CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 novembre 2017, n. 28092
Pubblico impiego – Danno non patrimoniale – Domanda di collocamento a riposo – Errata registrazione – Revoca della domanda – Requisiti pensionistici ex art. 13, co. 5, L. n.724/1994
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza in data 11/07/2012, a conferma della decisione del Tribunale, stessa sede, n. 2224/2009, ha rigettato il ricorso di G. P., insegnante, nei confronti del Dirigente Scolastico, G. S. e del Dirigente del Provveditorato agli Studi di Milano, A. Z.. La domanda aveva a oggetto la condanna in solido degli appellati, al pagamento del danno non patrimoniale, per il periodo 1997-2009, derivante dalle gravi conseguenze dovute all’errata registrazione della domanda di collocamento a riposo da parte degli uffici, danno calcolato in Euro 200.000 o, comunque, da disporre in via equitativa.
L’istanza fu presentata allo scopo di beneficiare dei requisiti pensionistici introdotti dall’art. 13, co. 5, I. n.724/1994, ma venne respinta dall’amministrazione per tardività. Depositata presso l’istituto scolastico il 27/09/1994, essa fu protocollata il 29/09/1994, mentre la legge in oggetto indicava quale data di scadenza dell’accettazione, quella del 28/09/1994.
Contro ogni sua volontà, soltanto al fine di non subire le conseguenze pregiudizievoli delle sue intempestive dimissioni, G. P. revocò la domanda di collocamento a riposo e rimase in servizio, e, nonostante la revoca dell’istanza di cessazione dal servizio, chiese al giudice amministrativo di poter beneficiare comunque della normativa pensionistica di suo interesse. Nelle more del processo amministrativo l’appellante intraprese un giudizio per querela di falso avente a oggetto il cambiamento della data dell’istanza sul registro del protocollo, il cui esito fu a lei favorevole sia in primo grado che in appello e, tuttavia, alla ripresa del procedimento amministrativo il Tar, e successivamente il Consiglio di Stato, ritennero che la revoca incondizionata della domanda di dimissioni avesse determinato acquiescenza da parte della ricorrente rispetto al provvedimento di reiezione dell’istanza di collocamento a riposo per tardività.
G. P. avviò poi un altro giudizio dinanzi al giudice del lavoro per sentir dichiarare l’illegittimità del rifiuto del riesame, da parte del Dirigente del Provveditorato, dell’originario provvedimento di rigetto dell’istanza per tardività, che si concluse con la pronuncia delle Sezioni Unite (n. 16611/2005), che dichiarò il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario ex art. 69, co.7 d.lgs. n. 165/2001, essendo il ricorso proposto avverso un provvedimento del 19/05/1995, ratione temporis ricadente sotto la giurisdizione amministrativa.
Il giudizio de quo costituisce, pertanto, l’epilogo di un’annosa vicenda giudiziaria che ha visto pronunciarsi giudici di vario ordine e grado; il ricorso di G. P., illustrato da memoria difensiva, in questo caso si rivolge, con tre censure, alla cassazione della sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano ha negato alla stessa il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, non avendone ritenuta raggiunta prova nel giudizio di merito, anche muovendo dal presupposto che i rilievi nei confronti delle presunte condotte illecite degli appellati fossero stati formulati solo successivamente alla revoca incondizionata delle dimissioni da parte dell’appellante.
G. S. e A. Z. risultano costituiti.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con la prima censura parte ricorrente deduce omessa e insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, consistenti nell’avere la sentenza gravata ritenuto che, di fronte all’accertamento, da parte del giudice amministrativo, dell’esistenza di una revoca incondizionata delle dimissioni da parte della ricorrente, non avessero rilevanza i fatti illeciti ingenerati dai provvedimenti amministrativi censurati: per S., la cattiva tenuta del registro del protocollo, e per Z., l’omessa trasmissione della dichiarazione di rettifica.
Deduce, altresì, riguardo alla responsabilità di G. S., violazione dell’art. 3 d.lgs. n.29/1993 e dell’art. 85 del R.D. n.965/1924 nonché omessa, insufficiente e incongrua motivazione. Sotto il primo profilo censura la sentenza per aver genericamente escluso la responsabilità dello stesso circa la ritardata registrazione della domanda di dimissioni nel registro del protocollo, disattendendo le norme richiamate in epigrafe, dalle quali risulta che tale responsabilità è sempre stata posta in capo al Preside (art. 85 R.D. n.965/1924) e, successivamente, al Dirigente Scolastico (art. e d.lgs. n.29/1993); sotto il secondo profilo l’omessa motivazione avrebbe riguardato il fatto per il quale, se la domanda fosse stata correttamente protocollata la ricorrente avrebbe goduto dei benefici della norma pensionistica a decorrere dal 1/07/1997, il che conferma che sussiste una responsabilità per danno da ritardata registrazione in capo a G. Sammartmo.
Deduce ancora, sempre con riferimento alla responsabilità di quest’ultimo, una serie di violazioni di norme penali (artt. 323, 328, 479 e 493), e di norme della I. n.241/1990 (artt. 1, 2, 3, 7, 8), nonché omessa e insufficiente motivazione di una serie di fatti controversi decisivi per il giudizio. La sentenza è censurata per aver negato la natura dolosa o gravemente colposa dell’ulteriore condotta del controricorrente, consistente nella mancata trasmissione della dichiarazione che precisava l’errore di registrazione, ritenendo sufficiente la giustificazione che questi aveva dato nel giudizio per querela di falso, secondo la quale, il mancato inoltro della rettifica era dipeso dal non avere egli acquisito certezza della ritardata registrazione; e ancora la sentenza è contestata per aver ritenuto legittima la condotta del Dirigente Scolastico, nonostante questa fosse in contrasto con i principi di correttezza, buona fede e trasparenza amministrativa.
La prima censura è inammissibile.
La motivazione della sentenza gravata è corretta e non sindacabile sul punto della validità della revoca incondizionata delle dimissioni da parte della ricorrente (in data 28/09/1994) con effetto di acquiescenza al provvedimento di diniego di ammissione della sua domanda di collocamento a riposo per tardività (in data 19/05/1995).
La censura non si palesa autosufficiente, là dove, facendo originare il fatto illecito da una determinazione diversa da quella (19/05/1995) prospettata in premessa, e risalente al 19/07/2002 (ribadita il 7/10/2002) con cui il Dirigente del Provveditorato avrebbe “…deliberatamente ignorato i comportamenti contrari all’ordinamento dell’ing. S. (irregolare tenuta dei registri del protocollo; e, ciò che più conta, mancata trasmissione della decisiva dichiarazione di rettifica), conculcando illecitamente il diritto della ricorrente al pensionamento dall’1/09/2002 ex art. 13, co. 5 cit.” (p. 8 del ricorso), non chiarisce in qual modo, la presunta omissione in motivazione del giudizio d’illiceità dei comportamenti abbia inciso sulla decisione. La sentenza ha motivato, di contro, come l’accertata reiterazione della revoca incondizionata delle dimissioni da parte della ricorrente avesse escluso ogni volontà colpevole da parte del Dirigente Scolastico, il cui comportamento si era rivelato del tutto legittimo.
Di conseguenza, quanto al ruolo del S., il giudizio della Corte territoriale non può dirsi viziato da alcuna omissione, di tal che, la censura di omessa motivazione formulata non si palesa autosufficiente e declina verso una valutazione del fatto, inibita in sede di legittimità.
Tutte le altre doglianze dedotte nella prima censura mossa all’impugnata sentenza si risolvono sostanzialmente in una domanda di riesame del merito della causa, e cioè, in un’inammissibile richiesta di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice del merito, e perciò diretta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di Cassazione (v. Sez. Un. n.8053/2014).
E allora è bene ribadire che il ricorso per cassazione non introduce un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia dei vizi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ.
In altri termini, non è consentito alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata, valutando nel complesso il materiale probatorio acquisito ha dato conto in modo adeguatamente motivato della decisione adottata, seguendo un iter logico-argomentativo congruo, coerente e privo di vizi logico-giuridici, pervenendo alla conclusione che gli elementi acquisiti non consentissero di ritenere illecito il comportamento di G. S..
2. Con la seconda censura parte ricorrente contesta omessa e insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.
Alla condotta illecita tenuta dal Dirigente Scolastico si sarebbe aggiunta anche quella del Dirigente del Provveditorato A. Z., che volutamente ignorando il danno inflitto dalla condotta del primo, lo ha aggravato mediante il provvedimento in data 7/10/2002 col quale rifiutava un riesame della situazione, trincerandosi dietro l’assenza di fatti rilevanti che ne confermassero l’opportunità e dietro il paravento (fuorviante) del giudicato amministrativo. Diversamente la ricorrente sarebbe stata collocata in quiescenza dall’1/09/2002.
La seconda censura è inammissibile.
Anche in merito alla posizione di A. Z., la sentenza gravata appare adeguatamente motivata, nell’escludere l’illiceità del comportamento di questi per non aver revocato il primo rifiuto dell’Ufficio, affermandone, anzi, la piena legittimità, una volta accertata l’acquiescenza, da parte della ricorrente, al primo provvedimento di rigetto dell’istanza, attraverso la revoca incondizionata delle sue dimissioni. Per ogni altra valutazione contenuta nella censura, restano valide le stesse ragioni espresse in precedenza sull’inammissibilità, dinanzi a questa Corte, del motivo di ricorso che tenda a introdurre surrettiziamente, attraverso l’invocazione del vizio di omessa motivazione, un riesame del merito della causa.
3. La terza e ultima doglianza, si appunta sia sulla violazione di legge (art. 2 Cost., art. 2059 cod. civ., art. 9 d.lgs.n.61/2000), sia sull’omessa e insufficiente motivazione. Rispetto alla presunta mancata prova del pregiudizio subito parte ricorrente, richiamando la giurisprudenza di questa Corte sull’immaterialità del danno esistenziale, ritiene di aver dimostrato comunque quanto il comportamento dei controricorrenti abbia inciso pesantemente sulle sue scelte di vita, tra le quali la trasformazione necessitata del rapporto di lavoro in part time, e la penalizzazione che ne sarebbe derivata sotto il profilo sia retributivo sia previdenziale (per il minore ammontare del t.f.r. e della pensione maturata nel 2009).
La terza censura è altresì inammissibile.
La sentenza gravata (pag.6) dà esattamente conto della mancata prova del danno subito dalla ricorrente a causa dei provvedimenti di cui lamenta l’ingiustizia, che, emessi successivamente alla revoca incondizionata della sua domanda di prepensionamento, hanno finito per rivelarsi ininfluenti sulla sua sfera giuridica, in alcun modo pregiudicando il proprio diritto a proseguire la sua attività di insegnante scolastica fino al raggiungimento naturale dei requisiti di legge per il collocamento a riposo.
Pertanto, essendo le censure inammissibili, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento nei confronti dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2500 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.
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