CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 marzo 2017, n. 7511
Lavoro – Settore terziario – Licenziamento per giusta causa – Conversione in licenziamento per giustificato motivo soggettivo – Allontanamento dal posto di lavoro – CCNL
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza resa pubblica il 18/5/2015 in parziale riforma della pronuncia di prime cure, dichiarava legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato in data 28/5/2012 dalla S.p.a. S.V. nei confronti di D.D. e lo convertiva in licenziamento per giustificato motivo soggettivo; condannava la società al pagamento dell’indennità di preavviso contrattuale e delle competenze retributive dalla data del licenziamento sino al termine del preavviso.
Nel proprio percorso argomentativo, la Corte distrettuale osservava che, ai sensi dell’art.217 c.c.n.I. dipendenti aziende del settore terziario, il licenziamento disciplinare era previsto, fra l’altro, nel caso di assenza ingiustificata per oltre tre giorni nell’anno solare; per recidiva nei ritardi ingiustificati oltre la quinta volta nell’anno solare; per recidiva oltre la terza volta nell’anno solare in qualunque mancanza che prevedesse la sospensione. Precisava che, nello specifico, con lettera di contestazione del 26/4/2012, era stato addebitato alla lavoratrice l’allontanamento dal luogo di lavoro senza giustificazione e senza autorizzazione, dalle 17 alle 17,40 e che, nell’anno solare, le era stato contestato il tentativo posto in essere il 17/1/2012, di dissimulare il ritardo nell’inizio del turno di lavoro omettendo di registrare l’orario di ingresso, cui aveva fatto seguito l’irrogazione della sanzione di quattro ore di multa.
Deduceva, quindi, la Corte di merito, che se il comportamento assunto dalla lavoratrice non poteva congruamente ascriversi nell’ambito della disciplina sancita ex art. 217 c.c.n.I. di settore, tuttavia, esso integrava gli estremi del notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro che giustificava, in coerenza coi dettami di cui all’art.221, l’intimazione del recesso per giustificato motivo soggettivo.
La cassazione di tale pronuncia è domandata da D.D. sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso la s.p.a. S.V. che ha nel contempo spiegato ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la Sig. D. deduce omessa motivazione su un punto decisivo; violazione dell’art. 5 L.604/66, art. 1 comma 48 1.92/2012 e dell’art. 2697 c.c.
Si critica la sentenza di appello per aver ritenuto come tardivamente impugnata la contestazione disciplinare del 17/1/2012. Si osserva che l’interesse ad impugnare giudizialmente una sanzione conservativa di modesta entità, ben può sorgere al momento in cui questa venga utilizzata a supporto di un provvedimento ablativo e che detta sanzione era da ritenersi, nello specifico, non dimostrata, non essendo stata svolta alcuna attività istruttoria al riguardo. Si deduce, quindi, che i fatti oggetto di addebito, non potessero essere in alcun modo considerati ai fini della decisione.
2. Il motivo presenta indubbi profili di inammissibilità laddove, per il tramite della denuncia del vizio di violazione di legge, e la contemporanea deduzione del vizio di motivazione, mira a pervenire ad una rinnovata ricognizione della fattispecie scrutinata, inibita nella presente sede di legittimità giacché l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed impinge nella valutazione del giudice di merito possibile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione (vedi, ex plurimis, Cass. 16/07/2010 n. 16698).
Deve al riguardo considerarsi che il nuovo testo dell’art. 360 cod. proc. civ., n.5 applicabile nella fattispecie, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
La parte ricorrente deve dunque indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881). Nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n.5 è dunque scomparso ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.
In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.
Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
Nella specie la ricorrente si limita a proporre una diversa lettura ed interpretazione dei dati acquisiti al giudizio, inammissibile, per quanto sinora detto.
3. Non può sottacersi del resto che la Corte ha elaborato una valutazione globale dei fatti, secondo la discrezionalità che le compete, formulando un giudizio che, in quanto congruo sotto il profilo logico e corretto sotto il versante giuridico, si sottrae alle censure all’esame.
Il giudice del gravame – pur rilevando in via meramente incidentale che la contestazione disciplinare di cui alla lettera 17/1/2012 non era stata tempestivamente impugnata – ha infatti ascritto all’ambito del notevole inadempimento i fatti oggetto della lettera di contestazione datata 26/4/12, considerando i comportamenti addebitati con missiva 17/1/12 (e consistiti nel tentativo di dissimulare il ritardo nell’inizio del turno di lavoro, omettendo di registrare l’orario di ingresso), come meramente rafforzativi di tale convincimento, precipuamente sotto il profilo soggettivo, ”denotando un atteggiamento di assoluta indifferenza per le ragioni produttive ed organizzative del datore di lavoro”.
Corollario di quanto ora detto, è la non decisività della censura che non è idonea ad inficiare la qualificazione dei fatti oggetto della lettera di incolpazione del 26/4/12 operata dal giudice del gravame, in termini di notevole inadempimento.
4. Con il secondo mezzo di impugnazione la Sig. D. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 225 c.c.n.I. di settore ed omessa considerazione di un fatto decisivo. Si deduce che la mancanza ascritta non sarebbe in alcun modo riconducibile alla predetta disposizione contrattuale collettiva – secondo cui il licenziamento disciplinare si applica in caso di assenza ingiustificata per oltre tre giorni nell’anno solare o per la recidiva oltre la terza volta nell’anno solare, – laddove il codice disciplinare aziendale prodotto dalla società all’art. 3 prevedeva la sanzione della multa nei confronti del lavoratore che abbandoni il posto di lavoro senza giustificato motivo o senza avvertire il superiore.
5. Il motivo è privo di pregio.
Va rimarcato come il percorso motivazionale che innerva l’impugnata sentenza non si fondi sulla asserita violazione dei dettami di cui all’art.225 c.c.n.I. di settore la cui applicazione alla fattispecie, per contro, viene espressamente esclusa dal giudice dell’impugnazione.
Da ciò discende l’inconferenza della censura rispetto al decisum, e, di conseguenza, l’inammissibilità della stessa.
Come infatti questa Corte ha più volte affermato, e va qui ribadito, la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (vedi Cass. 18/2/2011 n.4036, Cass. 3/8/2007 n.17125), situazione,questa, che non appare ravvisabile nella fattispecie scrutinata.
6. Ciò non senza considerare che ulteriore mancanza si rileva in relazione a detta seconda critica, anche laddove lamenta la violazione dell’art. 3 del Regolamento aziendale, non risultando che la relativa applicazione sia stata oggetto di dibattito fra le parti nel corso del giudizio di merito. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., ad esempio, Cass. 28/7/2008 n. 20518), qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono, infatti, proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti” (vedi ex aliis, Cass. 26/3/2012 n.4787). Il motivo, pertanto, non si sottrae ad un giudizio di inammissibilità per novità della censura
7. Con la terza censura del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 230 c.c.n.I. di settore. Si deduce che la disposizione di cui all’art. 225 rimarrebbe priva di alcun senso ove si ammettesse che, escluso il licenziamento disciplinare, gli stessi presupposti di fatto possano giustificare l’intimazione di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
8. Il motivo va disatteso
Osserva la Corte che è principio più volte enunciato da questa Corte quello secondo il quale la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo; l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (cfr., tra le tante, Cass 16/3/2004 n. 5372, Cass. 9/7/200 n. 15334, Cass. 18/2/2011 n. 4060, Cass. 1/12/14 n. 25380 in motivazione).
Nello specifico la Corte territoriale, si è conformata al richiamato orientamento giurisprudenziale, valutando la condotta contestata alla lavoratrice sulla base della nozione legale di giusta causa di licenziamento ex art. 2119 cod. civ. il giudice di appello ha correttamente ricostruito la condotta della D. in tutti i suoi profili (soggettivo ed oggettivo) evidenziandone l’illiceità e la gravità anche in relazione all’art. 2106 cod. civ., sicché l’addebito mosso era tale da far venir meno la fiducia del datore di lavoro nel futuro corretto adempimento della prestazione lavorativa (in tal senso ex plurimis Cass. 18/9/2014 n.19684, Cass. 29/9/2003 n. 14507.
9. Con il ricorso incidentale la società denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.2119 c.c. in relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c..
Si duole che la Corte distrettuale, pur riconoscendo che i fatti addebitati integrassero un notevole inadempimento, avesse erroneamente ritenuto i medesimi fatti non idonei ad impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro.
10. La doglianza è priva di fondamento.
È, infatti, ammissibile, anche in sede d’impugnazione, la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, in quanto le dette causali del recesso datoriale costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso. Ne consegue che il giudice – senza incorrere in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. – può valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo qualora – fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione, e persistendo la volontà del datore di lavoro di risolvere il rapporto – attribuisca al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest’ultimo tipo di licenziamento (vedi ex aliis, Cass. 9/6/2014 n.12884).
Conformandosi al detto principio la Corte distrettuale, con valutazione adeguata ed esente da vizi logici, ha apprezzato il comportamento posto in essere dalla lavoratrice ritenendo che il licenziamento in tronco fosse connesso ad una reiterazione di comportamenti sanzionabili disciplinarmente, non ravvisabile nella specie.
11. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, anche il ricorso incidentale è respinto.
Alla reiezione di entrambi i ricorsi consegue la compensazione fra le parti, del presente giudizio di legittimità.
Occorre, infine, dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
P.Q.M.
Rigetta entrambi i ricorsi. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte deil4 ricorrente principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi principale ed incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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