CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 gennaio 2018, n. 1962
Tributi – Imposta di registro – Registrazione sentenza civile – Controversia riguardante la misura dell’indennità di espropriazione – Assimilazione al provvedimento espropriativo – Esclusione – Applicazione imposta proporzionale
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
Par. 1. F. T. ed A. T. propongono tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 317/31/13 del 23 settembre 2013 con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione loro notificato dall’agenzia delle entrate – direzione provinciale di Napoli – per imposta proporzionale di registro ed accessori sulla sentenza del tribunale civile di Napoli n. 44/06.
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, ha ritenuto che: – l’appello dell’agenzia delle entrate fosse ammissibile, perché contenente tutti i dati informativi delle parti processuali richiesti dalla legge; – legittimamente l’amministrazione finanziaria avesse richiesto il pagamento dell’imposta proporzionale ai T., in quanto avvinti da vincolo di solidarietà passiva con la controparte Consorzio ASI, ex articolo 57 d.P.R. 131/86; – non sussistessero i presupposti per porre l’imposta a carico esclusivo della parte espropriante ex articolo 57, 8A comma, cit., avendo la sentenza del tribunale civile in oggetto risolto una normale controversia civile di carattere non prettamente espropriativo; – corretto fosse il quantum stabilito dall’amministrazione finanziaria mediante inglobamento nella base imponibile anche degli interessi maturati dal giorno della domanda, così come stabilito in sentenza.
Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, dalla agenzia delle entrate.
Par. 2. Con il primo motivo di ricorso i T. lamentano – ex art. 360, Ia co. n. 5 cod.proc.civ. – “omessa motivazione e comunque omesso esame” sulle eccezioni da essi mosse nell’atto di controdeduzioni in appello, relativamente ai seguenti profili dell’appello dell’agenzia delle entrate: – la mancata indicazione dei dati identificativi, del codice fiscale e della residenza delle parti convenute e relativo difensore; – l’assoluta carenza di esposizione dei fatti di causa; – l’omessa indicazione dei dati fiscali identificativi dell’ente appellante e del suo rappresentante in giudizio; – la mancata indicazione dell’avviso di costituzione ex articolo 163 n. 7 cod.proc.civ.
Il motivo è infondato, posto che il giudice regionale – che ha reso una decisione sul merito della controversia, ritenendo per ciò solo infondate tutte indistintamente le eccezioni mosse dai T. sulle formalità di introduzione dell’appello – ha comunque anche espressamente affermato che l’atto di gravame doveva ritenersi ammissibile, “contenendo tutti i dati informativi richiesti ed essendo ampiamente motivato.
Né gli odierni ricorrenti si fanno carico di dedurre – al di là del vizio motivazionale – una violazione di norma sostanziale o processuale; nemmeno sotto il qualificante ed essenziale profilo del pregiudizio al proprio diritto di difesa che sarebbe, in ipotesi, scaturito dalla obiettiva ed “assoluta” incertezza (astrattamente rilevante, quale causa di nullità, ex art.164 cod.proc.civ.) nella identificazione delle parti processuali in appello.
Tantomeno, i ricorrenti si sono fatti carico dei limiti di compatibilità delle norme di cui al codice di rito con il processo tributario; aspetto, quest’ultimo, tanto più rilevante in considerazione della non integrale applicabilità del disposto dell’articolo 163 cod.proc.civ. (introduzione del giudizio mediante citazione ad udienza fissa) alle peculiari modalità contenutistiche del ricorso avverso atto impositivo, nonché di introduzione del giudizio e fissazione dell’udienza di discussione nel contenzioso tributario (di natura impugnatoria), ex artt. 18 e 53 d.lgs. 546/92.
Par. 3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ.
– violazione e falsa applicazione dell’articolo 57, 8A comma, d.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di considerare che la sentenza del tribunale civile di Napoli n.44/06 aveva avuto ad oggetto un trasferimento di immobile in ragione di pubblica utilità ed in favore di ente pubblico, con conseguente:
– suo assoggettamento ad imposta di registro in misura fissa e non proporzionale; – in ogni caso, insussistenza della solidarietà passiva con la parte (soccombente) Consorzio ASI, unico soggetto passivo dell’imposta.
Il motivo è infondato.
Va intanto premesso che esso non contiene alcuna riproduzione, né puntuale ricostruzione degli aspetti decisori salienti, della citata sentenza del tribunale civile di Napoli n.44/06 (nemmeno si indica se e dove essa sia reperibile all’interno del fascicolo di parte); così da risultare finanche generico e privo di puntuale esposizione dei fatti di causa. Segnatamente per quanto concerne la preclusione, per questa corte, di esattamente individuare, con la dovuta immediatezza, l’effettivo contenuto decisorio e la reale natura del provvedimento giudiziale oggetto di registrazione; aspetti sui quali, pure, l’intera censura si basa.
In ogni caso, va osservato che il giudice di appello, prendendo espressamente in considerazione la invocata ipotesi di deroga di cui all’ultimo comma dell’articolo 57 d.P.R. 131/86 (esenzione dal pagamento dell’imposta della parte espropriata), ne ha poi escluso – nella concretezza della fattispecie – l’applicabilità.
Ciò in ragione del fatto che la sentenza oggetto di registrazione non poteva identificarsi in un provvedimento amministrativo ablativo, idoneo a normativamente fungere quale “atto di espropriazione” ex art. 57 cit.; risolvendosi invece nella definizione giudiziale di una ordinaria controversia civile, assoggettata ad imposta proporzionale ex artt. 37 ed 8 tariffa I Parte all. d.P.R. 131/86, nonché ad ordinario vincolo solidale di registrazione ai sensi del primo comma art.57 cit..
Obiettano i ricorrenti che il trasferimento del bene ebbe luogo, nella specie, in forza di atto deliberativo consortile, sicché la sentenza in esame – determinativa dell’indennità spettante – avrebbe natura “di mera ricognizione della fattispecie traslativa”.
Così però non è.
Va infatti, in proposito, richiamato l’opposto principio stabilito da Cass. 10346/07, secondo cui “il giudizio di opposizione alla stima in materia d’indennità di espropriazione non costituisce un mero controllo giurisdizionale di atti assunti dall’amministrazione nel procedimento espropriativo, né una loro integrazione, ma ha una autonoma portata dispositiva in relazione all’indennità dovuta. Costituisce, inoltre, un errore di prospettiva assegnare alla sentenza che ha determinato una maggiore indennità di espropriazione di quella offerta la stessa funzione del provvedimento espropriativo ciò sui presupposto che “la sottoposizione a tassa fissa dei provvedimenti espropriativi trova la propria ratio nel fatto che tali atti operano un trasferimento coattivo della proprietà a favore del soggetto espropriante, ragione che è, evidentemente, estranea alla sentenza che, definendo la controversia di natura meramente patrimoniale instaurata con l’opposizione alla stima, si limita a stabilire in via definitiva la misura dell’indennità spettante all’espropriato per effetto del provvedimento ablatorio”.
Par. 4. Con il terzo motivo di ricorso si deduce difetto di legittimazione dell’agenzia delle entrate in relazione al giudizio di appello, trattandosi di gravame proposto dalla direzione provinciale (“capoufficio controlli”); dunque non dall’organo che aveva emanato l’atto, né da un funzionario direttivo della direzione regionale.
Il motivo è infondato in base all’indirizzo di legittimità (recentemente ribadito da Cass. 14742/17) secondo cui: “gli artt. 10 e 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicché è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza (cfr.Cass.n.6691 del 21.3.2014; n.20628 del 14.10.2015; 15470 del 26.7.2016)”.
Il ricorso è dunque rigettato; nulla si provvede sulle spese, stante la mancata partecipazione al giudizio della intimata agenzia delle entrate.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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