CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 luglio 2017, n. 18508
Contratto di agenzia – Pagamento di ulteriori somme a titolo di provvigioni – Conteggio
Fatti di causa
Con sentenza n. 899/2011, depositata il 29 luglio 2011, la Corte di appello di Milano, in accoglimento del gravame incidentale proposto da S.T. e in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, condannava la società C. & Co. S.r.l. al pagamento di ulteriori somme a titolo di provvigioni, in aggiunta a quelle già liquidate dal primo giudice, avuto riguardo alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e delle prove testimoniali e documentali acquisite.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società, con unico motivo; la T. ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
Con unico motivo, deducendo omessa e insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver aderito in modo acritico alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, senza esaminare anche le osservazioni e i rilievi formulati dal consulente di parte della società, e ciò in relazione a tre distinti temi di indagine: 1) erroneo inserimento, nel calcolo delle provvigioni maturate, anche di quelle relative alla linea “autunno-inverno 2000”, nonostante che tale collezione fosse stata venduta nei mesi di ottobre 1999 – febbraio 2000, quando la T. era ancora dipendente della società; 2) erronea esclusione dal conteggio delle provvigioni di tre fatture emesse nel 2001, riferendosi le stesse ad acconti pagati dalla società come previsto dal contratto di agenzia e non a provvigioni maturate in relazione al precedente rapporto di collaborazione prestata dalla ricorrente (fino all’11/3/2001) come procacciatore di affari; 3) erroneo conteggio delle provvigioni anche sulle vendite della linea Playlife, nonostante che tale linea non fosse compresa nel contratto di sub-agenzia e la società avesse sempre gestito in autonomia le relative vendite.
Ciò posto, si osserva che la sentenza impugnata si sottrae alla critica che le viene mossa.
La Corte territoriale ha, infatti, preso motivata posizione su ciascuna delle questioni di fatto indicate nel motivo di ricorso, sulla scorta di un articolato ed esteso esame del complessivo materiale istruttorio acquisito al giudizio, in particolare ponendo in rilievo: con riferimento alla questione sub 1), come le dichiarazioni testimoniali avessero chiarito che, oltre alle vendite contestuali (e cioè quelle effettuate in occasione della presentazione della collezione), ve ne fossero di ulteriori e successive e che la collezione “autunno-inverno 2000” era stata “ripresentata e quindi ritrattata dai sub agenti fino ad ottobre 2000” quando la T. svolgeva già (dall’1/7/2000) attività di procacciatore di affari;
con riferimento alla questione sub 2), come dovesse ritenersi che le fatture in discussione coprissero “interamente le provvigioni maturate nel periodo di procacciatore d’affari a tutto il 30/6/2001”, tenuto conto della dicitura “a saldo” presente sulle medesime e delle obiettive evidenze documentali già segnalate dal consulente d’ufficio (identità di contenuto dei due incarichi, di procacciatore d’affari e sub-agente; corrispondenza nella dicitura delle fatture emesse nei due successivi periodi; applicazione della stessa ritenuta d’acconto degli agenti di commercio); con riferimento alla questione sub 3), come il marchio Play/ife fosse compreso nell’oggetto del mandato di sub-agenzia, con la conseguenza che, secondo quanto previsto nel contratto, una eventuale esclusione avrebbe dovuto formare oggetto di comunicazione al sub-agente in forma scritta, comunicazione di cui peraltro la Corte ha accertato non esservi traccia nella documentazione prodotta.
Come più volte precisato da questa Corte di legittimità nel vigore dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione precedente alla modifica introdotta nel 2012, il vizio di omessa o insufficiente motivazione “sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (cfr., fra le numerose conformi, Cass. n. 27162/2009).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
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