CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 novembre 2017, n. 28257
Contratto di lavoro subordinato – Nullità del termine – Decorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – Riammissione in servizio
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Venezia il 25 novembre 2009 dichiarò la nullità del termine apposto al contratto intercorso tra P.T. e S.A.V.M.P. Spa e la decorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 21 aprile 2006, con condanna della società alla riammissione in servizio del lavoratore ed al pagamento di una somma pari alla retribuzione globale di fatto dalla messa in mora.
La Corte di Appello di Venezia con sentenza non definitiva ha prima rigettato l’impugnazione della società sia in punto di risoluzione per mutuo consenso sia in ordine al mancato rispetto del termine di sei mesi di durata massima del contratto; successivamente, con pronuncia definitiva del 19 luglio 2012, in parziale riforma della sentenza di primo grado, “dato atto della riammissione in servizio del T. nel febbraio 2010”, ha condannato la S. a corrispondere al lavoratore “in relazione al periodo fino al deposito del ricorso di primo grado, l’indennità ex art. 32, comma 5°, I. n. 183/2010, nella misura di 2,5 mensilità di retribuzione globale di fatto”, oltre accessori, nonché, “in relazione al periodo successivo e fino alla riammissione in servizio”, al pagamento delle mancate retribuzioni, oltre accessori.
2. Avverso tali pronunce la S. Spa ha proposto ricorso per cassazione con due motivi. Ha resistito P.T. con controricorso, contenente ricorso incidentale subordinato all’eventuale accoglimento del secondo mezzo del ricorso principale. A detta impugnazione incidentale ha resistito la società con controricorso, depositando successivamente anche memoria ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell’art. 1372 c.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto risolto il contratto in controversia per mutuo consenso nonostante il T. avesse agito per l’accertamento della illegittimità del termine quasi sette mesi dopo la scadenza ed altresì successivamente rifiutando la proposta di un nuovo contratto a termine.
La censura è priva di fondamento per inidoneità del solo decorso del tempo (peraltro nella specie sicuramente esiguo), in assenza di circostanze significative di una chiara e comune volontà delle parti contraenti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (tra le altre: Cass. n. 1780 del 2014; Cass. n. 13535 del 2015; Cass. n. 25844 del 2015), trattandosi comunque di valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. SS.UU. n. 21691 del 2016, in motivazione, punto 57; Cass. n. 2906 del 2015) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono – come nella specie – vizi logici o errori di diritto (Cass. n. 16932 del 2011).
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 32 della I. n. 183 del 2010, anche in seguito all’entrata in vigore dell’art. 1, co. 13, I. n. 92 del 2012, per avere la Corte territoriale ritenuto che l’indennità prevista da detta norma copre il periodo fino al deposito del ricorso di primo grado e non quello fino alla sentenza che dichiara la ricostituzione del rapporto.
Il motivo è fondato in ragione del principio di diritto già espresso da questa Corte secondo cui: “In tema di risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, l’indennità di cui all’art. 32, commi 5 e 7, della legge 4 novembre 2010, n. 183, come disciplinata dall’art. 1, comma 13, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con norma di interpretazione autentica, ha carattere “forfetizzato” ed “onnicomprensivo” e pertanto ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio”, che decorre dalla scadenza del termine sino alla sentenza di conversione e non sino al deposito del ricorso introduttivo del giudizio (Corte cost., sentenza n. 303 del 2011)” (Cass. n. 151 del 2015; conf. Cass. n. 14461 del 2015).
3. Pertanto, rigettato il primo motivo di ricorso principale ed accolto il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ad esso con rinvio al giudice designato in dispositivo che dovrà provvedere a rideterminare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro, mentre per il periodo successivo a detto ordine resta fermo l’obbligo del risarcimento del danno commisurato alle mancate retribuzioni sino alla riammissione in servizio; tanto assorbe il ricorso incidentale del lavoratore, concernente la richiesta di una maggiore quantificazione dell’indennità ex art. 32 I. n. 183 del 2010, atteso che detta indennità dovrà essere appunto nuovamente determinata.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso principale; accoglie il secondo motivo e, in relazione ad esso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese; dichiara assorbito il ricorso incidentale.
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