CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 luglio 2017, n. 18511
Inps – Accertamento della correttezza del versamento contributivo – Verbale ispettivo – Prescrizione dei contributi
Fatti di causa
Con sentenza n. 890/2010 la Corte d’appello di Torino, sollevando d’ufficio la questione, ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse ad agire la domanda proposta in primo grado da B. s.p.a. ed accolta dal Tribunale di Ivrea, tesa ad accertare la correttezza del versamento contributivo effettuato a seguito del riconoscimento giudiziale, con sentenza del Tribunale di Cuneo dell’8 luglio 2002, del diritto del dipendente V.G. all’equo premio ex art. 23 secondo comma regio decreto 1127/1939 in relazione a 15 invenzioni intercorse dal 1985 al 1998.
La B. s.p.a aveva versato € 49.989,39 a titolo di contributi dovuti sulle somme erogate, compresi quelli a carico del dipendente. A seguito di accesso ispettivo del 16 agosto 2006, sollecitato dal G., l’INPS rilevava l’avvenuta prescrizione dei contributi relativi al periodo anteriore al 1.7.1996 alla luce della necessaria applicazione del principio di competenza e dei diversi tempi di maturazione degli emolumenti all’interno dell’intero rapporto lavorativo. Pertanto, il versamento posto in essere dalla società poteva ritenersi relativo a crediti non prescritti per il solo importo di Euro 9.182 con un saldo di Euro 40.807,39.
Ricorre in cassazione B. s.p.a con due motivi.
L’INPS ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Formulandoli in veste di primo motivo, la ricorrente espone in un primo punto i passaggi della motivazione della sentenza impugnata ritenuti erronei ed indica gli atti di causa, con i rispettivi contenuti, sui quali fonda le doglianze allegandoli al ricorso, ai sensi dell’art. 366 comma 1 n. 6 cod.proc.civ.
2. Con un secondo, effettivo, motivo la s.p.a. B. denuncia violazione e o falsa applicazione, ex art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ., dell’art. 100 cod.proc.civ. e degli artt. 2114, 2115 e 2116 cod.civ. ed omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ.
3. In sostanza, la ricorrente lamenta l’erroneità del rilievo di carenza di interesse ad agire posto che tale interesse doveva ravvisarsi nella necessità di accertare che l’importo versato fosse corrispondente al debito contributivo non prescritto, posto che l’accertamento dell’Istituto era derivato dalla richiesta del lavoratore finalizzata all’ottenimento della regolarizzazione contributiva. L’incertezza era, dunque, insorta relativamente ai termini della prescrizione, per cassa o per competenza, degli obblighi contributivi e ciò esponeva la società al rischio dell’azione giudiziaria che il lavoratore Vittore G. avrebbe potuto attivare ai sensi dell’art. 2116 cod. civ.
4. Il motivo è infondato. E’ evidente che la fattispecie in esame, incentrata sulla affermata necessità di tutelare in via giudiziale l’interesse di una parte ad ottenere la certificazione dell’esatto adempimento di un obbligo contributivo, introduce il tema dell’interesse ad agire nelle azioni di accertamento. Tale tema, in termini compatibili con la finalità di questa disamina, va affrontato partendo dalla enucleazione di alcune premesse che consentono di comprendere la posizione che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha assunto nel tempo, anche in ragione dell’approfondimento che la dottrina ha compiuto nell’ambito più generale delle condizioni dell’azione.
5. Questa Corte di cassazione, nei tempi più recenti, ha avuto modo di intervenire riguardo a molteplici fattispecie concrete validando o meno la sussistenza dell’accesso al giudizio in ragione della tradizionale funzione assegnata all’art. 100 cod. proc. civ. Si è così in concreto operato, in adesione al convincimento espresso dalla dottrina con terminologia di stampo filosofico, attribuendo all’interesse ad agire ed al citato art. 100 cod. proc. civ. una funzione <remotiva> cioè lo si è considerato strumento di selezione, atto a svolgere la funzione logica di escludere un insieme di oggetti da una classe, rilevando la mancanza della proprietà essenziale a tutti gli oggetti che vi sono compresi.
6. In particolare, sul presupposto che nelle azioni di mero accertamento tale oggetto esaurisce lo scopo del processo, mancando altro da sottoporre alla funzione giudiziaria e che dunque occorre distinguere le azioni sorrette da un effettivo interesse giuridicamente tutelato da quelle meramente emulative, Cassazione n.16626/2016 ha avuto modo di precisare, in modo del tutto condivisibile, che la funzione dell’art. 100 cod. proc. civ. è innanzi tutto quella di sintetizzare in unica definizione il complesso dei criteri di selezione dell’accesso al giudizio che l’ordinamento, presuppone attraverso le norme che in via immediata richiedono la sussistenza della lesione di un diritto (art. 24 Cost., art. 99 cod. proc. civ., art. 2907 cod. civ.) inteso quale titolarità di una situazione giuridica subiettiva di vantaggio, di carattere sostanziale, il cui riconoscimento, in caso di controversia, sia posto ad oggetto della pretesa fatta valere in giudizio (Corte Cost. n. 7 del 1962).
7. Risultano, dunque, inammissibili < azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti>, perché solo l’intera fattispecie, una volta perfezionatasi, può nella sua interezza costituire oggetto di accertamento (ex aliis, Cass. n. 10039 del 2002).
8. Dunque l’interesse ad agire, che legittima alla proposizione della domanda, è dato dalla contestazione non già di un fatto bensì di un diritto e non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti pur giuridicamente rilevanti ma che costituiscano elementi frazionati della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza (Cass. SS.UU. n. 27187/2006).
5. In sostanza, si richiede che con la sentenza di mero accertamento si ottenga un risultato giuridicamente utile al fine di evitare il pregiudizio dell’attore relativamente a quel diritto che viene dedotto in causa e non ad altri diversi diritti di cui lo stesso attore sia o possa divenire in futuro titolare o per i quali possa avere necessità di contraddire (Cass. n.2785/1971; 1339/1973).
6. Deve, quindi, a fortiori, escludersi che, nel caso di specie, possa riconoscersi l’interesse ad agire in capo all’odierna ricorrente che pretende di ottenere una sentenza di accertamento relativamente all’esatto adempimento di un proprio obbligo contributivo nel presupposto che tale accertamento la possa preservare da una eventuale futura azione del dipendente, finalizzata ad ottenere la regolarizzazione contributiva,ovvero altra azione comunque correlata alla tutela della sfera previdenziale del medesimo lavoratore.
7. Viene chiesto al giudice di emettere una sentenza di accertamento inidonea ad evitare la lesione del medesimo diritto del datore di lavoro che forma oggetto della domanda di accertamento ma che dovrebbe, semplicemente, tornargli utile nel caso in cui il dipendente agisca nei suoi confronti.
8. E’ chiaro che in tale situazione difettano del tutto i presupposti tradizionali che per costante giurisprudenza di legittimità devono sorreggere l’interesse ad agire nelle azioni di mero accertamento e cioè la corrispondenza tra i soggetti titolari del rapporto giuridico che si assume connotato da oggettiva incertezza e soggetti processuali, nonché piena corrispondenza della situazione da accertare rispetto a quella pregiudicata.
9. Infatti, questa Corte di legittimità ha costantemente negato la configurabilità di un unico rapporto previdenziale trilatero ossia intercorrente fra datore di lavoro – assicurante, lavoratore-assicurato ed ente assicuratore e, per contro, ha ribadito la configurazione di tre distinti rapporti bilaterali derivandone ad esempio l’ impossibilità di ravvisare il litisconsorzio necessario fra i tre soggetti ora detti, quando il lavoratore avanzi pretese di contenuto contributivo contro il datore. (Cass. 19 gennaio 1994 n. 169, 23 gennaio 1998 n. 1640, 7 agosto 2000 n. 10377, Sez. un. 17 gennaio 2003 n. 683, ord. 18 febbraio 2004 n. 3339).
10. Inoltre, la fattispecie avente tale tipo di contenuto contributivo non si risolve certamente nel solo accertamento dell’an e del quantum degli obblighi contributivi gravanti sul datore di lavoro ma include anche l’accertamento di condizioni specifiche che devono formare oggetto del giudizio intercorrente tra lavoratore e datore di lavoro (vd. in relazione alla complessità della fattispecie di tale natura Cass. 2630/2014; 4805/2012).
11. Il ricorso, dunque, va rigettato essendo la pronuncia impugnata del tutto rispettosa dei principi più volte espressi da questa Corte di cassazione.
12. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, in favore del contro ricorrente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi; spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori.
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