CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 luglio 2017, n. 18191

Inail – Cartelle esattoriali – Opposizione – Termine di prescrizione

Fatti di causa

La Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza del Tribunale con cui il primo giudice aveva accolto l’opposizione alle cartelle esattoriali, emesse su istanza dell’Inail in base ai verbali ispettivi del 9 marzo 2001 e del 9 maggio 2002, proposta dalla società A. e B. di C. &G srl, nei limiti della prescrizione quinquennale.

La Corte territoriale, premesso che correttamente era stato applicato il termine di prescrizione quinquennale di cui alla legge n. 335 del 1995, ha ritenuto che dai rapporti di presenza acquisiti presso lo stabilimento petrolchimico di Gela, nonché dalle risultanze dei verbali di accertamento, non risultavano dimostrati i fatti costitutivi posti a base dell’Istituto per le richieste contributive.

Ha affermato, infatti, con riferimento alle contestazioni dell’Inail in base alle quali i lavoratori, pur in cassa integrazione, avevano svolto attività lavorativa nonché ore di lavoro in eccedenza rispetto a quelle registrate a busta paga, che doveva ritenersi insufficiente il richiamo alle indicazioni sulle presenze di personale contenute nei rapporti di presenza, acquisiti presso lo stabilimento, non provenienti dal datore di lavoro e non rivestendo valenza confessoria ; né essendo sufficienti le dichiarazioni rese dall’ispettore, né tanto meno le divergenze tra le dichiarazioni rese dalla società all’Inail rispetto a quelle rese all’Inps.

Avverso la sentenza ricorre l’Inail con un motivo ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cpc.

Resiste con controricorso la società.

Ragioni della decisione

Il ricorrente denuncia vizio di motivazione, mancato esame di un punto decisivo della controversia e del precedente specifico tra le stesse parti, di uno dei motivi di ricorso di appello con conseguente violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione agli articoli 360 numero 4 e 5 cpc.

Osserva che la Corte aveva deciso in modo diametralmente opposto rispetto ad un precedente specifico della stessa Corte di cui non aveva tenuto conto, sebbene richiamato nelle note depositate dall’Inail; né aveva esaminato le ingiustificate discordanze tra quanto dichiarato dalla società all’Inail e quanto dichiarato all’Inps, come accertato dagli ispettori, circostanza già di per sé prova dell’omissione contributiva. Lamenta, infine, l’erronea valutazione del verbale ispettivo sotto il profilo probatorio nonché delle dichiarazioni rese dagli ispettori sottolineando la totale carenza della motivazione.

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

L’unico motivo, nelle sue articolazioni, è formulato in violazione delle regole previste dal codice di rito per la proposizione del ricorso in cassazione.

Va, infatti, rilevato, con riferimento alla censura di nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 cpc per violazione dell’art. 112 cpc, che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione (cfr tra le tante Cass 8585/2012, n. 18202/2008).

Nella fattispecie non è configurabile il vizio denunciato per avere la Corte d’appello disatteso un proprio precedente favorevole all’Istituto, né tantomeno la nullità della sentenza può essere affermata per non avere la Corte spiegato le ragioni del proprio operato. La nullità della sentenza denunciabile in cassazione per violazione del principio della necessaria corrispondenza tra ciò che viene chiesto e il contenuto della pronuncia è configurabile in caso di omessa pronuncia , da parte dell’impugnata sentenza i in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte dalla parte e non già semplicemente su una delle tante argomentazioni difensive della parte. Sotto tale profilo la denuncia di nullità della sentenza risulta inammissibile.

E’, altresì, inammissibile il ricorso nella parte in cui è denunciata l’omessa pronuncia circa le difformità tra quanto denunciato dalla società all’Inps e quanto denunciato all’Inail. A riguardo, infatti, non può che rilevarsi come la Corte d’appello abbia espressamente escluso che la prova del credito dell’Istituto non può essere presunta “dalla riferita discordanza tra le dichiarazioni rese all’Inail rispetto a quelle rese all’Inps stante la genericità del rilievo “. A prescindere dunque che la Corte ha fornito una motivazione , nessuna nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 cpc è configurabile anche in tale fattispecie non riconducibile al vizio denunciato.

Il ricorso è inammissibile anche sotto il profilo del denunciato vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n 5 cpc. L’Istituto, infatti, nel ribadire che i verbali ispettivi facevano piena prova della sussistenza del debito contributivo della società, non ne riporta il contenuto quanto meno nei suoi tratti salienti e, soprattutto, non espone gli accertamenti istruttori effettuati dagli ispettori idonei ad escludere la fondatezza di quanto affermato dalla Corte d’appello e, dunque, le censure non colgono la ratio decidendi della decisione impugnata.

La Corte territoriale ha affermato, infatti, che l’Inail non aveva provato i fatti costitutivi da cui sarebbe scaturita la sua pretesa e che cioè i lavoratori, pur se in cassa integrazione, avevano svolto attività lavorativa o ore di lavoro in eccedenza non registrate in libro paga. Secondo la Corte, infatti , erano insufficienti le indicazioni sulla presenza del personale contenute nei rapporti di presenza acquisiti presso lo stabilimento senza alcuna dimostrazione che i predetti rapporti attestassero l’effettiva presenza dei dipendenti all’interno dello stabilimento e l’effettiva prestazione di attività lavorativa.

Secondo la Corte, inoltre, il richiamo alle dichiarazioni dell’ispettore non era dirimente in quanto il teste si era limitato a confermare il verbale ispettivo. E poiché parte ricorrente non ha punto censurato tali affermazione, limitandosi a ribadire il valore probatorio dei verbali ispettivi, non rinvenendosi in ricorso alcuna compiuta argomentazione circa i rilievi svolti dalla Corte in ordine al valore probatorio dei rapporti di presenza , non può che darsi continuità al principio secondo cui la proposizione con il ricorso per cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso, non potendo quest’ultimo essere configurato quale impugnazione rispettosa del canone di cui all’art. 366 n. 4 c.p.c. (v. in tal senso Cass. n. 17125 del 2007).

Quanto al valore probatorio della sentenza di questa Corte n 9704/2013 – che ha confermato una sentenza della Corte d’appello tra le stesse parti con cui è stata rigettata l’opposizione alla cartella proposta dalla società -, va rilevato , da un lato, come riconosciuto dallo stesso Inail ,che detto precedente non costituisce giudicato poiché relativo a periodi contributivi diversi. Dall’altro lato deve rilevarsi che, come emerge dalla sentenza di questa Corte citata, la Corte d’appello aveva deciso all’esito di accertamenti che non sono riportati nel presente giudizio nel quale non si conosce neppure il tipo di accertamento svolto dagli ispettori.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna dell’Istituto a pagare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Inail a pagare le spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.800,00 per compensi professionali , oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.