CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 gennaio 2018, n. 1644
Imputazione del superminimo a maggiorazioni contrattuali – Differenze retributive – Dequalificazione – Ricorso inammissibile – Atto negoziale tra le parti – Interpretazione riservata al giudice di merito – Eccezione della violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale ovvero di esistenza di vizi di motivazione
Fatti di causa
Con sentenza 6 aprile 2011, la Corte d’appello di Roma condannava “I.M.” s.p.a. ad adibire V.M. alle mansioni vicarie e di coordinamento svolte fino all’ottobre 2002 o ad altre equivalenti: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva respinto tutte le domande proposte dalla lavoratrice. E pertanto, oltre a quella come sopra accolta: di non imputazione del superminimo attribuitole dal 1° marzo 1993 a maggiorazioni contrattuali o compensi per lavoro straordinario feriale e festivo, al lavoro domenicale ed al compenso per “recupero produttività di ristrutturazione”; di accertamento del diritto, anche ai sensi dell’art. 36 Cost., alla percezione del compenso per lavoro straordinario, domenicale e per “recupero produttività di ristrutturazione”; di condanna della società datrice, per i titoli suindicati, della somma di € 328.106,87 oltre accessori; di accertamento del diritto alla percezione dei compensi “premio produttività” e “EDR compensativo” e di condanna al relativo pagamento per la somma di € 24.764,11 oltre accessori; di condanna della società al pagamento delle somme di € 66.906,90 o altra di giustizia, a titolo risarcitorio per demansionamento fino alla data del 31 luglio 2005 e di € 50.000,00, a titolo risarcitorio di trattamento ingiurioso: entrambe oltre accessori.
A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva, per l’univoco significato della lettera 15 febbraio 1992, il riferimento del superminimo, con essa attribuito alla lavoratrice, alla posizione di responsabilità che avrebbe assunto nell’ambito dell’archivio della testata, in quanto comprensivo di tutte le prestazioni eccedenti l’orario contrattuale (feriale, festivo e domenicale) e del compenso denominato “recupero produttività di ristrutturazione”: con validità del patto di conglobamento di tali voci, per la loro analitica indicazione, ancorché priva dei rispettivi importi. Ed essa riteneva pure l’adeguatezza del superminimo all’entità dell’attività straordinaria e domenicale prestata dalla lavoratrice, alla luce delle risultanze della prova orale esperita.
La Corte capitolina negava quindi la spettanza di differenze retributive a titolo di EDR compensativo ad personam (riservato dall’accordo di ristrutturazione aziendale 26 febbraio 1992 ai dipendenti che già fruivano dei soppresso premio di produttività, tra i quali non rientrava V.M.), né dei due premi con esso istituiti, siccome l’uno (“premio recupero di produttività ristrutturazione”) espressamente conglobato nel superminimo riconosciutole e l’altro (“premio di produttività giornaliero”) riservato a dipendenti di aree (stampa e preparazione) diverse dalla sua (archivio).
La Corte territoriale accertava invece la dequalificazione subita dalla lavoratrice dall’ottobre 2002 (per l’adibizione ad inferiori mansioni di inserimento e ricerca dati), pertanto da rimuovere con il ripristino di quelle in precedenza svolte (di vice caposervizio e di coordinamento) od altre equivalenti; senza tuttavia alcuna condanna risarcitoria da demansionamento, in difetto di specifica allegazione di danni, né di carattere ingiurioso.
Con atto notificato il 19 (21) giugno 2012, V.M. ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui resisteva II Messaggero s.p.a con controricorso contenente ricorsi incidentale e incidentale condizionato (entrambi articolati su unico motivo), cui replicava la lavoratrice con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366 c.c., per erronea interpretazione della lettera 15 febbraio 1993 nel senso dell’attribuzione del superminimo a titolo, anziché di compenso per la più elevata posizione riconosciuta alla lavoratrice, di conglobamento in unica voce dei compensi per le prestazioni eccedenti l’orario contrattuale (feriale, festivo, domenicale) e di “recupero produttività di ristrutturazione”, in contrasto con la volontà della società datrice di incremento della sua retribuzione.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce contraddittoria motivazione sul patto di conglobamento, erroneamente ritenuto valido, nonostante la mancata specificazione dell’importo dovuto per ogni singola voce in esso compresa, per l’errata interpretazione del principio di diritto affermato da precedente di legittimità espressamente citato.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 112, 437, secondo comma c.p.c. e contraddittoria motivazione, in ordine all’erronea valutazione della domanda di maggior retribuzione per lavoro domenicale, pure ritenuta nuova, nonostante la sua tempestiva proposizione nel ricorso in primo grado, anche ai sensi dell’art. 36 Cost., con determinazione nell’importo di € 95.994,55 sulla base di analitici conteggi ad esso allegati, ai sensi degli artt. 7 e 8 del CCNL tempo per tempo vigenti.
4. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione degli artt. 36 Cost., 2099 c.c., 7 e 8 CCNL per dipendenti delle aziende editrici di giornali quotidiani 8 giugno 1991, 19 ottobre 1994, 22 luglio 1999, 15 aprile 2003, per la ragionevolezza erroneamente ritenuta del patto di conglobamento, in esito a valutazione di adeguatezza del superminimo commisurato alla retribuzione ordinaria, anziché a quella contrattualmente dovuta per la prestazione lavorativa domenicale, pari ad una maggiorazione minima del 180%: comportante una complessiva spettanza, sull’accertata frequenza di tre o quattro domeniche mensilmente lavorate, determinata nei conteggi allegati al ricorso introduttivo in € 95.994,55, superiore di oltre un terzo al superminimo complessivamente percepito.
5. Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2103 c.c. ed omessa e contraddittoria motivazione, per il mancato riconoscimento di un danno risarcibile in conseguenza dell’accertato demansionamento, sull’erroneo assunto della generica allegazione della sua concreta esistenza, siccome effetto sempre conseguente al demansionamento e liquidabile anche in via equitativa in relazione alle sue natura, entità e durata.
6. Con unico motivo, la società a propria volta deduce, in via di ricorso incidentale, insufficiente motivazione in ordine allo svolgimento dalla lavoratrice di mansioni vicarie nel reparto archivio ed al successivo demansionamento, in difetto di indicazione delle prove ritenute idonee, né del criterio di valorizzazione.
7. Sempre con unico motivo, essa deduce, in via di ricorso incidentale condizionato, la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi (anteriori al 6 ottobre 2000), in assenza di valore interruttivo delle lettere di generica contestazione inviate dalla lavoratrice e decorrente in costanza di rapporto di lavoro, assistito da tutela reale per l’occupazione di oltre sessanta dipendenti dalla società datrice.
8. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366 c.c., per erronea interpretazione della lettera 15 febbraio 1993 nell’attribuzione del superminimo, è inammissibile.
8.1. Come noto, non è sindacabile in sede di legittimità l’atto negoziale tra le parti, essendo la sua interpretazione riservata al giudice di merito, salva la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale ovvero l’esistenza di vizi di motivazione (Cass. 4 maggio 2009, n. 10232; Cass. 18 aprile 2008, n. 10218; Cass. 7 settembre 2005, n. 17817; Cass. 2 marzo 2004, n. 4261), che, nel caso di specie, neppure sono stati specificamente indicati (se non per generica enumerazione nella rubrica), né tanto meno il loro scostamento dai corretti canoni ermeneutici.
8.2. Sicché all’interpretazione ben plausibile della Corte territoriale, quale giudice del merito, sorretta da congrua motivazione, esente da vizi logici né giuridici (per le argomentate ragioni esposte dal secondo al quarto capoverso di pg. 3 della sentenza), neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), la parte contrappone una interpretazione dei fatti sua propria, intesa ad una sostanziale inammissibile sollecitazione a revisione del merito (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).
9. Il secondo motivo, relativo a contraddittoria motivazione sul patto di conglobamento erroneamente ritenuto valido, è infondato.
9.1. Non ricorre, infatti, il vizio di contraddittoria motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., che presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, ossia l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Né esso può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. s.u. 21 dicembre 2009, n. 26825).
9.2. Nel caso di specie, il ragionamento argomentativo della Corte territoriale appare giuridicamente corretto e logicamente congruente, pienamente adeguato a spiegare l’esito decisionale (per le ragioni esposte dal terzultimo capoverso di pg. 3 al primo periodo di pg. 4 della sentenza).
Ed esso si sostiene sull’esatta applicazione del principio di diritto, secondo cui il patto di conglobamento nei compensi corrisposti per le prestazioni lavorative di corrispettivi ulteriormente dovuti al lavoratore subordinato per legge o per contratto (quali la tredicesima mensilità, il compenso per le ferie e per le festività), può essere ammesso solo se dal patto risultino gli specifici titoli cui è riferibile la prestazione patrimoniale complessiva, poiché solo in tal caso è superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria, e si rende possibile il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto (Cass. 4 giugno 2002, n. 8097; Cass. 7 aprile 2010, n. 8255): senza necessità della specificazione anche degli importi, eccedente la suddetta finalità distintiva degli istituti conglobati dalla retribuzione per l’attività ordinariamente prestata.
10. Il terzo motivo, relativo a violazione degli artt. 112, 437, secondo comma c.p.c. e contraddittoria motivazione in ordine all’erronea valutazione della domanda di maggior retribuzione per lavoro domenicale, pure ritenuta nuova nonostante la sua tempestiva proposizione, è infondato.
10.1. La censura offre una prospettazione equivoca, posto che la Corte territoriale ha chiaramente distinto il lavoro domenicale prestato dalla lavoratrice e ritenuto provato (al quart’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza) da quello diverso prestato nelle festività coincidenti con la domenica: ad esso solo riconoscendo carattere di novità della domanda (“con riferimento al compenso previsto dall’art. 8 ccnl per il lavoro prestato nelle festività coincidenti con la domenica”: così al terzultimo capoverso di pg. 4 della sentenza).
10.2. Ed in effetti, di esso la ricorrente non ha documentato la tempestiva deduzione (ovviamente autonoma, avendo la prestazione natura e remunerazione diverse da quella domenicale: come risultante dalla specifica distinzione proprio dell’art. 8 del CCNL allegati per estratto, genericamente invocato, alle lettere sub a, da una parte e b, c, dall’altra) fin dal primo grado: dall’estratto del ricorso introduttivo e così pure dei conteggi (doc. sub 2 allegato al ricorso) evincendosi solo l’allegazione di lavoro domenicale e non a titolo di festività coincidenti con la domenica.
10.3. Sicché, ben a ragione la domanda al suddetto titolo è stata qualificata nuova, pertanto non proponibile per la prima volta in appello, in quanto introduttiva, per l’alterazione anche di uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, di una causa petendi fondata su una situazione giuridica non prospettata in primo grado, con inserimento nel processo di un nuovo tema di indagine, sul quale non si era formato in precedenza il contraddittorio (Cass. 11 aprile 2013, n. 8842; Cass. 15 ottobre 2015, n. 20851).
11. Il quarto motivo, relativo a violazione degli artt. 36 Cost., 2099 c.c., 7 e 8 CCNL per dipendenti delle aziende editrici di giornali quotidiani 8 giugno 1991, 19 ottobre 1994, 22 luglio 1999, 15 aprile 2003, per la ragionevolezza erroneamente ritenuta del patto di conglobamento, è inammissibile.
11.1. La censura appare generica, a fronte della valutazione di pertinenza e adeguatezza complessiva del trattamento conglobato, operata dal giudice di merito in raffronto comparativo con l’importo della retribuzione ordinaria (così al penultimo capoverso di pg. 4 della sentenza).
La ricorrente non ha infatti provveduto, come era suo onere, ad allegare puntualmente un’alternativa migliore liquidazione di compensi cui avrebbe avuto diritto, neppure potendo il trattamento conglobato essere scisso nelle sue singole voci.
Sicché, il mezzo si risolve nella sostanziale contestazione della valutazione operata dalla Corte territoriale, sulla scorta di una genericamente reclamata lesione di diritti inderogabilmente spettanti alla lavoratrice per legge o in virtù della contrattazione collettiva (Cass. 7 aprile 2010, n. 8255; Cass. 12 novembre 2008, n. 27027; Cass. 4 giugno 2002, n. 8097).
11. Il quinto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, / 1226, 2043, 2103 c.c. ed omessa e contraddittoria motivazione, per il mancato riconoscimento di un danno risarcibile in conseguenza dell’accertato demansionamento, è infondato.
11.1. La corte territoriale ha operato un accertamento di “genericità di allegazione”, adeguatamente e congruamente motivato (per le ragioni esposte al terzo e quarto capoverso di pg. 6 della sentenza), in esatta applicazione dei principi regolanti la materia.
11.2. In tema di danno da demansionamento, il risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre, infatti, automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, né può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo, dell’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non è conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, sicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore l’onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (Cass. s.u. 24 marzo 2006, n. 6572; Cass. 26 gennaio 2015, n. 1327; Cass. 4 febbraio 2015, n. 2016; Cass. 1 marzo 2016, n. 4031).
12. L’unico motivo incidentale, relativo a insufficiente motivazione in ordine allo svolgimento dalla lavoratrice di mansioni vicarie nel reparto archivio ed al successivo demansionamento, è infondato.
12.1. Occorre qui ribadire quanto già ritenuto in riferimento allo scrutinio del secondo mezzo principale, nel senso dell’inesistenza del vizio di insufficiente motivazione denunciato. E ciò perché esso sussiste soltanto quando sia riscontrabile, nel ragionamento del giudice di merito risultante dalla sentenza, un’obiettiva deficienza del criterio logico di formazione del suo convincimento. Ma non già quando oggetto di censura sia la difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove del giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. s.u. 21 dicembre 2009, n. 26825).
12.2. Sicché, il motivo si risolve un una critica del ragionamento decisorio, sotto il principale profilo valutativo degli elementi probatori acquisiti, ridondante in una sollecitazione alla rivisitazione, in contrapposizione con la ricostruzione giudiziale, del merito decisorio, non consentita in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato congruamente argomentata (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 6 della sentenza), con indicazione delle fonti di prova a fondamento della decisione, nella spettanza esclusiva del giudice di merito.
13. L’unico motivo incidentale condizionato, relativo a prescrizione quinquennale dei crediti retributivi, è assorbito dal rigetto del ricorso principale.
14. Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto dei ricorsi principale e incidentale, con assorbimento di quello incidentale condizionato e la compensazione integrale delle spese del giudizio tra le parti, reciprocamente soccombenti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi principale e incidentale, assorbito l’incidentale condizionato; dichiara interamente compensate le spese del giudizio tra le parti.
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