CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2017, n. 31051
Tributi – Imposte di registro, ipotecarie e catastali – Agevolazione fiscale ex art. 60, L.R. Sicilia n. 2 del 2002 – Regime di tassazione dei terreni agricoli per soggetti che non operano nel campo dell’agricoltura – Acquisto terreno a destinazione non agricola, soggetto a vincoli in parte a “verde pubblico”, in parte a “verde privato” – Applicabilità – Esclusione
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate ricorre, nei confronti di Le A. s.p.a., per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia ha confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso il silenzio-rifiuto dall’Amministrazione finanziaria formatosi sulla richiesta di rimborso delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, versate in relazione all’atto di permuta, a rogito del notaio Grassi, stipulato il 12/5/2009 e registrato il 25/5/2009, con il quale aveva acquistato la proprietà di un terreno, sito nel Comune di Acireale, sulla base dell’allegato certificato di destinazione urbanistica a destinazione non agricola, in parte a “verde pubblico”, in parte a “verde privato”.
Secondo la Commissione Tributaria Regionale il terreno oggetto del contratto tassato non può ritenersi edificabile, dovendosi qualificare “zona bianca”, con indice di edificabilità pari a quello delle zone agricole, essendo venuto meno il vincolo preordinato all’esproprio per l’inutile decorso del termine entro il quale il procedimento ablatorio avrebbe dovuto essere concluso, per cui esso gode delle agevolazioni di cui agli artt. 60, L.R. Sicilia n. 2 del 2002 ed 1, L. n. 604 del 1954, e la contribuente ha diritto al rimborso in ragione del maggiore valore dichiarato in atto.
L’Agenzia affida il ricorso a tre motivi, mentre la società Le A. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo d’impugnazione, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4, denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., comma 6, 132 c.p.c., comma 2, n. 4, 118 disp. att. c.p.c., 1, comma 2, 36, comma 2, nn. 2 e 4, 53 e 54, D.Lgs. n. 546 del 1992, giacché la impugnata decisione della Commissione Tributaria Regionale è affetta da nullità assoluta in quanto, nell’equiparare i terreni ricadenti in “zona bianca” a quelli agricoli, i quali godono delle agevolazioni di cui all’art. 60, L.R. Sicilia n. 2 del 2002, in relazione agli atti elencati nell’art. 1, comma 1, L. n. 604 del 1954, omette l’esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto in forza delle quali sarebbe applicabile il regime agevolato, risultando apodittica l’assimilazione del terreno per cui è causa a quelli con destinazione agricola.
Con il secondo motivo d’impugnazione, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 60, L.R. Sicilia n. 2 del 2002 in relazione all’art. 1, L. n. 604 del 1954, giacché la Commissione Tributaria Regionale, equiparando i terreni ricadenti in “zona bianca” a quelli agricoli, è incorsa in errore in quanto il regime di tassazione dei terreni agricoli per soggetti che non operano nel campo dell’agricoltura, a mente dell’art. 1, comma 3, della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, prevede l’imposta proporzionale di registro (pari al 15%), l’imposta di trascrizione (pari al 2%), e l’imposta ipotecaria (pari all’1% ), e risponde all’esigenza di disincentivare l’acquisizione di terreni agricoli per finalità speculative da parte di chi non svolge professionalmente un’attività agricola, laddove la L. n. 604 del 1954 è tesa ad incentivare l’acquisizione di terreni da parte di coltivatori diretti, i quali devono all’uopo produrre, ai momento della registrazione dell’atto, ovvero entro il termine di tre anni, idonea certificazione, attraverso l’applicazione delle imposte di registro e ipotecaria in misura fissa, per cui un’interpretazione dell’art. 60, L.R. Sicilia n. 2 del 2002, “costituzionalmente orientata” e coerente con il sistema tributario nazionale – prosegue la ricorrente – porta ad escludere che il legislatore regionale abbia inteso introdurre una applicazione generalizzata della normativa agevolativa “a tutte le vendite di terreni agricoli e di fabbricati (rurali) quali pertinenze”, indipendentemente dal possesso dei requisiti previsti dall’art. 2, L. n. 604 del 1954.
Con il terzo motivo d’impugnazione, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, comma 3, D.P.R. n. 327 del 2001, giacché la Commissione Tributaria Regionale, facendo discendere dal venir meno del vincolo preordinato all’esproprio una sostanziale assimilazione del terreno de quo, anche a fini tributari, ai terreni agricoli, è incorsa in errore in quanto non ha considerato che, in materia urbanistica, la scadenza dei vincoli di P.R.G. a contenuto espropriativo, di valenza quinquennale, comporta che l’area interessata debba intendersi sottoposta all’applicazione, in luogo dell’originaria destinazione di zona, del regime proprio delle “zone bianche”, con applicazione delle norme di salvaguardia previste per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali (art. 4, ultimo comma, L. n. 10 del 1977, poi art. 9, T.U. n. 380 del 2001), situazione per sua natura provvisoria, avendo l’autorità comunale l’obbligo di rimediare al cosiddetto “vuoto urbanistico” dettando una nuova disciplina.
La censura contenuta nel primo motivo di ricorso è infondata.
Secondo un principio più volte ribadito da questa Corte in tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle, laddove, appunto, resti impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo.
Pur trattandosi di sentenza impugnata sinteticamente motivata, la ratio decidendi va individuata nell’assimilazione, quanto a capacità edificatoria, delle “zone bianche” ai terreni agricoli e, sul piano fiscale, nell’estensibilità alle prime del regime agevolativo di cui all’art. 60, L.R. Sicilia n. 2 del 2002, per cui non v’è in certezza in ordine al percorso logico-giuridico del Giudice di appello.
Le censure contenute nel secondo e nel terzo motivo di ricorso sono fondate e, nei termini di seguito precisati, vanno accolte.
La società Le A. ha acquistato, con l’atto di permuta, stipulato il 12/5/2009 e registrato il 25/5/2009, la proprietà del terreno che nell’allegato certificato di destinazione urbanistica risultava possedere (al momento della stipula) una destinazione non agricola, in quanto, in parte, a “verde pubblico” e, in parte, a “verde privato”, e rientrando in zona sottoposta a vincolo urbanistico preordinato all’espropriazione (ZTO “I” e “strade e parcheggio di P.R.G.”).
In conseguenza di detta situazione, la contribuente ha provveduto al versamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura piena, ed una volta appurato che i vincoli in questione “erano già decaduti e le aree trasferite erano soggette al regime proprio delle c.d. “zone bianche”, di cui all’art. 9 del D.P.R. n. 380/2001, regime che consente un regime edificatorio … analogo a quello previsto per le zone aventi destinazione agricola”, ha chiesto all’Amministrazione finanziaria il rimborso di quanto versato in eccesso, trovando applicazione il regime agevolativo di cui all’art. 60, L.R. Sicilia n. 2 del 2002.
Quanto all’individuazione dell’ambito di operatività dell’agevolazione, questione affrontata soprattutto nel secondo motivo d’impugnazione, appare utile riportare il quadro normativo di riferimento.
L’art. 60 (Agevolazioni fiscali), L.R. Sicilia n. 2 del 2002, recita: “Al fine di favorire la ricomposizione fondiaria, aumentare le economie di scala e ottimizzare il ritorno degli investimenti nel settore agricolo, gli atti elencati al primo comma dell’articolo 1 della legge 6 agosto 1954, n. 604, da chiunque posti in essere fino alla data del 31 dicembre 2006, sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura di cui all’articolo 9 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 e sono esenti dalle imposte di bollo e catastale”.
L’art. 20, comma 15, L.R. n. 19 del 2005, recita: “Le agevolazioni di cui all’articolo 60 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, ed all’articolo 99 della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4, si applicano per tutti gli atti traslativi da chiunque posti in essere a partire dal 1° gennaio 2002 fino alla data del 31 dicembre 2006, alla sola condizione che abbiano ad oggetto terreni agricoli secondo gli strumenti urbanistici vigenti alla data di stipula dell’atto e loro pertinenze; il riferimento al primo comma dell’articolo 1 della legge 6 agosto 1954, n. 604, vale solo ai fini dell’individuazione delle tipologie di atti agevolati. La presente disposizione costituisce interpretazione autentica dell’articolo 60.”.
E’ appena il caso di ricordare, per quanto in questa sede d’interesse, che il suindicato termine del 13 dicembre 2006 è stato successivamente prorogato (L.R. Sicilia n. 2 del 2007, art. 32) per cui la suesposta disciplina ratione temporis è astrattamente applicabile alla fattispecie in esame.
L’Agenzia delle Entrate deduce che l’agevolazione, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, non può trovare applicazione, e ciò per l’assorbente ragione che l’atto di permuta non ha ad oggetto “terreni agricoli secondo gli strumenti urbanistici vigenti alla data di stipula dell’atto e loro pertinenze”, e che la natura della disposizione, la quale richiama il primo comma dell’articolo 1, L. n. 604 del 1954, ai fini dell’individuazione delle tipologie di atti agevolati, non consente il ricorso all’analogia (art. 14 preleggi).
Deduce ancora che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, l’inefficacia del vincolo di pianificazione urbanistica preordinato all’espropriazione, derivante dal Piano Regolatore Generale, per mancata attuazione nel quinquennio, non determina il venir meno del carattere edificabile del terreno, in quanto impedisce solamente il pubblico esproprio, e che l’applicabilità alla area interessata del regime urbanistico delle cosiddette “zone bianche” non ne determina la regressione a zona agricola.
Secondo una condivisibile giurisprudenza di questa Corte (S.U. n. 25506/2006; Cass. n. 25676/2008), utilmente richiamabile ai fini qui considerati, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 1 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.
E la natura edificabile di un suolo non viene meno per effetto delle ridotte dimensioni o della particolare conformazione del lotto, circostanze che incidono normalmente sulla sola determinazione de! valore venale del terreno (salvo che gli strumenti urbanistici le considerino espressamente significative della non edificabilità), essendo sempre possibile l’accorpamento con fondi vicini, ovvero l’asservimento urbanistico a fondo contiguo avente identica destinazione e soprattutto, per quanto rilevava ai fini del presente giudizio, il carattere edificabile neppure è eliminato a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, decadenza da cui deriva non una situazione di totale inedificabilità, ma l’applicazione della disciplina delle cosiddette “zone bianche” che, ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità (Cass. n. 11433/2010; n. 25676/2008). Come opportunamente sottolineato nella sopra richiamata sentenza n. 25676/2008, “Per la L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2, comma 1, (abrogato dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 58, a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi del D.L. 20 giugno 2002, n. 122, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. 1 agosto 2002, n. 185), invero, “perdono ogni efficacia” (“qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati”) unicamente “le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità”: la norma, cioè, non commina tout court la perdita di “efficacia” (in conseguenza delle omissioni indicate nella stessa) del c.d. vincolo ma soltanto per quella “parte” delle “indicazioni di piano regolatore generale” che “incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità”, per cui “le zone urbanistiche interessate dalla inefficacia del vincolo urbanistico per scadenza del quinquennio, in assenza della pur possibile (Cass., 1A, 31 marzo 2008 n. 8384) reiterazione dello stesso – avendo la Corte Costituzionale affermato (sentenze 22 dicembre 1989 n. 575 e 20 maggio 1999 n. 179) esser (excerpta dalla prima) “propria della potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare illimitatamente nel tempo i vincoli su beni individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche” e sempre che “iI vincolo” non “venga protratto a tempo indeterminato senza la previsione di indennizzo” (ora considerato dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 39) -, sono soggette alla disciplina delle c.d. “zone bianche”, ovverosia (Cass., 1^, 6 settembre 2003 n. 14333; 6 novembre 1998 n. 11158) alla disciplina “di cui alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, u.c.” il quale – “ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli” – “configura” pur sempre, anche se “a titolo provvisorio”, un “limitato indice di edificabilità””.
Nel caso di specie, per effetto della decadenza del vincolo, che – come sopra ricordato – può essere motivatamente reiterato, il terreno de quo, già incluso dal P.R.G. in zona edificatoria vincolata, conserva tale qualità, sia pure in misura ridotta, trovando applicazione la disciplina dettata dall’art. 9, D.P.R. n. 380 del 2001 (l’art. 4, L. n. 10 del 1977, è stato abrogato dal D.P.R. citato), che fissa i limiti per l’attività edilizia nei Comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali.
E’, dunque, corretto parlare di limitate potenzialità edificatorie dell’area per cui è causa, ma è certamente errato sostenere che possa rivivere la situazione anteriore all’imposizione del vincolo, che al contrario è ciò che invece accade nell’ipotesi di annullamento giurisdizionale dei vincoli medesimi, atteso il giudizio di valore insito in tale pronuncia, che determina la reviviscenza con effetto ex nunc della disciplina urbanistica precedentemente in vigore relativamente all’area stessa (cfr. C. Stato, sez. V, 23 settembre 1997, n. 1008, edita).
E’, infine, appena il caso di osservare che non si applica il regime di cui all’art. 9, D.P.R. n. 380 del 2001, allorquando il piano regolatore generale disciplini espressamente le conseguenze dell’inefficacia e della decadenza dei vincoli, assegnando alle aree interessate una specifica destinazione urbanistica, ma si tratta di ipotesi a cui nessuna della parti in causa ha fatto riferimento negli scritti difensivi.
In assenza, dunque, della condizione giuridica propria dei terreni agricoli, secondo gli strumenti urbanistici vigenti alla data di stipula dell’atto, va esclusa l’applicazione dell’invocato regime agevolativo, e ciò rende superfluo l’esame del profilo impugnatorio concernente la legittimità della estensione delle previsioni a favore della piccola proprietà contadina, di cui alla L. n. 604 del 1954 operata dalla normativa regionale.
Si impone, in relazione ai motivi d’impugnazione accolti, la cassazione della sentenza impugnata, e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.
La evoluzione della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese dei gradi di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente, che condanna al pagamento delle spese de! presente giudizio, liquidate in Euro 7.300,00. Compensa tra le parti le spese dei gradi dì merito.
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