CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 novembre 2017, n. 53625
Imposte indirette – IVA – Redditi agricoli – Dichiarazioni annuali – Reato di usura – Confisca “allargata”
Ritenuto in fatto
1. Con distinti decreti emessi il 31.10.2012, il 4.12.2012 ed il 31.1.2013 il Tribunale di Castrovillari, in funzione di giudice dell’esecuzione, disponeva, ai sensi dell’art. 12 sexies l. 356/1992, la confisca di beni mobili ed immobili, liquidità bancarie e quote societarie in danno di F.R.M., condannato per il reato di cui all’art. 644 c.p. (usura), e dei suoi stretti congiunti, ritenuti, di essi, intestatari formali, C.S., coniuge, F.G. e F.F. figli; con i decreti anzidetti veniva altresì disposta la confisca della “P. srl” e della “A.” di A.M., anch’ella ritenuta titolare formale delle quote societarie.
2. In seguito alla rituale opposizione dei destinatari del provvedimento ablatorio, il tribunale, con provvedimento del 2 novembre 2016, revocava i decreti impugnati limitatamente agli acquisti effettuati negli anni 2000, 2002, 2005, 2010 (meglio specificati nel dispositivo della revoca) ed al fabbricato destinato ad abitazione e magazzino posto in agro di Altomonte e rigettava nel resto l’impugnazione.
3. A sostegno del provvedimento il tribunale richiamava la relazione del perito di ufficio, dott. L.L., il quale, tenendo conto dei rilievi allegati agli atti di opposizione sviluppati dal consulente di parte, aveva provveduto a ricostruire i redditi agricoli del F. non già attraverso le denunce fiscali dei redditi annuali, atteso il particolare regime di tassazione dei redditi agricoli, ma attraverso l’esame delle denunce IVA, documenti inoppugnabili sottoscritti dall’imprenditore agricolo, nella specie F.R.M.. Sulla base poi di dette risultanze il tribunale, mettendo a confronto i redditi annuali del nucleo familiare F. in tal modo ricostruiti, ha escluso la sproporzione tra essi ed i beni acquisiti nel corso di alcuni anni (quelli innanzi indicati dando conto dell’esito dell’opposizione) e l’ha viceversa riconosciuta per i beni acquisiti in altri anni; a tale risultato il tribunale perveniva assumendo la capacità reddituale dimostrata annualmente, ritenendo che per alcuni anni tale capacità reddituale familiare giustificava ed in altri anni viceversa non giustificava le acquisizioni di beni realizzata nell’annualità corrispondente.
4. Il tribunale infine, per un verso, confermava la confisca della ditta “A.” di A.M. e delle autocisterne alla stessa intestate richiamando il provvedimento opposto e l’infondatezza delle censure in contrario sviluppate con l’atto di opposizione e, per altro verso, rilevava l’irrilevanza, ai fini della decisione in ordine alla c.d. confisca “allargata”, del rigetto delle richieste di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale e personale in danno di F.R.M., richiamando a sostegno l’insegnamento di SS.UU. 33451/2014.
5. Avverso il provvedimento del tribunale ricorrono per cassazione gli interessati, assistiti dai rispettivi difensori di fiducia.
5.1 F.R.M., con il coniuge C.S. ed con i figli, F.G. e F.F., assistiti dagli stessi difensori di fiducia, sviluppano due motivi di impugnazione.
5.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge, in particolare dell’art. 12 sexies l. 356/1992, in relazione alla ingiusta ed inesatta rilevazione dei criteri di sproporzione legittimanti la confisca, e mancanza della motivazione quanto alla ricostruzione dei redditi familiari, in particolare osservando: il tribunale ha accertato il reddito dei ricorrenti sulla base dei costi e dei ricavi aziendali rinvenienti dalle dichiarazioni IVA, con ciò integralmente recependo le conclusioni peritali; tali conclusioni risultano assunte in violazione della norma di riferimento, l’art. 12 sexies l. 356/1992, ai sensi del quale il reddito da valutare ai fini dell’accertamento del requisito della sproporzione, oltre a quello dichiarato ai fini fiscali, è quello rinveniente dall’attività economica svolta dall’imputato, se del caso anche se non dichiarato fiscalmente; nella specie è indiscusso che F.R.M. ed il suo nucleo familiare hanno esercitato sempre attività di impresa agricola, i cui proventi, come è noto, non vengono ostentati al fisco; di tali redditi agricoli effettivi gli interessati hanno dato prova mediante la ricostruzione analitica del pr. Agrario Cavaliere, i cui risultati non sono stati nè considerati, in quanto non documentalmente provati fiscalmente, né confutati come richiesto dalle regole processuali; tanto anche perché la presunzione di cui all’art. 12 sexies l. 356/1992 non è assoluta ed ammette pertanto la prova contraria, nello specifico data dalla consulenza di parte e dalla relazione del perito agrario; il perito di ufficio ha del tutto ignorato il c.d. fascicolo aziendale messo a sua disposizione, fascicolo utilizzato per determinare il contributo AGEA e importantissimo per consentire la ricostruzione della potenzialità reddituale dell’azienda agricola.
5.1.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 12 sexies l. 356/1992 in relazione alla omessa considerazione del principio della c.d “ragionevolezza temporale”, di seguito meglio chiarito, nonché vizio della motivazione sul punto, in particolare deducendo: il ricorrente F.R.M. è stato condannato per il reato di cui all’art. 644 c.p., accertato il 26 agosto 1996, con sentenza del 28.4.2006, confermata in appello il 16 aprile 2008; nella specie la confisca ha riguardato il periodo temporale intercorrente dal 1991 al 2012 in relazione ad un unico episodio di usura giudicato con la sentenza di condanna; fermo restando la esclusione di criteri di pertinenzialità, rimane la necessità, per la confisca allargata, di collegare comunque i beni da confiscare ad una generica attività illecita da parte del confiscato; resta l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla disposta confisca di beni acquisiti in tempi antecedenti e successivi molto lontani dalla condotta giudicata; comunque illegittima è la confisca di beni acquisiti dopo la sentenza di condanna (del 2006).
5.2 A.M., da parte sua, assistita da difensore di fiducia, sviluppa due motivi di impugnazione.
5.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 12 sexies l. 356/1992 ed omessa motivazione al riguardo con riferimento specifico alle ragioni sviluppate con la rigettata opposizione, in particolare osservando: il tribunale ha proceduto alla confisca della ditta A. di A.M. sul presupposto che quest’ultima abbia fittiziamente assunto la titolarità aziendale, in realtà riferibile a F.R.M.; l’interessata si è opposta al provvedimento ablatorio sviluppando una serie di motivati argomenti e con la indicazione di circostanze fattuali a favore puntualmente documentate; in primo luogo la ricorrente ha dimostrato di aver acquisito i beni confiscati mediante contratto di affitto aziendale concluso nell’anno 2010 con la curatela fallimentare; ha poi provato la ricorrente la legittima cessione dei beni aziendali, nel 2011, alla moglie del F.; ha altresì provato, l’interessata, la sua notevole solidità economico-finanziaria (dichiarazioni IVA milionarie e redditi fiscali personali rilevantissimi) evidenziando, infine, la perfetta inutilità, per il F.R.M., di interporre fittiziamente altra persona alla sua, considerato il cospicuo patrimonio immobiliare e mobiliare in diretta proprietà.
5.2.2 Col secondo motivo di impugnazione ha infine denunciato la difesa ricorrente violazione dell’art. 12 sexies l. 356/1992 in relazione alla omessa considerazione del principio della ragionevolezza temporale, sul rilievo che l’acquisizione dell’azienda confiscata risale al 2010, che la condotta di reato giudicata risale al 1996, che la sentenza di condanna è del 2006 e che siffatti dati dimostrano, inequivocabilmente, la illegittimità della confisca stessa secondo consolidati insegnamenti della corte di legittimità circa la irritualità della confisca allargata che intervenga su beni acquisiti successivamente alla sentenza di condanna.
6. Con motivata requisitoria scritta il P.G. in sede ha concluso per l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata, rilevando l’assoluta mancanza di motivazione a sostegno della confisca disposta in danno di A.M. e l’erronea dimostrazione del requisito della sproporzione tra redditi familiari dei F. ed i beni acquisiti dal 1991 al 2012.
Rileva, in particolare, il P.G.: a. l’erroneità metodologica di delibare siffatta sproporzione facendo riferimento rigido ai redditi percepiti anno per anno ed ai beni acquisiti nelle corrispondenti annualità; b. l’insufficienza delle dichiarazioni fiscali IVA al fine di accertare il reddito effettivo dell’impresa agricola; c. la fondatezza del richiamo difensivo alla c.d. ragionevolezza temporale.
7. In data 5 ottobre 2017 gli avvocati R.L. e N.C., difensori dei ricorrenti F. e di C.S., hanno depositata istanza di trattazione in udienza pubblica del loro ricorso, motivando la richiesta con l’intento di esercitare le facoltà difensive di legge, istanza alla quale la Corte non ha dato corso.
Considerato in diritto
1. Va in primo luogo dato conto del mancato accoglimento della richiesta difensiva di pubblica discussione del ricorso, viceversa deciso nelle forme precedimentali dell’udienza in camera di consiglio non partecipata disciplinata dall’art. 611 c.p.p..
Al riguardo, come è noto, il quadro normativo di riferimento è stato delineato attraverso due importanti pronunce della Corte Costituzionale, la quale ha, dapprima, con sentenza n. 93 del 12.1.2010 (mass. 34453) stabilito la illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e dell’art. 2- ter della legge 31 maggio 1965,n. 575, per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consentivano che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolgesse, davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica ed ha, successivamente, con la sentenza n. 80 del 25.1.2011 (mass. 35478), dichiarato non fondata la medesima questione sottoposta da questa corte in riferimento all’udienza davanti al giudice di legittimità e questo sul rilievo che, l’avvenuta introduzione nel procedimento di prevenzione, per effetto della richiamata sentenza n. 93 del 2010 della Corte costituzionale, del diritto degli interessati di chiedere la pubblica udienza davanti ai tribunali (giudici di prima istanza) e alle corti di appello (giudici di seconda istanza, ma competenti al riesame anche delle questioni di fatto, se non addirittura essi stessi all’assunzione o riassunzione di prove) consentiva di ritenere sufficiente a garantire la conformità del nostro ordinamento alla CEDU, senza la estensione del suddetto diritto anche al giudizio davanti alla Corte di cassazione.
Nella motivazione sviluppata a sostegno delle sintetizzate conclusioni ha richiamato il giudice delle leggi pronunce della CEDU confermative della coerenza ai principi della superiore Convenzione del quadro procedimentale venutosi a formare in seguito alle due pronunce di costituzionalità ( in particolare, ex plurimis, sentenza 21 luglio 2009, Seliwiak contro Polonia; Grande Camera, sentenza 18 ottobre 2006, Hermi contro Italia; sentenza 8 febbraio 2005, Miller contro Svezia; sentenza 25 luglio 2000, Tierce e altri contro San Marino; sentenza 27 marzo 1998, K.D.B. contro Paesi Bassi; sentenza 29 ottobre 1991, Helmers contro Svezia; sentenza 26 maggio 1988, Ekbatani contro Svezia).
L’istanza dei difensori di cui innanzi non ha, pertanto, trovato ingresso non potendosi riconoscere, per le ragioni appena chiarite, un diritto difensivo alla trattazione in udienza pubblica del loro ricorso di legittimità.
2. Tornando ora alla valutazione delle doglianze, premette la Corte che entrambi i ricorsi sono fondati e lo sono in ogni loro motivo di impugnazione.
2.1 Dapprima la norma di riferimento. L’art. 12 sexies l. n. 306/92, conv. dalla l. n. 365/92 (introdotto dal d.l. n. 399/94, conv. dalla l. n. 501/94), utilizzando l’esperienza positiva della confisca di prevenzione, descrive, nei casi di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per il delitto previsto dall’articolo 416 bis c.p. e per altri gravi reati, una fattispecie di confisca, c.d. “allargata”, dei beni o delle altre utilità di cui “il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”. Secondo Sez. U, Sentenza n. 33451 del 29/05/2014, Rv. 260247, la confisca di prevenzione e quella di cui all’art. 12 sexies, presentano presupposti applicativi solo in parte coincidenti, atteso che per entrambe è previsto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato e che presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito da quest’ultimo dichiarato ovvero all’attività economica dal medesimo esercitata, tuttavia solo per la confisca di prevenzione è prevista la possibilità di sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego.
Per la confisca “allargata”, come per la confisca di prevenzione, occorre quindi la medesima prova della disponibilità indiretta del bene in capo all’indagato/imputato/condannato. Nel caso in cui il bene che si assume illecitamente acquistato risulti poi intestato a terzi, come nella specie in esame in ordine alla ricorrente A.M. ed ai congiunti del condannato, occorre dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. In tal caso, il giudice ha l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali caratterizzati dalla gravità, precisione e concordanza, ‘sì da costituire prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare, cioè il superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene.
Quanto alla prova liberatoria della lecita provenienza dei beni, necessaria al fine di evitare il provvedimento ablatorio, si va consolidando un’interpretazione secondo cui non è richiesta una giustificazione qualificata della legittima provenienza dei beni, ma un’attendibile e circostanziata giustificazione, che il giudice deve valutare in concreto, secondo il principio della libertà di prova e del libero convincimento. Una tesi che ha come presupposto la ricostruzione dell’istituto in termini di conformità alla Costituzione, avendo l’art. 12 sexies introdotto una mera “presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, col trasferimento sul soggetto, che ha la titolarità o la disponibilità dei beni, dell’onere di giustificare la provenienza, con l’allegazione di elementi che, pur senza avere la valenza probatoria civilistica in tema di diritti reali, possessori e obbligazionari, siano idonei a vincere tale presunzione, escludendo ogni ipotesi di inversione dell’onere della prova” (Cass. 5452/2010 e prima ancora 11049/2001).
Come detto, la giustificazione circa la disponibilità dei beni confiscabili in misura proporzionale al proprio reddito, deve avere come punto di riferimento il reddito fiscale dichiarato ovvero quello comunque rinveniente dalla propria attività economica, riferimento normativo quest’ultimo che comporta, in sede di sequestro, qualora sia nota un’attività economica che comporti redditi non dichiarabili interamente o parzialmente, la necessità di una valutazione ulteriore anche di questi ai fini della sproporzione (Sez. 1, n. 44534 del 24.10.2012).
2.2 Tutto ciò premesso sul piano dei principi e tornando, come di necessità, al caso portato all’esame del Collegio, osserva la corte, in riferimento ai ricorsi di F.R.M. e dei suoi congiunti, questi ultimi, evidentemente, in qualità di terzi, che il provvedimento impugnato si caratterizza per plurime violazioni di legge.
2.2.1 In primo luogo deve annotarsi che il tribunale ha ritenuto irrilevante la circostanza che nei confronti di F.R.M. è stata rigettata la richiesta di applicazione di misure di prevenzione personale e reale sul presupposto che non sarebbe stata provata la pericolosità sociale del proposto, valutazione questa non coerente con l’insegnamento di legittimità, il quale ancora di recente si è espresso nel senso che “la decisione conclusiva del procedimento di prevenzione patrimoniale, ex art. 2-ter L. n. 575 del 1965, ha effetto preclusivo su un eventuale procedimento, avente ad oggetto gli stessi beni ed in danno della stessa persona, per la confisca ex art. 12 sexies D.L. n. 306 del 1992, conv. in L. n. 356 del 1992, in mancanza di deduzione di fatti nuovi modificativi della situazione definita (Sez. 1, Sentenza n. 44332 del 18/11/2008, Rv. 242201; Conf. Sez. 1, Sentenza n. 48173 del 23/10/2013, Rv. 257669 ; Sez. 5, Sentenza n. 22626 del 28/04/2010, Rv. 247441; sui rapporti tra confisca di prevenzione e confisca allargata si vedano anche: Sez. 6, Sentenza n. 23040 del 07/12/2016, Rv. 270482 e Sez. 5. n. 9729 del 19.1.2017, Rv. 269173, dove si esclude l’operatività di una preclusione tra i due provvedimenti in costanza di utile valutazione, nell’ambito del procedimento relativo alla confisca “allargata”, di redditi sottratti alla imposizione fiscale).
Orbene, tanto premesso, osserva la Corte che la specifica situazione data dalla conclusione favorevole al proposto della procedura di prevenzione (personale e reale) e dalla successiva istanza di confisca ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. 306/1992, comportava l’onere di un più rigoroso obbligo motivazionale, nello specifico non soltanto non soddisfatto ma addirittura del tutto omesso.
2.2.2 Devono inoltre ritenersi erronee, ed è questo un secondo profilo di illegittimità, le modalità attraverso le quali il tribunale, facendo proprie le conclusioni del perito di ufficio e le sue premesse metodologiche, è pervenuto alla determinazione del reddito riferibile al nucleo familiare del condannato per la cospicua ed accertata attività imprenditoriale agricola svolta dal 1991 (anno iniziale di riferimento adottato dal giudice della confisca), attività economica questa, come è noto, sottoposta ad un particolarissimo regime fiscale. In considerazione di ciò il tribunale, sempre sulla scorta delle indicazioni metodologiche del perito di ufficio, ha fatto riferimento alle denunce presentate dall’imprenditore ai fini dell’IVA, ma ciò facendo ha escluso le potenzialità reddituali dei fondi agricoli interessati dal lavoro della famiglia F. indicati dalla consulenza di parte sulla base di un rigoroso metodo scientifico e, soprattutto, del c.d. fascicolo aziendale, i cui esiti sono stati utilizzati e considerati utilmente dal perito soltanto ai fini dei contributi erogati dall’AGEA. E’ appena il caso di rammentare che nella ipotesi della confisca allargata, a differenza di quella di prevenzione (cfr. Sez. U, Sentenza n. 33451 del 29/05/2014, Rv. 260244) la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto può essere giustificata adducendo anche proventi da evasione fiscale, atteso che soltanto le disposizioni sulla di confisca prevenzione mirano a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso.
2.2.3 Del tutto errato e contra legem deve essere poi dichiarato il metodo di accertamento della sproporzione tra reddito disponibile e bene confiscabile sulla base del mero confronto del dato annuale, considerato che il principio di diritto al riguardo fa riferimento all’accertamento della capacità reddituale al momento dell’acquisizione del bene confiscabile, capacità reddituale non necessariamente legata ai soli incrementi di ricchezza realizzati nell’anno dell’acquisizione, ma alla complessiva forza economica che l’acquirente è in grado di mettere in campo in tale momento temporale.
2.2.4 Vi è infine un terzo profilo di illegittimità del provvedimento in esame, quello relativo al criterio della “ragionevolezza temporale” (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 34136 del 13/06/2014, Rv. 261202) al quale la giurisprudenza di legittimità assegna ormai una funzione regolatrice della fattispecie, di per sé idonea a produrre risultati contrari al senso di giustizia (una minima infrazione penale compresa tra quelle indicate per l’applicazione della norma di riferimento che produce una confisca di dimensioni enormi). Al riguardo ha avuto modo di ribadire questa sezione (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 41100 del 16/04/2014, Rv. 260529) il principio di diritto secondo cui, “in tema di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 12 sexies D.L. n. 306 del 1992, convertito in legge n. 356 del 1992, la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano “ictu oculi” estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto rispettato il requisito della “ragionevolezza temporale” in relazione ad un acquisito effettuato un anno prima rispetto al formale inizio della attività criminosa”.
Ebbene, nel caso di specie la confisca, per una condotta di usura (che sembrerebbe unica) consumata nel 1996 e giudicata nel 2006 in primo grado e nel 2008 in secondo grado, usura sulle cui caratterizzazioni concrete nulla ha detto il giudice a quo, ha riguardato beni acquisiti dal 1991 al 2012, eppertanto anche quelli acquisiti successivamente alla sentenza di condanna, evidentemente esclusi per tabulas ovverosia per disposto della norma, dalla confisca di cui all’art. 12 sexies. Insegna infatti la Corte di legittimità che “la confisca prevista dall’art. 12 sexies D.L. 8 giugno 1992 n.306, non può essere disposta in relazione a beni acquistati dal condannato dopo la sentenza di condanna, giacchè, da un lato si vanificherebbe ogni distinzione della disciplina di tale tipo di confisca con quella delle misure di prevenzione e, dall’altro, si attribuirebbero al giudice dell’esecuzione compiti di accertamento tipici del giudizio di cognizione” (così Sez. 1, Sentenza n. 12047 del 11/02/2015, Rv. 263096).
2.3 Altresì fondato, come già innanzi anticipato, si appalesa il ricorso di A.M., in relazione al quale, come fondatamente rilevato dal P.G. e denunciato dalla difesa impugnante, il tribunale ha sviluppato una motivazione meramente apparente, del tutto ignorando e per nulla considerando le censure esposte nell’atto di opposizione quanto alla capacità patrimoniale del terzo interessato, la ricorrente A.M., ai suoi chiari rapporti con la famiglia F. e con ciascuno dei suoi componenti, alle modalità di rilevanza pubblica di acquisizione delle aziende sottoposte a confisca (affittanza dalla curatela fallimentare) e quanto, infine, all’epoca dell’acquisizione aziendale, il 2010/2011, ben lontana dall’epoca della condanna per il reato giustificativo della confisca, il 2006 e dalla consumazione del reato di usura giustificativo del provvedimento, il 1996.
3. Alla stregua delle esposte considerazioni e dei richiamati principi di diritto, quanto ai rapporti tra distinte tipologie di confisca e relativi provvedimenti giurisdizionali di diverso segno per il medesimo proposto, quanto alle modalità di accertamento del requisito della sproporzione reddituale al momento della acquisizione del singolo bene da sottoporre a confisca, quanto, infine, al principio di “ragionevolezza temporale” ed al rapporto tra consumazione del reato contemplato dalla norma di riferimento (art. 12 sexies citato) ed epoca di acquisizione del bene da confiscare, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice territoriale per nuovo esame dell’opposizione proposta dai ricorrenti nelle rispettive qualità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Castrovillari.
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