CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 giugno 2017, n. 15691
ICI – Accertamento – Terreno ritenuto edificabile
Ritenuto
che il Comune di Nettuno aveva appellato la sentenza della CTP di Roma con cui era stato accolto il ricorso proposto da C. e T.C. avverso l’avviso di accertamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), per gli anni dal 2003 al 2006, relativa a terreno ritenuto edificabile, e la CTR del Lazio, con sentenza n. 675/01/11, confermava la decisione di primo grado, favorevole alle contribuenti, rilevando che il terreno assoggettato ad imposta non meritava la qualificazione di area edificabile solo perché inserito nel PRG adottato dal Comune, in quanto la potenzialità edificatoria a scopi privati era inesistente essendo l’area “destinata ad essere utilizzata come parcheggi, sede stradale, servizi parascolastici e che allo stato poteva essere utilizzata solo a scopi agricoli cosicché “l’appetibilità economica del terreno e la sua valutazione commerciale risultano di fatto azzerate dai vincoli gravanti sul bene e lo rendono difficilmente collocabile sul mercato ad un valore venale che non sia pari a quello agricolo”;
che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune con un motivo, cui resistono le intimate con controricorso e memoria,; che il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso;
Considerato
che con il motivo di doglianza il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 2, L. n. 248 del 2006, nonché 2 e 5, D.Lgs. n. 504 del 1992, giacché la CTR è incorsa in errore su un punto decisivo della controversia in quanto, come ricavabile delle risultanze catastali versate in atti, il terreno de quo risulta inserito nel PRG tra le aree fabbricabili e tanto è sufficiente ai fini qui considerati, rimanendo irrilevante la mancata adozione della strumentazione urbanistica di dettaglio, esulando la fattispecie esaminata dalla nozione di “edificabilità di fatto” e non avendo le contribuenti fornito in giudizio elementi probatori contrari agli accertamenti e valutazioni effettuati dall’ente impositore;
che la questione posta dal ricorrente con il motivo di doglianza può essere agevolmente risolta alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), secondo cui <<In tema d’ICI, a seguito dell’entrata in vigore degli artt. 11 quaterdecies, comma 16, del d.l. n. 203 del 2005, convertito nella I. n. 248 del 2005, e 36, comma 2, del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella I. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1992, l’edificabilità di un’area, ai fini della determinazione della base imponibile, da effettuare in base al valore venale e non a quello catastale, deve essere desunta dalla qualificazione attribuitale nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, salva, però, la necessità di valutare la maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie dell’immobile, nonché la possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione in ragione delle concrete condizioni esistenti al momento dell’imposizione>> (Cass. n. 12377/2016);
che la decisione della CTR è in linea con la suesposta giurisprudenza di legittimità in quanto muove dalla affermazione che per stabilire la natura del terreno è necessario fare riferimento al criterio della “mera potenzialità edificatoria”, intesa come concreta appetibilità del suolo, poiché il piano regolatore adottato costituisce un elemento già fiscalmente valutabile, ma è fatta salva la possibilità di tenere conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie e della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione, in quanto elementi comunque incidenti sul valore del bene in comune commercio (Cass. S.U. n. 25506/2006);
che, infatti, la pronuncia delle Sezioni Unite dianzi menzionata ben evidenzia che “la equiparazione legislativa di tutte le aree che non possono considerarsi “non inedificabili”, non significa che queste abbiano tutte lo stesso valore dal momento che, con la perdita della inedificabilità di un suolo (cui normalmente, ma non necessariamente, si accompagna un incremento di valore) si apre soltanto la porta alla valutabilità in concreto dello stesso;
che, pertanto, in sede di valutazione, la minore o maggiore attualità e potenzialità della edificabilità dovrà essere considerata per una corretta valutazione del valore venale delle stesse, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, per l’ICI, e D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, per l’imposta di registro; che, quindi, del tutto correttamente la CTR ha ritenuto di dover tener conto, nella determinazione della base imponibile ICI, del criterio del “valore venale in comune commercio” e quindi della maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie dell’ area, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore della stessa, con oneri di allegazione e prova incombenti sull’Amministrazione (che assume e valorizza la differente appetibilità economica dell’area rispetto a quella catastalmente stabilita), e con conseguente necessità per il giudice tributario <<di orientare il proprio apprezzamento a criteri storici e concreti e non già ad apprezzamenti standardizzati e teorici>> (Cass. n. 14385/2010 citata), apprezzamento che, nel caso di specie, si fonda sulla circostanza che l’appetibilità economica del terreno e la sua valutazione commerciale risultano di fatto azzerate dai vincoli gravanti sul bene che lo rendono difficilmente collocabile sul mercato ad un valore venale che non sia pari a quello agricolo”;
che è appena il caso di osservare che il ricorrente non può porre, in questa sede, un problema di valutazione del materiale probatorio, trattandosi di questione di stretto merito, attingibile, se del caso, sotto il profilo dell’inadeguatezza della motivazione, vizio invero neppure dedotto, non essendo la decisione impugnata affetta, per quanto detto, da errori di diritto;
che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.200,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.