CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 marzo 2017, n. 7513
Inps – Contributi per maternità iscritti a ruolo – Aliquota contributiva – Mantenimento della posizione assicurativa presso l’INPDAP
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Genova con sentenza 389/2012 ha respinto l’appello della G.R.G. srl avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto sussistente l’obbligazione contributiva iscritta a ruolo dall’INPS in relazione al pagamento della contribuzione per cassa integrazione guadagni ordinaria, per cassa integrazione guadagni straordinaria e per mobilità, dichiarando invece non dovuti da parte dell’Azienda i soli contributi per maternità iscritti a ruolo dall’INPS e compensando per intero le spese processuali.
La Corte d’appello confermava perciò nel merito la statuizione di primo grado riformando invece la sentenza, appellata incidentalmente dall’INPS, per la sola parte delle spese processuali che compensava per un terzo condannando la società al pagamento dei rimanenti due terzi a favore dell’INPS.
A fondamento del decisum la Corte ha ritenuto che la soluzione adottata dal tribunale in merito ai contributi CIGO, CIGS e mobilità recepisse l’orientamento di legittimità oramai consolidato (Cass. 14847/20009, Cass. 5816/2010). Per quanto riguardava i contributi per maternità sosteneva che andasse confermata la soluzione adottata dal tribunale in quanto la aliquota ridotta era stabilita dal legislatore all’art. 79 d.lgs. 151/2001 che con previsione avente portata di carattere generale aveva ridotto il contributo per maternità nel settore dell’industria allo 0,46% (con una riduzione del 0,57%); e ciò valeva per tutti i datori di lavoro privati indipendentemente dal regime pensionistico dei dipendenti.
Contro la sentenza, hanno proposto autonomo ricorso per cassazione l’INPS sulla base di un motivo e G.R.G. srl sulla base di due motivi, in relazione ai quali le parti hanno depositato il rispettivo controricorso, nonché memorie ex art. 378 c.p.c.
Equitalia Nord è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. Con l’unico primo motivo di ricorso l’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 78 e 79 del d.lgs. 26.3.2001 n. 151, oltre al vizio di motivazione (art. 360, 1 comma n. 3 e 5 c.p.c.) e ciò perché contrariamente a quanto sostenuto dal giudice d’appello la riduzione di aliquota contributiva allo 0,46 % per il calcolo dei contributo di maternità prevista dall’art. 79 non si applica a tutti i dipendenti privati ma ai soli dipendenti iscritti all’INPS e non anche a quelli che abbiano conservato l’iscrizione all’INPDAP in seguito ad opzione individuale ex art. 5 L. 274/1991.
Il ricorso dell’INPS è infondato. Questa Corte, in numerose pronunzie, ha chiarito che il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 78, comma 1, prevede, a decorrere dall’1.1.2002, la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza della fiscalizzazione degli importi delle indennità di maternità erogate per eventi successivi al 1 luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza alcun riferimento all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 23, con la conseguente applicabilità della riduzione contributiva anche sulle retribuzioni dei lavoratori che siano dipendenti da datori di lavoro privati e che, in forza di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della posizione assicurativa presso l’INPDAP, (v., tra le altre, Cass. n. 9593/2014, 7834/2014, 18455/2014, 14098/2014, 8211/2014). È stato in particolare precisato che il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 78 (in cui è stato trasfuso la L. n. 488 del 1999, art. 49, commi 1, 4 e 11), introduce la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza (“Conseguentemente”) della prevista messa a carico del bilancio statale (nei limiti indicati) degli importi delle prestazioni relative ai parti, alle adozioni e agli affidamenti intervenuti successivamente al luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza far quindi alcun riferimento all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 23; non può quindi condividersi l’assunto dell’INPS secondo il quale la suddetta disposizione costituirebbe la disciplina di riferimento. Sotto il profilo testuale, inoltre, il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 79 stabilisce espressamente che il contributo “in attuazione della riduzione degli oneri di cui all’art. 78” è “dovuto dai datori di lavoro (…) sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti”; l’inequivoca dizione legislativa “tutti i lavoratori dipendenti” impedisce pertanto di accogliere l’opzione ermeneutica secondo cui la riduzione in parola non dovrebbe applicarsi per i lavoratori (dipendenti da datori di lavoro privati) che, per effetto di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della propria posizione assicurativa presso l’Inpdap” (Cass. n. 18455/2014).
2. Con il primo motivo del proprio ricorso, attinente ai contributi per CIGS e CIGO, G.R.G. srl, denuncia plurime violazioni di legge (art. 3 d.lvo 869/1947, mod. con l’art. 4, della I. 270/1988, art. 2 I. 5.11.1968 n. 115, art. 1 l. 20.5.1975 n. 164, art. 16 l. 23.7.1991 n. 223, art. 2093 c.c , art. 22 l. 8.6.1990 n. 142 successivamente trasfuso nell’art. 113, t.u. 267/2000), nonché vizio di motivazione, deducendo che alla luce della disciplina interna e comunitaria, l’esonero dalla contribuzione per la cassa integrazione previsto dall’art. 3 d. C.P.S. n. 869 del 1947 in favore delle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate e dello Stato, non è riferibile soltanto alle società esercenti servizi pubblici a capitale totalmente pubblico ma deve essere esteso anche a quelle a capitale maggioritario pubblico ed a influenza dominante pubblica; in particolare, nell’articolata deduzione, si richiama la nozione di influenza dominante (da parte del soggetto pubblico) quale tratto distintivo della impresa pubblica e sostengono la infondatezza dell’assunto secondo il quale la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato e gli enti pubblici ne posseggono le azioni in tutto o in parte trattandosi di persona giuridica privata, che opera nell’esercizio della sua autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico. Ad avviso delle ricorrenti, infatti, ciò che rileva non è il dato formale della personalità giuridica privata e/o l’esercizio o meno di poteri autoritativi, al fine di determinare una significativa alterazione del modello societario tipico, ma il dato sostanziale dell’unitarietà economica e funzionale con il soggetto pubblico proprietario di semplice maggioranza; ciò sarebbe sufficiente a determinare un’alterazione del modello societario.
3. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione dell’art. 14 L. n. 223 del 1991 e vizio di motivazione, la ricorrente censura, mediante richiamo alle medesime argomentazioni svolte nel primo motivo, il mancato riconoscimento del diritto all’esonero dalla contribuzione per mobilità.
4. I due motivi di ricorso, trattati congiuntamente in quanto presentano tematiche comuni scaturenti dal fatto che la contribuzione per mobilità, ai sensi dell’art. 16 l. n. 223 del 1991, è dovuta per le imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, sono manifestamente infondati.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (v. tra le altre, Cass. n. 14847 del 2009, n. 5816 del 2010, n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, n. 27513 del 2013, n. 14089, n. 13721 del 2014; ord. n. 9185 del 2015; ord. n. 176/2016) in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico. E’ stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. (Cass. n. 20818 del 2013, Cass. 27513 del 2013). Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
5. In conclusione entrambi i ricorsi delle parti sono da respingere per infondatezza. Atteso l’esito del giudizio le spese di lite sono compensate per intero.
P.Q.M.
Rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese.
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