CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 giugno 2017, n. 15974
Licenziamento – Procedura ex Legge 223/1991 – Violazione dei criteri di scelta – Esigenze riduttive
Fatti di causa
Con ricorso al Tribunale GdL di Napoli del 2.08.2011 C.B., dipendente dal 1996 della onlus A.I.A.S. Arco Felice ed addetta alla sede di Casoria con mansioni di terapista della riabilitazione e fisioterapista, espose di essere stata licenziata con lettera 18.10.2010 all’esito di procedura ex lege 223 del 1991 e sostenne la illegittimità del recesso sia per inosservanza dei profili di cui agli artt. 4 e 5 della legge del 1991 sia per la assenza di alcun nesso causale tra esigenze riduttive e scelta della licenzianda sia, infine, per violazione dei criteri di scelta nella sede di assegnazione.
Il Tribunale con sentenza 21.01.2013 respinse l’impugnativa sull’assunto che fossero stati osservati i criteri e le modalità enunciative del licenziamento collettivo.
La Corte di Napoli con sentenza 30.10.2014 ha di contro accolto l’appello proposto dalla B., statuendo l’illegittimità del licenziamento, l’obbligo di reintegrazione ex art. 18 S.L., il pagamento del ristoro dovuto ed all’uopo osservando:
che la procedura era stata avviata il 5.07.2010 con la indicazione di 16 unità in esubero ma che, all’esito infruttuoso dell’esame congiunto, AIAS aveva proceduto a soli quattro licenziamenti, due nella sede di Casoria e due in quella di Vico Equense anche in ragione della applicazione al personale di orario ridotto;
che andavano richiamati i principii posti dalla Corte di Cassazione in materia; che sulla loro base emergeva che erroneamente AIAS aveva reputato ammissibile una diretta comparazione tra i lavoratori da avviare alla mobilità all’interno della singola sede, senza addurre le specifiche circostanze che legittimassero tale scelta;
che nella specie da un canto risultava unico libro matricola ed unico bilancio e dall’altro difettava alcuna prova di una separatezza di convenzioni e rapporti di pagamento tra ciascuna AUSL e singola sede AIAS, nel mentre emergeva la chiara fungibilità della professionalità della B. (alla quale era stato inspiegabilmente preferito altro dipendente della sede di Casoria di ben minore anzianità).
Per la cassazione di tale sentenza la AIAS ha proposto ricorso il 27.04.2015 articolando quattro motivi, ai quali ha opposto difese la B. che ha notificato controricorso.
I difensori della ricorrente hanno discusso oralmente.
Ragioni della decisione
Ritiene il Collegio che, nessuna delle proposte censure meritando condivisione, il ricorso debba essere rigettato.
II primo motivo denunzia violazione di legge per avere la Corte di merito ignorato il disposto della delibera regionale 377/78 e la sua regolamentazione del regime degli accreditamenti.
Il secondo motivo lamenta la falsa valutazione delle dichiarazioni rese dalla B. innanzi alla Corte di Appello, con riguardo alla sua asserita inoccupazione.
Il terzo motivo lamenta malgoverno delle norme di cui agli artt. 112-113-115 – 117 cpc in ordine alle prove sul rispetto dei criteri di scelta.
Il quarto motivo denunzia l’omessa valutazione della reale portata dell’interrogatorio reso dalla B., con una incompleta verbalizzazione di quanto dichiarato.
La prima censura è per due versi inammissibile. In primo luogo, la censura addebita alla sentenza impugnata disattenzione per le previsioni della delibera regionale, delineanti un quadro di stretta correlazione tra budget operativi e consistenza dell’organico dei lavoratori da destinare a ciascuno dei centri operativi della convenzione: la disattenzione per dette previsioni avrebbe comportato sia la errata decisione di imporre una ricerca globale dei criteri di scelta sia la ulteriore errata valutazione di “preferenza” della B. rispetto alla posizione del lavoratore Ciro Leo (invece conservato esattamente). Orbene, è evidente che per ragioni oggettive o ancor più per decisione della P.A. il datore di lavoro ben può restringere i criteri di scelta dei licenziandi all’interno di una singola unità produttiva, sempre facendosi carico della infungibilità dei lavoratori licenziandi a tale unità addetta (da ultimo Cass. 24111 del 2016 e 203 del 2015). Ma se ciò è vero, appare di totale evidenza la impossibilità per la Corte di legittimità – in assenza di alcuna produzione e trascrizione delle previsioni della richiamata delibera regionale, e non discendendo dalla denunziata violazione di norme di diritto alcun obbligo di scrutinare gli atti del processo per rinvenire ed interpretare la delibera stessa – di esaminare la pretesa decisione dell’Amministrazione di “imporre” alla ONLUS fornitrice del servizio in discorso vincoli disegnati a misura di singola sede operativa. In secondo luogo, quand’anche detta delibera fosse stata prodotta e richiamata, la ricorrente AIAS avrebbe dovuto indicare con precisione le ragioni testuali per le quali, in dissenso da quanto attentamente valutato alle pagine 15 e 16 della sentenza impugnata, i criteri di scelta di cui alla legge 223 del 1991 avrebbero dovuto operare all’interno di ciascuna sede operativa (ed ancora, le ragioni per le quali la B. avrebbe dovuto cedere a fronte dei titoli del collega Leo). La totale genericità della censura, sotto entrambi i profili appena rilevati, ne attesta quindi la sicura irricevibilità in questa sede.
Il secondo motivo, che lamenta la mancata percezione da parte del collegio giudicante della palese falsità delle dichiarazioni della B. (rese su invito del collegio stesso a precisare la sua attuale situazione di inoccupazione od occupazione), è ictu oculi inammissibile. Da un canto non è prospettata quale patologia affligga la sentenza per effetto di un errore di verbalizzazione della dichiarazione resa dalla parte appellante al Collegio. Dall’altro canto, qualora la direzione impugnatoria fosse stata quella di incidere sull’obbligazione retributiva statuita ex art. 18 S.L. dalla sentenza, ciò si sarebbe dovuto affermare con precisione nel motivo allegando in questa sede di aver posto la questione nel giudizio di merito e di aver visto la Corte di Appello ridursi ad un passivo recepimento di dichiarazioni maldestre dell’interessata. Ma nulla di tutto ciò è rinvenibile nella censura in disamina.
Il terzo motivo, che denunzia malgoverno della prova documentale sul rispetto dei criteri di scelta, è radicalmente inammissibile. Parte ricorrente, dimentica del fatto che alla sentenza resa in data 30.10.2014 è applicabile il ristretto limite di sindacabilità del vizio di motivazione risultante dalla novella di cui alla legge 134 del 2012 (come interpretata da S.U. 8053 del 2014), propone, sotto una rubrica di violazione delle norme sui criteri di valutazione delle prove, nulla più che una generica doglianza di errata od omessa lettura dei documenti prodotti da essa AIAS, doglianza, pertanto, che non ha ingresso in questa sede.
Il quarto motivo, infine, denunzia vizio di motivazione della parte della sentenza che avrebbe ignorato le prospettazioni sulla decisività della avvenuta manifestazione di disponibilità da parte dei soli lavoratori di due sedi operative su quattro, di accettare la riduzione del proprio lavoro a part time nel mentre i lavoratori della sede di Casoria in tal senso non avrebbero mosso offerte. A parte la permanente incomprensibilità della rilevanza di tale disattenzione della Corte di merito (essendo onere di chi denunzia la omessa considerazione di dati decisivi, spiegare le ragioni della prospettata decisività) ed a parte la assoluta indeterminatezza sul luogo processuale nel quale siffatte circostanze sarebbero state sottoposte all’attenzione della Corte di Napoli (a pag. 14 del ricorso nulla essendo in tal senso precisato), resta l’assorbente considerazione della irricevibilità di tale censura per le stesse ragioni palesate nella disamina del terzo motivo.
Sulla base di quanto esposto, il ricorso va respinto. Le spese vanno regolate secondo soccombenza e, come chiesto, distratte.
Segue per legge la declaratoria di sussistenza delle condizioni per il versamento del cd. “doppio contributo unificato”.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’ONLUS AIAS ricorrente a versare alla contro ricorrente, e per essa ai suo difensori antistatali, le spese del giudizio che determina in € 3.200 (di cui € 200 per esborsi), oltre 15 % di s.g. ed accessori di legge.
Dichiara la sussistenza delle condizioni, a carico della ricorrente, per il versamento dell’ulteriore importo previsto dall’art. 13 commi 1 bis ed 1 quater del dPR 115 del 2002.
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