CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2017, n. 22273
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Concordato preventivo – Reclamo per la risoluzione del concordato – Tardività della domanda – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Agenzia delle Entrate impugna la sentenza App. Milano 15.6.2015, n. 2613/2015, in R.G. n. 55/2015, con cui è stato respinto il suo reclamo avverso il decreto Trib. Milano 4.12.2014 con cui è stata dichiarata la inammissibilità del ricorso per la risoluzione del concordato preventivo di W. s.r.I., per tardività.
2. Ritenne la corte d’appello, a fronte della rappresentazione che nessun pagamento dei crediti tributari privilegiati era stato eseguito dopo l’omologa dalla società, di dover confermare la prima statuizione, sulla premessa che: a) la data prevista per “l’ultimo adempimento previsto” coincideva con quella fissata per la terza ed ultima rata di saldo dei creditori chirografari di classe I (30 giugno 2013) ovvero, “anche considerando” la cessione di marchio e macchine al fine del soddisfacimento del creditore chirografario di classe II, priva di indicazione cronologica ma per questo attinente ad obbligazione immediatamente esigibile, dunque al più il giorno dopo (1 luglio 2013), comunque la domanda del 9 luglio 2014 era tardiva; b) il predetto termine annuale era da considerarsi decadenziale, insuscettibile di interruzione o sospensione, perciò non processuale e per questo estraneo all’applicazione della sospensione feriale di cui all’art. 1 I. n. 742/1969.
3. Il ricorso è su un motivo, ad esso resiste la società con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1 e 3 I. n. 742 del 1969, nonché 36bis e 186 l.f., avendo erroneamente la corte escluso la natura processuale del termine per la domanda di risoluzione del concordato.
2. Il motivo è infondato. Osserva preliminarmente il Collegio che non ha trovato impugnazione l’accertamento condotto dalla corte in punto di “ultimo adempimento”, evento specificamente ricostruito quanto ai pagamenti dovuti ai creditori chirografari di classe I al 30.6.2013 e, quanto ai chirografari di classe II, “al giorno successivo”, posto che per i secondi il concordato prevedeva un saldo senza data ma mediante cessione di beni, né scadenza.
3. Va inoltre ulteriormente premesso che la fattispecie, per come regolata dall’art. 186 I.f., non risulta incisa dalla formulazione acquisita dall’art. 160 co.4 I.f. (per cui «In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari»), né da quella dell’art.161 co.2 lett. e) I. f. («la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore»), trattandosi di disposizioni che l’art. 23 co.1 del d.l. n. 83 del 2015 ha prescritto applicarsi «ai procedimenti di concordato preventivo introdotti successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», dunque con la vigenza della legge 6 agosto 2015, n. 132, a far data dal 21.8.2015.
4. Avendo pertanto la corte di merito cristallizzato l’individuazione dell’ultimo adempimento previsto dal concordato – in coerenza con l’art. 161 co. 2 lett. e), prima parte, l.f. del testo ratione temporis vigente – in una prestazione complessa procedente dall’atto solutorio in favore dei creditori di classe I e al fine culminante nella susseguente cessio bonorum in favore del chirografo di classe II, secondo la previsione del piano omologato, il dies a quo per giudicare di tempestività o meno l’iniziativa risolutiva va solo raffrontato alla quaestio juris della natura del termine dell’art. 186 co.3 I.f.
Sul punto va applicato il principio, cui questa Corte intende dare continuità, per cui «il termine per proporre il ricorso volto alla risoluzione del concordato […] decorre, ai sensi dell’art. 137 legge fall., dalla data di scadenza fissata per l’ultimo pagamento previsto […] mentre soltanto allorché questa data non sia stata fissata il termine annuale, entro cui può richiedersi la risoluzione del concordato, decorre dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione che si compiono non soltanto con la vendita dei beni, dell’imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive» (Cass. 27666/2011). L’identità di ratio rispetto a fattispecie relative al concordato fallimentare appare evidente con riguardo alla natura decadenziale del termine (Cass. 9118/1987), che ora – più vantaggiosamente per i legittimati, già ai sensi dell’art. 137 I.f. – ha riguardo alla proposizione del ricorso e non alla pronuncia: per un verso, nell’attuale testo è trasposto in modo specifico un istituto già codificato nell’art. 137 I.f. cui prima della riforma l’art. 186 I.f. faceva un rinvio in blocco (ed ora invece divenuto residuale) e, per altro verso, con l’omologazione anche del concordato preventivo si determina la chiusura del procedimento, così che il dedotto inadempimento e la domanda di risoluzione non sono eventi o atti interni al primo, ciò escludendo ogni richiamo pertinente all’art. 36bis l.f., che sottrae alla sospensione feriale i termini processuali previsti negli artt. 26 e 36 l.f. e nel presupposto che essi ancora ineriscano al medesimo contesto di procedimento pendente.
5. La conclusione, alla luce della riforma, è avvalorata altresì dall’espunzione della possibilità di instaurazione officiosa, com’era per la citata via del rimando al congegno del concordato fallimentare.
L’istituto condivide invero, con altri dispositivi del sistema concorsuale (come l’eccezionale fallibilità entro l’anno dalla cessazione dell’impresa, secondo l’art.10 I.f.), la medesima esigenza di conferire stabilità alle relazioni commerciali che, avendo riguardo alla funzione della risoluzione, presuppongono quale ormai definitivo, con la omologazione inoppugnabile, l’accordo tra creditori e debitori e dunque solo per ipotesi rigorosamente intesa permettono il potere di provocarne la perdita di efficacia. Tanto più che, si osserva, il rimedio assicurato al creditore insoddisfatto dall’art.186 I.f. non è in assoluto l’unico, ma con esso eccezionalmente e per tutti, valorizzando un inadempimento singolare e non modesto, viene riaperta la originaria concorsualità, di nuovo esposta alle medesime conseguenze di soluzioni alternative, come nel caso di domande di fallimento. In questo senso, anche il positivo apprezzamento di congruità del termine costituisce un limite oggettivo che pone al riparo l’istituto, proprio per la specialità del comparto in cui è inserito, da ogni dubbio di insufficiente tutela del credito, il quale infatti, oltre lo spirare dell’anno, può essere dedotto dal suo titolare declinando altre forme di azione.
6. Il ricorso principale va dunque rigettato, reputandosi peraltro sussistere le condizioni per la integrale compensazione delle spese del presente procedimento, trattandosi di questione disputata e controversa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; dichiara la compensazione delle spese del procedimento di legittimità; ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla I. 228/12, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.
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