CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 giugno 2017, n. 15877
Licenziamento – Perdurante carenza di lavoro – Riduzione del personale – Motivi generici
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 15.1.2013, accoglieva il gravame proposto da F.F. avverso la sentenza di prime cure che aveva respinto la sua domanda diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità, per difetto di motivazione, del licenziamento intimatogli dalla C. s.r.l. il 5.11.2010 “causa la perdurante carenza di lavoro che ci costringe a ridurre il personale”. Resisteva la società.
La Corte di merito rilevava che l’azienda nulla rispose alla esplicita richiesta, da parte del lavoratore, dei motivi del licenziamento, ex art. 2 L. n. 604\1966, sostenendo che la lettera di licenziamento già conteneva i motivi del recesso, ritenuti invece assolutamente generici.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C. s.r.l., affidato ad unico motivo.
Resiste il F. con controricorso.
Motivi della decisione
1. – La società ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, L. n. 604\1966.
Lamenta che la lettera di licenziamento già conteneva, in modo specifico ed adeguato, le ragioni del recesso, ponendo il lavoratore in condizioni di Impugnarlo, e la società di meglio eventualmente specificare tali ragioni nel corso del giudizio.
1.1. – Il ricorso è infondato.
La sentenza impugnata ha applicato nella specie il corretto principio secondo cui la motivazione del licenziamento – nel caso in cui il lavoratore licenziato chieda al datore di lavoro la comunicazione dei motivi del recesso – deve essere sufficientemente specifica e completa, ossia tale da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento sì da poter esercitare un’adeguata difesa svolgendo ed offrendo idonee osservazioni o giustificazioni, dovendosi ritenere equivalente alla materiale omissione della comunicazione dei motivi la comunicazione che, per la sua assoluta genericità, sia totalmente inidonea ad assolvere il fine cui la norma tende, senza nulla aggiungere circa la ragione della scelta di sopprimere specificamente il posto di lavoro cui era addetto il ricorrente.
Del resto la stessa ricorrente deduce (pag. 8 del ricorso) che la motivazione del recesso deve essere sufficientemente specifica e completa, ossia tale da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento, e cioè delle specifiche ragioni organizzative e produttive che hanno comportato la soppressione del suo personale posto di lavoro e non di altri lavoratori. Tale principio è stato più volte affermato da questa Corte: “In caso di licenziamento individuale giustificato dalla necessità di operare una riduzione del personale, ai fini di poter ritenere legittimo il licenziamento occorre che il datore di lavoro dimostri i motivi che lo hanno indotto al licenziamento e a far ricadere la scelta sull’unica unità produttiva licenziata” (cfr., ex aliis: Cass. 6.9. 2003 n. 13058, Cass. 20.5.2002 n. 7316), facendo leva anche sui canoni di correttezza e buona fede cui deve essere informato, ai sensi dell’art. 1175 cod. civ., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse, Cass. n. 7046\11.
Sull’obbligo dell’imprenditore di specificare le ragioni obiettive (e non pretestuose, Cass. 24.2.2012 n. 2874), che hanno comportato la decisione di sopprimere una determinata unità lavorativa, cfr. altresì Cass. n. 19616\11, Cass. n. 21282\06.
Nella specie è evidente che “la perdurante carenza di lavoro che ci costringe a ridurre il personale”, non assolva minimamente all’obbligo di cui sopra, come correttamente ritenuto dal giudice d’appello, mentre la società ricorrente si limita a ribadire che la generica dizione “causa la perdurante carenza di lavoro che ci costringe a ridurre il personale”, pur a fronte della richiesta dei motivi di licenziamento pacificamente formulata dal lavoratore, era sufficiente allo scopo, rendendo irrilevante la richiesta dei motivi ex art. 2, comma 2, L. n. 604\66.
2. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi, € 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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