CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 luglio 2017, n. 18286
Licenziamento – Concordato preventivo – Cessazione dell’attività aziendale – Puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta
Fatti di causa
Con sentenza n. 435/2014, depositata il 13 novembre 2014, la Corte di appello di Brescia respingeva il gravame proposto da L.P. e altri lavoratori, già dipendenti di S. S.p.A., nei confronti della sentenza del Tribunale di Cremona, che ne aveva rigettato il ricorso diretto ad ottenere l’accertamento dell’inefficacia del recesso loro comunicato in data 20 gennaio 2012 all’esito di procedura ai sensi della I. n. 223/1991.
La Corte di appello, come già il primo giudice, riteneva superflue le comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, posto che, essendo stata la società ammessa alla procedura di concordato preventivo mediante cessione dei beni, era definitivamente venuta meno l’attività aziendale e che – come era da ritenersi pacifico – tutti i dipendenti erano stati, senza esclusione, licenziati e collocati in mobilità; con la conseguenza che non vi era stata, nella specie, alcuna scelta da operare (se non quella a monte del datore di lavoro, insindacabile ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, di cessare definitivamente l’attività) e che non vi era alcun criterio di selezione dei lavoratori che dovesse essere applicato.
Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, con tre motivi, assistiti da memoria, L.P. e altri undici lavoratori; la società ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, deducendo la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere la Corte del merito ritenuto circostanza pacifica, riconosciuta dagli stessi ricorrenti, che tutti i lavoratori sarebbero stati raggiunti dal licenziamento, per effetto della cessazione dell’attività aziendale, senza peraltro che tale rilievo trovasse riscontro nell’atto di appello, come nei precedenti scritti difensivi, nei quali era stato invece unicamente dedotto che soltanto mediante la comunicazione ex art. 4, comma 9, I. n. 223/1991 l’operazione di verifica di tale circostanza sarebbe stata possibile.
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 9, e 24, commi 1 e 2, I. n. 223/1991 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere la Corte, in relazione al caso di definitiva cessazione dell’attività e di licenziamento di tutti i dipendenti, ritenuto la superfluità delle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, I. citata, sul rilievo che in tale caso non vi sarebbero criteri di scelta o modalità applicative da verificare, se non la decisione – già adottata “a monte” e insindacabile in sede giudiziale, ai sensi dell’art. 41 Cost. – di porre termine all’esercizio dell’impresa, con ciò peraltro omettendo di applicare alla fattispecie la norma di cui all’art. 24, comma 2, la quale estende all’ipotesi in cui l’impresa intenda cessare l’attività le disposizioni previste dall’art. 4, commi da 2 a 12, I. n. 223/1991.
Con il terzo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 5, i ricorrenti si dolgono che la Corte, con motivazione carente, abbia ritenuto fatti pacificamente acquisiti l’avvenuta eliminazione dell’intero organico e la cessazione dell’attività aziendale.
E’ fondato, e deve essere accolto, il secondo motivo di ricorso.
La Corte non si è, infatti, uniformata al principio di diritto, secondo il quale “in ipotesi di licenziamento collettivo per cessazione di attività d’impresa, seppure il datore di lavoro non è tenuto a specificare i motivi del mancato ricorso ad altre forme occupazionali, le comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, della I. n. 223 del 1991 devono comunque contenere, oltre la puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, l’elenco dei lavoratori licenziati, al fine di consentire il controllo sindacale sulla corrispondenza all’intenzione emergente dalla comunicazione iniziale circa il coinvolgimento dell’intero organico nella chiusura dell’insediamento produttivo” (Cass. n. 25737/2016).
Al riguardo, si deve ribadire che la procedura disciplinata dalla I. n. 223/1991 trova applicazione, per espressa previsione dell’art. 24, comma 2, anche ai licenziamenti conseguenti alla chiusura dell’insediamento produttivo, con la precisazione che, per effetto di tale estensione, la tutela opera nei limiti della compatibilità della disciplina richiamata con i risultati in concreto perseguibili in relazione alla cessazione dell’attività aziendale e cioè, in sostanza, nella prospettiva di rendere possibile il controllo sindacale sulla effettività della scelta datoriale di porre termine all’esercizio dell’impresa.
Si è invece ritenuto, ad es., che il datore di lavoro non è obbligato a specificare, nella comunicazione di cui all’art. 4 I. n. 223/1991, i motivi del mancato ricorso ad altre forme occupazionali, atteso che tale informazione si giustifica in relazione ad un possibile reimpiego dei lavoratori in alternativa al ricorso alla mobilità, ovvero nella prospettiva di una mera riduzione di personale, che è ipotesi diversa da quella di cessazione dell’attività aziendale (Cass. n. 7169/2003).
E’, tuttavia, chiaro che, in tale ultima ipotesi, soltanto attraverso la comunicazione dell’elenco dei lavoratori licenziati, con l’indicazione per ciascuno “del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia”, così come espressamente stabilito dall’art. 4, comma 9, le organizzazioni sindacali sono poste in grado di verificare e controllare l’effettivo rispetto, da parte dell’impresa, della corrispondenza degli esiti finali della procedura all’intenzione, manifestata nella comunicazione di avvio, in ordine al coinvolgimento dell’intero organico aziendale nella chiusura dell’insediamento produttivo.
Tale comunicazione alle organizzazioni sindacali risulta invece, nel caso di specie, totalmente omessa, secondo quanto accertato dalla Corte territoriale (cfr. sentenza, p. 9).
Nell’accoglimento del secondo motivo di ricorso restano assorbiti il primo e il terzo. La sentenza n. 435/2014 della Corte di appello di Brescia deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, si atterrà al principio di diritto sopra richiamato.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.
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