CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 luglio 2017, n. 18412
Tributi – Condoni – Definizione lite ex art. 16, L. n. 289/2002 – Rinuncia al rimborso delle somme indicate a credito nella dichiarazione relativa all’anno di imposta condonato
Ritenuto in fatto
1. Il Banco di Sicilia (ora UNICREDIT S.p.A.) presentava dichiarazione dei redditi ai fini IRPEG relativa all’anno d’imposta 1984, in cui veniva dichiarata una perdita fiscale di £ 567.328.000. In considerazione delle ritenute d’acconto subite, dei crediti d’imposta vantati per imposte pagate all’estero e di crediti d’imposta sui dividendi, dalla dichiarazione emergeva, inoltre, un credito complessivo di £ 40.923.406.000, di cui la società chiedeva il rimborso.
2. Successivamente, in relazione al medesimo anno d’imposta, l’Agenzia delle Entrate notificava avviso di accertamento ai fini IRPEG, con cui veniva accertato un reddito imponibile in luogo della perdita dichiarata. Avverso tale avviso di accertamento, la banca proponeva ricorso dinanzi alla C.T.P. di Palermo e, in pendenza di tale giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, la contribuente presentava istanza di definizione della lite ai sensi dell’art. 16 L. n. 289/2002 provvedendo al versamento delle somme dovute.
3. Formulata istanza di rimborso del credito IRPEG pari ad € 21.135.175,36 (corrispondente al citato credito d’imposta di £ 40.923.406.000), la banca impugnava il silenzio rifiuto correlativamente formatosi dinanzi alla C.T.P. di Palermo, deducendo la persistenza del diritto al rimborso emergente dalla dichiarazione annuale, anche a seguito della definizione della lite che aveva avuto per oggetto l’avviso di accertamento.
4. Si costituiva l’Agenzia delle Entrate rilevando che le somme richieste dalla banca non rientravano tra quelle rimborsabili ai sensi dell’art. 16, comma 5, L. n. 289/2002 e che, comunque, le stesse erano state oggetto di compensazione con la maggiore imposta accertata.
5. La commissione tributaria adita respingeva il ricorso.
6. L’appello proposto dalla banca veniva accolto dalla C.T.R. della Sicilia con sentenza del 28 gennaio 2010, con la quale veniva disposto il rimborso richiesto dalla contribuente.
Rilevava, in particolare, il giudice di appello che risultava inconferente ogni riferimento alla domanda di condono ex art. 16, comma 5, L. n. 289/2002, posto che oggetto di tale domanda non era il procedimento di diniego del rimborso del credito IRPEG, ma la lite pendente relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento in rettifica della dichiarazione annuale IRPEG per l’anno d’imposta 1984. Osservava, inoltre, che i crediti di imposta indicati in dichiarazione dei redditi e dei quali era stato chiesto il rimborso non rientravano nel paradigma dell’art. 16, comma 5, L. n. 289/2002, che dispone solo in merito alle somme versate per effetto delle norme vigenti in materia di riscossione in pendenza della lite.
7. Avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
8. Resiste con controricorso UNICREDIT S.p.A., che ha depositato successiva memoria.
Considerato in diritto
1. Preliminarmente va osservato che l’ordinanza n. 6060 del 2013, con la quale la sesta sezione civile di questa Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate in analogo giudizio vertente tra le medesime parti, relativo all’anno di imposta 1985, non spieghi efficacia vincolante nel presente processo, stante l’autonomia dei periodi di imposta (in termini, Cass. civ., sez. trib., 11-03-2015, n. 4832).
2. Con il primo motivo di ricorso, rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 5, della legge n. 289/2002, con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che i crediti di imposta risultanti dalla dichiarazione dei redditi non rientrassero nella fattispecie prevista dall’art. 16, comma 5, L. n. 289/2002. Sostiene che, nella specie, la definizione della lite pendente sull’accertamento aveva comportato la rinuncia della contribuente al rimborso delle somme indicate a credito nella dichiarazione relativa all’anno di imposta condonato.
3. Con il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia “omessa, insufficiente ed illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo, con riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c.”. La ricorrente deduce che già in sede di accertamento era di fatto avvenuta l’erogazione del rimborso richiesto, attraverso la deduzione dall’imposta lorda dovuta delle somme (ritenute d’acconto subite, crediti d’imposta vantati per imposte pagate all’estero, crediti d’imposta sui dividendi) esposte in dichiarazione dalla contribuente. La banca, quindi, aveva già beneficiato in compensazione del rimborso in questione, come emergeva anche dallo stralcio dell’avviso di accertamento, riprodotto in ricorso.
4. I due motivi di ricorso, peraltro connessi, sono fondati.
5. Va osservato che, in materia di crediti d’imposta vantati dal contribuente in relazione a periodi di imposta oggetto di istanza di condono e disconosciuti dalla Amministrazione finanziaria, questa Corte ha affermato, con riferimento al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, con riguardo sia alla disciplina dettata dall’art. 9, in tema di condono “tombale” (Cass. nn. 3682 e 6504 del 2007, Cass. SS.UU. n. 14828 del 2008), sia alla disciplina dettata dall’art. 15, in tema di definizione delle liti potenziali (Cass. n. 22559 del 2008), il principio di valenza generale secondo cui il condono pone il contribuente di fronte ad una libera scelta: perseverare nella opposizione alla pretesa fiscale per conseguire una pronuncia giudiziale favorevole ovvero porre termine alla controversia con l’Amministrazione finanziaria avvalendosi dello speciale strumento accordatogli dalla legge, con la conseguenza che la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto. Il condono, infatti, in quanto volto a definire transattivamente la controversia in ordine all’esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti, quali coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo eventualmente il rimborso delle somme indebitamente pagate, o corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria (cfr., in particolare, Cass. SS.UU. n. 14828/08, cit.).
Al criterio non si sottrae il condono di cui all’art. 16 L. n. 289/2002. Al riguardo, si è, infatti, espressa questa Corte con sentenza n. 16339 del 2014, che ha affermato che, in tema di condono fiscale ex art. 16 L. n. 289/2002, il recupero delle maggiori somme versate dal contribuente anteriormente alla definizione agevolata della lite e relative al medesimo rapporto tributario, non è consentito e spetta nel solo caso eccezionale e derogatorio, previsto dal quinto comma della disposizione (di eccedenze versate in sede di riscossione provvisoria in ipotesi di totale soccombenza dell’amministrazione finanziaria nel giudizio di merito); ciò stante il principio generale, informatore della disciplina del condono, per cui la novazione del rapporto tributario litigioso estingue i reciproci debiti e crediti tra le parti.
Tanto premesso, rileva la Corte come la sentenza impugnata, affermando che la domanda di condono ex art. 16, comma 5, L. n. 289/2002 non assume rilievo nel presente giudizio, avente ad oggetto il diniego di rimborso del credito IRPEG e non l’impugnazione dell’avviso di accertamento, ed escludendo, altresì, l’applicazione, nel caso di specie, del citato art. 16 sulla base del mero tenore letterale della norma, non si sia attenuta ai principi giurisprudenziali innanzi richiamati.
6. Con specifico riferimento al denunciato vizio motivazionale della sentenza, si osserva che l’Agenzia delle Entrate, nelle proprie difese, ha dedotto che l’anno d’imposta 1984 era stato oggetto di accertamento e che in quella sede l’Ufficio aveva compensato, come per legge, l’importo chiesto a rimborso di £ 40.923.406.000, emergente dalla dichiarazione, con la maggiore imposta accertata, ammontante a £ 44.526.883.000, per l’effetto richiedendo il pagamento dell’imposta di £ 3.603.477.000. Sostiene, pertanto, che, riconoscendo in compensazione il credito di cui la banca pretendeva il rimborso, l’Ufficio aveva richiesto la sola imposta di £ 3.603.477.000, sicché la banca aveva già concretamente usufruito del rimborso esposto in dichiarazione.
Orbene, a fronte delle specifiche deduzioni dell’Ufficio, volte a dimostrare che gli importi chiesti in rimborso erano già stati computati e compensati con la maggiore imposta accertata, supportate dallo stralcio dell’avviso di accertamento allegato alla memoria del 25.1.2006, la C.T.R. ha omesso ogni valutazione, obliterando in tal modo l’esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, impedendo così a questa Corte di operare il dovuto controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.
7. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso deve essere accolto. La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione.
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