CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 ottobre 2017, n. 25265
Tributi – Verifica generale nei confronti del contribuente – Emissione dell’avviso di accertamento senza il rispetto del termine dilatorio – Nullità dell’atto
Fatti di causa
La D.S.. s.r.l. propose ricorso, innanzi alla Ctp di Firenze, avverso distinti avvisi d’accertamento notificati dall’ufficio di Firenze, in materia di irpeg, ilor, irap e iva, per gli anni dal 1996 al 2000, e dal 2011 al 2002, nonché un avviso notificato dall’ufficio di Prato per il 2003.
Si costituì l’ufficio, resistendo ai ricorsi.
La Ctp, riuniti in due gruppi di ricorsi, li rigettò con due sentenze.
La Ctp di Prato accolse invece il ricorso per inesistenza della notificazione dell’avviso impugnato.
La Ctr, riuniti i vari appelli proposti, accolse l’impugnazione dell’ufficio di Prato, respingendo invece quella del contribuente, argomentando che dai vari elementi acquisiti si desumeva che la società appellata, avente sede in S.Marino, operasse di fatto in Italia e fosse, di conseguenza, obbligata a rispettare le norme fiscali italiane.
La D..S.. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, formulando undici motivi. Resiste l’Agenzia, con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso.
La ricorrente ha altresì depositato memoria.
Ragioni della decisione
Il ricorso è fondato
Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’incompetenza territoriale dell’ufficio di Prato, riguardo all’emanazione dell’avviso del 2003, in ordine all’art. 360, 1°c., n.4, c.p.c., in quanto, essendo la sede legale della D..S.. ubicata in S.Marino, sarebbe stato competente l’ufficio di Firenze, luogo in cui era operativa una sede amministrativa.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 40,l°c., del d.p.r. n. 633/72, 31,2°c. e 58,3°c., del d.p.r. n. 600/73, in tema di competenza dell’ufficio di Prato dell’Agenzia delle entrate, adducendo che l’unico ufficio competente, per l’iva, era quello di Roma – considerando che la società non aveva rappresentanti fiscali in Italia oppure quello di Firenze, se fosse stata considerata la sede amministrativa della stessa.
Con il terzo motivo, la ricorrente ha invocato la violazione e falsa applicazione dell’art. 73,3°c., Tuir, avendo erroneamente la Ctr ritenuto che la sede amministrativa della stessa società fosse ubicata in Firenze, poiché quest’ultima svolgeva in S.Marino la piena attività negoziale e giuridica.
Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunziato l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, concernente la presenza della sede sociale in S.Marino, in relazione all’art. 360, l°c., n.5, c.p.c., avendo la Ctr attribuito valenza interpretativa a fatti irrilevanti e non significativi, senza esaminare altri elementi, quali i bilanci e i conti correnti.
Con il quinto motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.p.r. n. 600/73, anche in rapporto agli artt. 2727 e 2729, c.c., lamentando che nessun elemento utilizzato dal giudice d’appello avrebbe potuto assurgere a indizio grave, preciso e concordante, idoneo a legittimare l’accertamento induttivo.
Con il sesto motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione dell’art. 12,7°c., della I. n. 212/2000, avendo la Ctr omesso di pronunciarsi su varie eccezioni preliminari (riguardanti: la decadenza dal potere di accertamento; la violazione del termine di gg. 60 di cui al citato art. 12; la detrazione delle imposte versate nella Repubblica di San Marino; l’inapplicabilità delle sanzioni), e dell’art. 112 c.p.c. in ordine all’erroneo calcolo delle sanzioni, di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 472/97, in relazione all’art. 360,l°c., n.4, c.p.c.
Con il settimo motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della I. n. 289/02, anche in relazione agli artt.7,8 e 9 della stessa legge, e alle disposizioni della sesta direttiva Iva, come interpretate dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Con l’ottavo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, 7°c., della I. n.212/2000.
Con il nono motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, 2°e 3°c., del d.p.r. n. 633/72, all’epoca vigente, adducendo l’inapplicabilità di tali norme alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi fornite sul territorio italiano.
Con il decimo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 6 e 12 del d.lgs. n. 472/97, non sussistendo i presupposti applicativi delle sanzioni.
Con l’ultimo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 (ora 165), 3°,4° e 8°c., del d.p.r. n.917/86, in ordine al mancato riconoscimento della detrazione per le imposte versate all’estero.
Il collegio ritiene fondato l’ottavo motivo del ricorso, il cui accoglimento ha carattere assorbente rispetto agli altri motivi.
Dagli atti emerge- ciò è incontestato- che gli avvisi impugnati furono emessi a seguito di una verifica a carattere generale e consegnati al contribuente senza l’osservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12,7°c., della I. n. 212/2000, prima del decorso del termine di 60 gg.
Ora, secondo l’orientamento consolidato della Corte, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, che prevede che l’avviso d’accertamento, salva la ricorrenza di specifiche e motivate ragioni di urgenza, non può essere emesso pena la sua nullità, prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, si applica non solo nell’ipotesi di verifica ma anche di accesso, concludendosi anche tale accertamento con la sottoscrizione e consegna del processo verbale delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni di cui agli artt. 52, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 ovvero 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Cass., n. 2593 del 25.2.2014).
E’ stato altresì affermato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività,
della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (SU, n. 18184 del 29.7.2013).
La giurisprudenza della Corte ha altresì precisato che la garanzia di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000 n. 212 si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso, come prescrive l’art. 52, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (Cass., n. 15624 del 9.7.2014), ed esclude l’ammissibilità della cd. “prova di non resistenza” prevista dall’art. 21 octies, comma 2, della I. 241 del 1990 (Cass., ord. n. 1007 del 17.1.2017) secondo il cui disposto, il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata; l’accoglimento dell’ottavo motivo comporta l’assorbimento degli altri motivi, atteso il carattere preliminare della questione esaminata rispetto alle questioni afferenti al contenuto e alla motivazione della sentenza di secondo grado.
Sussistono i presupposti per decidere il merito della causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti, in quanto la nullità degli avvisi d’accertamento di per sé comporta l’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
Ricorrono invece i presupposti per compensare le spese dei gradi del merito, in considerazione delle incertezze interpretative del suddetto art. 12, protrattesi sino alla sentenza delle Sezioni Unite del 2013.
Infine, il rigetto del ricorso non comporta la condanna all’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1-bis del medesimo art. 13 che, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., n. 5955/14).
P.Q.M.
Accoglie l’ottavo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, e cassa la sentenza impugnata. Decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della D..S.. S.r.l., annullando gli avvisi d’accertamento impugnati.
Compensa le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 20.000,00 oltre alla maggiorazione del 15%, quale rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
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