituì la s.a.s. L’I.. La Corte di Appello di Milano, pronunciando sentenza n. 1474/2012, pubblicata il 27 aprile 2012, riformò in parte la gravata decisione, condannando la M. in proprio e quale socio accomandatario della s.a.s.. L’I. al pagamento di euro 73.800,06 in favore dell’avv. P. e di euro 83.007,41 in favore del dott. P., oltre, per entrambi, oneri previdenziali, fiscali e ritenute e con gli interessi nella misura determinata in primo grado.
Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la M., sulla base di cinque motivi di annullamento, non notificando l’atto al P., con il quale era intervenuto un accordo transattivo; l’avv. P. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta un ricorso incidentale sulla base di quattro motivi.
Motivi della decisione
Ricorso principale
1 – Con il primo motivo si sostiene che la motivazione posta a base della decisione sarebbe affetta dai vizi indicati nell’art. 360, 1 comma n. 5 – nella formulazione vigente anteriormente alla riforma portata dal decreto legge n. 83/2012, convertito con modificazioni nella legge n. 134/2012; si denuncia altresì la violazione degli artt. 115 e 116 cpc, nella parte in cui il giudice dell’appello avrebbe escluso che la M., nel periodo di attività preso in considerazione nelle notule speditele dall’avv. P., avesse potuto conferire alcuni degli incarichi in nome e per conto della srl B., in quanto priva del potere di rappresentanza della predetta società, non tenendo quindi conto della produzione del patto parasociale sottoscritto dalla stessa M. e dall’altro socio C., a mente del quale entrambi dovevano considerarsi amministratori – prima dunque che la M. assumesse formalmente tale qualità nell’agosto 2001, con la conseguenza che, una volta costituita la società B., a seguito della iscrizione nel registro delle imprese, la ricorrente, del tutto legittimamente, avrebbe agito in nome e per conto della società, facendo dunque sorgere in capo ad essa e non a lei stessa le relative obbligazioni di pagamento per le prestazioni professionali svolte a favore della srl B., a nulla rilevando la mancata iscrizione del nominativo della predetta come amministratrice nel registro delle imprese, stante la natura dichiarativa e non costitutiva della stessa. Se la Corte distrettuale avesse preso in esame quel documento la decisione sarebbe stata diversa in quanto il giudice dell’appello avrebbe dovuto verificare nel dettaglio quali delle attività poste in essere nel periodo intercorrente dalla formale costituzione della società B. – 8 agosto 2000 – alla nomina di un liquidatore giudiziario – 24 febbraio 2002 – fossero state svolte dall’avv P. nell’interesse della B..
1.a – Ricorda altresì la ricorrente che una parte dell’attività svolta dall’avv. P. – quella risultante dalla notula denominata “B. 1”, relativa al periodo dal 17 aprile 2000 al 13 giugno 2001 – quantificata in euro 15.435,81, svolta nell’interesse della B. srl, era già stata oggetto di accertamento in sede di fallimento di quella società e dunque già vi sarebbe stato un accertamento della imputazione alla società stessa e non ad essa deducente; sottolinea inoltre che la non riferibilità dell’attività alla società avrebbe semmai potuto essere predicata per il periodo precedente la costituzione della medesima ma non per quello successivo: anche in questo caso la motivazione viene assunta come lacunosa.
2 – Con il secondo motivo, logicamente connesso al precedente, viene dedotto che la condanna al pagamento della somma già ammessa al passivo del fallimento della srl B. avrebbe costituito una sostanziale violazione del disposto dell’art. 2462 cod civ. in base al quale nelle società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il proprio patrimonio e non già il singolo socio.
3 – Con il terzo motivo è denunciata la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in quanto si assume che la Corte di Appello non avrebbe considerato che, pur quando si chiede l’accertamento della inesistenza di un credito, l’onere della prova della esistenza e consistenza del credito rimane a carico del convenuto il quale, oltretutto, nella fattispecie, aveva agito in via riconvenzionale per il riconoscimento del credito negato dall’attrice; contravvenendo a tale principio la Corte del merito aveva dichiaratamente posto a carico della ricorrente l’onere della dimostrazione dei fatti posti a fondamento della domanda (sono richiamate sentenze della sezione lavoro tra le quali 12108 del 2010); quanto poi alla congruità delle prove offerte dai professionisti la ricorrente ne deduce la non decisività attesa la provenienza unilaterale e la non ricavabilità da esse dello svolgimento effettivo delle attività svolte né, tanto meno, nell’interesse di chi effettuate.
4 – I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto affrontano, sotto diverse prospettive, la problematica – centrale in questo giudizio – sulla identificazione del soggetto tenuto al pagamento delle spettanze professionali. Essi sono fondati pur con le precisazioni che seguono.
3.a – Partendo dall’ovvia considerazione che l’incarico non può che essere conferito da una persona fisica e che questa si identifica con la M.; tenuto conto che è parimenti pacifico che le molteplici attività svolte dall’avv. P. avevano ad oggetto sia prestazioni a favore della predetta quale persona fisica, sia quale legittima rappresentante della società B., sia come agente in nome della stessa (pur non essendo ancora legalmente rappresentante della medesima ma solo in virtù di un c.d. patto parasociale, peraltro non opponibile al prestatore d’opera intellettuale) sia infine come socia accomandataria della sas L’I., appare evidente che la Corte del merito – in disparte le competenze in favore dell’accomandita, già coperte da giudicato – ha disatteso la primaria esigenza di identificare il soggetto in favore del quale la prestazione era stata effettuata, in quanto, se è indubitabile che ben può assistersi ad una dissociazione tra il conferente l’incarico e il beneficiario della prestazione, è altrettanto indubbio che non può concludersi per l’esclusiva addebitabilità al primo delle obbligazioni da questo assunte, le volte in cui si sia accertata la spendita della qualitas di legale rappresentante del secondo: appare in quest’ottica contraddittorio addebitare alla M. le tutte prestazioni involgenti posizioni della società B. (v fol 9 dell’impugnata sentenza) e, nello stesso tempo, detrarre dal complessivo importo dovuto all’avv. P., quanto da questi già ricevuto nella liquidazione del fallimento della società stessa.
3.a.1 – Quanto poi all’onere della prova, la soluzione prospettata dalla Corte del merito – facente leva sulla qualità di attrice in accertamento assunta dalla M. – non teneva conto che il creditore era l’avv. P. e che lo stesso era onerato di dimostrare il titolo per il quale pretendeva il pagamento e che un elemento del rapporto obbligatorio era pur sempre il soggetto passivo dell’obbligazione.
3.a.2 – Va peraltro chiarito che in quest’opera di ricostruzione – che, nonostante la sollecitazione portata dall’appello, non è stata affrontata dalla Corte milanese, nessun rilievo può attribuirsi al patto parasociale che, per il professionista – se pure ne fosse stato l’artefice, come dedotto nel ricorso – rimaneva res inter alios.
4 – La sentenza va dunque cassata e va commessa alla Corte del rinvio una nuova valutazione delle reciproche posizioni delle parti – con riferimento alle notule pro-forma – che distingua prestazioni rese alla M. come persona fisica e come legale rappresentante della società B., essendo oramai coperte da giudicato quelle liquidate con riferimento alla s.a.s. L’I..
4.a – Rimangono di conseguenza assorbiti il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale relativi, il primo, la violazione degli artt. 1, 2 ed 11 del decreto legislativo 9 ottobre 2002 ed il secondo, alla nullità della sentenza per contrasto tra dispositivo e motivazione.
Ricorso incidentale
5 – Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce e ribadisce la inammissibilità dell’appello della M.: a – perché si sarebbe chiesto l’ “annullamento” dei capi di sentenza; b – perché la domanda (subordinata) di accertamento dell’esatto ammontare del dovuto, già avanzata in primo grado, sarebbe stata accolta ed irritualmente riproposta identica in appello, così derogando al disposto dell’art. 342 cpc.
6.a – Il motivo – in disparte la ininfluenza della qualificazione in termini di annullamento in luogo di riforma dei capi di decisione investiti dall’appello – non può trovare accoglimento in quanto non viene riportato il tenore delle argomentazioni poste dalla odierna ricorrente principale a sostegno del proprio appello, così da impedire il necessario raffronto tra queste e le richieste rassegnate dalla stessa, al fine di delibarne la specificità (a foll 28-30 del controricorso sono riprodotte solo per riassunto le motivazioni del gravame)
7 – Sono assorbiti i restanti motivi relativi: il secondo, alla decorrenza e determinazione degli interessi sulle somme liquidate; il terzo, alle spese di lite; il quarto, al trattamento fiscale dei compensi professionali.
8 – La sentenza va dunque cassata in accoglimento – nei termini sopra esposti – i primi tre motivi del ricorso principale; il giudice del rinvio, che si designa nella Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie, nei termini esposti in motivazione, i primi tre motivi del ricorso principale; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale; cassa l’impugnata decisione in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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