CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2018, n. 1916
Nullità del ricorso in materia di lavoro – Domanda avente ad oggetto spettanze retributive – Irrilevanza della mancata formulazione di conteggi analitici o la mancata notificazione, con il ricorso, del conteggio prodotto dal lavoratore
Fatti di causa
1. Con sentenza del 19 marzo 2015, la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato l del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a B. Di C. il 21 giugno 2011 dalla società F. V. e R. & c. Sas e, in parziale modifica di essa e in accoglimento di un motivo di gravame formulato dalla società, ha condannato la medesima al pagamento della minor somma di euro 10.942,05 a titolo di differenze retributive.
2. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il 19 settembre 2015 la società in accomandita con quattro motivi. Resiste con controricorso B. Di C..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 420, co. 5, 115, 116, 157, co. 2, c.p.c., nonché inammissibilità e nullità della prova acquisita. Si deduce che in primo grado, dopo talune udienze, a quella del 27 febbraio 2013 il procuratore della ricorrente aveva depositato “un foglio di deduzioni contenente richieste istruttorie” nonché documentazione e che, nonostante l’opposizione della resistente, il primo giudice aveva dato ingresso anche alla prova orale e documentale così tardivamente richiesta. Si critica la sentenza d’appello, investita di specifico gravame sul punto, per aver considerato applicabile il comma 5 dell’art. 420 c.p.c., ritenendo che la società aveva in giudizio parzialmente modificato le ragioni poste a fondamento del recesso (da licenziamento determinato dalla necessità di procedere ad una generica riduzione del personale a soppressione del posto di cassiera occupato dalla Di C.), per cui, confrontando i capitoli di prova articolati nel ricorso introduttivo e quelli contenuti nella memoria del 27 febbraio, si poteva riscontrare “la sostanziale coincidenza degli stessi, con la sola aggiunta delle circostanze relative alla perdurante operatività dopo il licenziamento di tutte le casse esistenti nel punto vendita”. Si censura poi che la Corte territoriale non abbia dato rilievo alla circostanza che comunque le richieste istruttorie erano state formulate “oltre la prima udienza”, sull’assunto che “in tutti i verbali precedenti sono stati disposti meri rinvii, su richiesta concorde delle parti, in ragione di trattative per una definizione transattiva della lite”.
Il motivo, oltre a mancare di autosufficienza in quanto non vengono riportati i contenuti delle prove testimoniali richieste ed ammesse né tanto meno quello dei documenti prodotti, rendendo in tal modo impossibile verificare la decisività dell’atto di acquisizione probatoria di cui si eccepisce la nullità, è infondato.
Infatti la Corte territoriale ha dichiaratamente fatto applicazione del comma 5 dell’art. 420 c.p.c. che consente al giudice di primo grado di ammettere, nella “udienza di discussione della causa”, i mezzi di prova “che le parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti”.
La valutazione in ordine alla rilevanza così come circa il fatto che la proposizione tempestiva non fosse altrimenti possibile – o perché la necessità della richiesta sorga per effetto di fatti addotti a difesa dalla controparte o a sostegno di domande riconvenzionali (Cass. n. 8131 del 1987; Cass. n. 4638 del 1985; Cass. n. 2192 del 1983), ovvero in relazione ad una inaspettata contestazione sollevata dall’avversario su di una circostanza che poteva ragionevolmente considerarsi pacifica (Cass. n. 1509 del 1995) o anche a seguito della contestazione della prova documentale allegata “ab origine”, ritenuta dalla parte istante quale prova idonea a sostenere i fatti dedotti in giudizio (Cass. n. 18206 del 2006) – appartiene all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è preclusa ove, come nella specie acclarato dalla Corte territoriale, si siano tenute precedenti udienze in cui non è stata svolta alcuna attività perché le parti avevano concordemente richiesto rinvii finalizzati al componimento della Quanto ai documenti, inoltre, non risulta neanche efficacemente censurato il rilievo della Corte abruzzese secondo cui gli stessi non sono stati utilizzati dal giudice di primo grado.
2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 115, co. 2, dell’art. 3 I. n. 604/66 e dell’art. 2697 c.c. ex art. 360 n. 3” nonché “omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio” per avere i giudici del merito ritenuto insussistente un giustificato motivo di licenziamento, nonostante l’azienda avesse riportato un “indubitabile calo delle vendite”.
Il motivo non può trovare accoglimento perché censura con modalità inadeguate, nonostante la sentenza impugnata sia sottoposta al novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.c, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, un accertamento di fatto, quale indubbiamente è l’esistenza o meno, nel concreto della vicenda storica, delle ragioni addotte a giustificazione del licenziamento.
In particolare non viene efficacemente censurata una delle ragioni poste dalla Corte territoriale a fondamento della sua pronuncia e cioè l’esclusione “dell’assolvimento da parte della stessa società appellante dell’onere probatorio posto a suo carico” a causa “dell’esito non univoco della prova orale relativa alla soppressione della cassa, alla quale era adibita la appellata”; si tratta di motivazione di per sé sola sufficiente a sorreggere la ritenuta illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sulla base di una valutazione del materiale probatorio che non è suscettibile di sindacato di legittimità.
3. Con il terzo mezzo si denuncia “violazione del disposto di cui all’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. ex art. 360, n. 3, c.p.c.”, assumendo che il ricorso introduttivo era “sprovvisto degli elementi di fatto che avrebbero dovuto sostenere la domanda” in quanto la Di C. si sarebbe limitata a dedurre di essere “creditrice di differenze retributive senza, però, specificare quali” e senza notificare i conteggi depositati unitamente all’atto introduttivo del giudizio.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui invoca la violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per un error in procedendo eventualmente rilevante ove fosse stato fatto valere ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., con modalità idonee a denunciare la nullità della sentenza o del procedimento ed invece non si riporta neanche il contenuto del ricorso introduttivo rispetto al quale si lamentano generiche carenze.
Inoltre questa Corte ha affermato, ai fini della nullità del ricorso in materia di lavoro contenente la domanda che abbia per oggetto spettanze retributive, l’irrilevanza della mancata formulazione di conteggi analitici o la mancata notificazione, con il ricorso, del conteggio prodotto dal lavoratore (v. Cass., sez. VI, ord. n. 3126 del 2011, con principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis, co. 1, c.p.c.).
4. Parimenti inammissibile il quarto motivo del ricorso con cui si denuncia “violazione del disposto di cui all’art. 199 e 205 CCNL Commercio ex art. 360 n. 3 c.p.c.” relativi alla riconosciuta indennità di cassa, atteso che non specifica se il contratto collettivo nazionale sia stato prodotto integralmente (cfr. Cass. SS.UU. n. 20075 del 2010) e l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile (Cass. SS.UU. n. 25038 del 2013; Cass., SS. UU. n. 7161 del 2010; conformi: Cass. nn. 17602 del 2011 e n. 124 del 2013)
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto con condanna della società soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo.
Occorre dare atto infine della sussistenza per la ricorrente dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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