CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 giugno 2017, n. 16172
Tributi – Atto di accertamento e transazione di crediti commerciali – Valutazione delle prestazioni rese – Interessi – Natura compensativa – Rivalutazione – Natura retributiva – Carattere accessorio all’obbligazione principale – Assoggettamento ad IVA
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 59/27/10, emessa in data 12.03.2010, depositata in data 19.04.2010, la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio Milano 1, confermando la sentenza emessa dalla CTP di Milano, nulla disponendo sulle spese. La controversia ha ad oggetto l’impugnativa di un avviso di liquidazione con irrogazione di sanzioni per l’imposta di registro liquidata su scrittura privata avente per oggetto transazione di causa pendente.
2. Al fine di consentire una migliore intelligibilità dell’impugnazione, va premesso in fatto che il 19.11.2003 la S. S.p.A. stipulava un atto di accertamento e transazione con la S. S.p.A. e con la società consortile per azioni S.-S. Servizi in liquidazione; con l’atto in questione venivano accertate le prestazioni rese da S. S.p.A. e da S. S.p.A. a favore della società consortile e definiti i relativi corrispettivi e definita ogni contesa al riguardo; in particolare a favore di S. S.p.A. veniva accertato un corrispettivo a saldo dei servizi resi pari ad oltre 2 milioni di euro, oltre interessi anche su pagamenti pregressi per oltre 300.000 euro e alla rivalutazione monetaria per un importo superiore a 163.000 euro; a favore di S. S.p.A. veniva invece accertato un corrispettivo a saldo dei servizi resi pari a poco più di 137.000 euro, oltre ad interessi anche su pagamenti pregressi per oltre 707.000 euro e alla rivalutazione monetaria per oltre 380.000 euro; tutti i predetti importi venivano assoggettati ad IVA; a distanza di 3 anni dalla stipula di tale atto, la S. S.p.A. riceveva la notifica da parte dell’Agenzia delle Entrate di un avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni, in cui si contestava l’erroneo assoggettamento ad IVA delle somme corrisposte a titolo di interessi e di rivalutazione monetaria, reclamando l’Ufficio il pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale con aliquota del 3% sulle poste pattuite a titolo di interessi e rivalutazione monetaria; in ragione all’oggetto della controversia, dunque, l’Ufficio liquidava l’imposta di registro fissa sulle somme a titolo di corrispettivo per servizi resi ed assoggettati ad IVA, ed imposta proporzionale di registro al 3% sugli importi a titolo di interessi e rivalutazione monetaria.
3. La CTP adita accoglieva il ricorso del contribuente S. S.p.A., condividendone le deduzioni in ordine alla natura compensativa e non moratoria degli interessi pattuiti, la natura retributiva e non risarcitoria della rivalutazione monetaria e la conseguente applicabilità ad entrambe le poste dell’IVA e non dell’imposta di registro.
4. A seguito dell’appello interposto dall’Ufficio – con cui si deduceva che gli interessi indicati in sede di transazione erano accessori all’obbligazione principale, insistendo peraltro sulla natura risarcitoria della rivalutazione monetaria, ribadendo la correttezza dell’operato per aver sottoposto la somma oggetto di rivalutazione all’imposta di registro in misura proporzionale – la CTR con la sentenza qui ricorsa confermava la decisione dei giudici di prime cure, ribadendo che gli interessi indicati nell’atto, in sede di transazione, dovevano ritenersi accessori all’obbligazione principale.
5. La contribuente si è costituita nei termini di legge mediante controricorso.
6. All’udienza del 13/06, presente l’Avv. E.A., per delega dell’Avv. S. P., per la parte contribuente e l’Avv. P.G. dell’Avvocatura Gen.le dello Stato per l’Agenzia delle Entrate, il ricorso è stato trattenuto in decisione, chiedendone la Dott.ssa I. Z., in rappresentanza della P.G. presso questa S.C., l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto.
Considerato in diritto
7. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate pel tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, impugnando la decisione con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
7.1. Deduce, con l’unico motivo, il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 15, d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 40, d.P.R. n. 131 del 1986, oltre che degli artt. 9, ed 8, lett. b), parte prima della Tariffa ivi allegata e dell’art. 12, d.P.R. n. 633 del 1972.
In sintesi la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente Agenzia – premesso che in ragione all’oggetto della controversia, l’Ufficio aveva liquidato l’imposta di registro fissa sulle somme a titolo di corrispettivo per servizi resi ed assoggettati ad IVA, e l’imposta proporzionale di registro al 3% sugli importi a titolo di interessi e rivalutazione monetaria – dalle disposizioni normative di cui agli artt. 10 e 15, d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 40, d.P.R. n. 131 del 1986, oltre che degli artt. 9, ed 8, lett. b), parte prima della Tariffa, ratione temporis applicabili, in virtù dell’interpretazione giurisprudenziale consolidatasi (il riferimento è a Cass. 615/2011 ed a Cass. 12906/2007) si trae il principio per cui le somme dovute a titolo di interessi moratori, come quelle dovute per rivalutazione monetaria, non concorrono a formare la base imponibile a fini IVA, con la conseguenza che le stesse sono assoggettate ad imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad IVA; ne discenderebbe l’illegittimità della sentenza impugnata, che ha applicato la inesistente regola per cui, attesa la natura accessoria degli interessi, di qualsiasi specie essi siano (moratori o compensativi), gli stessi, come del resto la rivalutazione monetaria, sono sottoposti all’imposta di registro in misura fissa quando l’obbligazione principale sia soggetta ad IVA; l’errore commesso sarebbe duplice, da un lato perché tratta implicitamente la somma dovuta per rivalutazione monetaria al pari di quella dovuta per gli interessi e, dall’altro, perché ritiene che non fosse rilevante stabilire la natura degli interessi oggetto della transazione, per l’Agenzia moratori, muovendo dall’erroneo presupposto che qualsiasi obbligazione per interessi sia accessoria rispetto a quella principale, così mutuandone la natura, dunque rendendo falsamente applicabile l’art. 12, d.P.R. n. 633 del 1972 per cui l’obbligazione accessoria rientrerebbe nel campo di applicazione IVA.
8. La contribuente, in sede di controricorso, ha chiesto dichiararsi infondato il ricorso, deducendo quanto segue sul motivo proposto dall’Ufficio.
8.1. Anzitutto, quanto alla presunta natura moratoria degli interessi, rileva la contribuente che la qualificazione di tali interessi come “moratori” non è rinvenibile nelle parole della CTR, ma solo in quella della difesa Erariale, donde la presunta violazione dell’art. 15, d.P.R. n. 633 del 1972 non sarebbe ipotizzabile; i giudici della CTR hanno infatti fatto riferimento agli interessi “accessori” e non moratori, ribadendo quanto già rilevato dalla CTP in accoglimento della ricostruzione in fatto ed in diritto operata dalla contribuente; nel ricorso introduttivo la S. aveva eccepito che gli interessi pattuiti nell’atto di accertamento e transazione stipulato con la S. e con la società consortile S.-S. non avevano natura moratoria ma compensativa, dunque erano stati correttamente assoggettati ad IVA; si era evidenziato in tal senso che nel caso di specie fosse fuorviante ipotizzare un inadempimento contrattuale od una messa in mora, atteso che la società consortile era stata costituita da S. e S., sicché metterla in mora significava mettere in mora se stessi; soprattutto, la questione risolta con l’atto di accertamento e transazione riguardava la valutazione dei servizi resi da S. e da S. in favore della società consortile, sicché, una volta definito il valore di questi servizi, gli interessi erano stati pattuiti in misura tale da compensare le società creditrici per il tempo intercorso tra la data della prestazione e quella del pagamento, donde si sarebbe trattato di interessi compensativi e non moratori; il ritardo con cui la società consortile aveva pagato le prestazioni ricevute da S. e S. non era dipeso infatti dal mancato adempimento di un’obbligazione certa, ma da una divergenza sulla quantificazione del debito, sicché, non essendo il credito certo (poiché S. e S. vantavano una pretesa che richiedeva la previa soluzione di una questione di valutazione, ossia il previo accertamento del valore delle prestazioni rese) non era nemmeno ipotizzabile una messa in mora; correttamente, dunque, i giudici di merito avevano interpretato l’atto di accertamento e transazione escludendo che li interessi pattuiti avessero natura moratoria, donde gli stessi andavano assoggettati ad IVA in quanto accessori dell’obbligazione principale nascenti da detta obbligazione.
8.2. In secondo luogo, quanto alla rivalutazione monetaria, sarebbe infondata la tesi dell’Ufficio secondo cui le somme versate a titolo di rivalutazione monetaria avrebbero natura risarcitoria, con conseguente esclusione dal campo di applicazione IVA, anziché natura retributiva, e quindi accessorie all’obbligazione principale. A tal proposito, viene richiamata la giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento ai crediti di lavoro, ritenuta estensibile anche in subiecta materia (il riferimento è a Cass. S.U., 115/1989), in quanto, si sostiene, anche gli importi pattuiti a titolo di rivalutazione monetaria assolvevano alla funzione di garantire le società creditrici contro la perdita di potere di acquisto del denaro nel tempo intercorso tra la prestazione dei servizi e l’incasso dei corrispettivi; era dunque corretto attribuire a questi importi una funzione retributiva, ossia di adeguamento all’inflazione dei compensi per le prestazioni, e non risarcitoria, ossia di ipotetica rifusione di un danno che né S. né S. avevano mai denunciato.
9. Il ricorso è infondato.
10. Ed invero, non può dubitarsi della correttezza di quanto sostenuto dalla parte contribuente, alla luce delle motivazioni delle decisioni di merito, che hanno riconosciuto, a seguito di apprezzamento in fatto insindacabile in questa sede in quanto logicamente e congruamente motivato, la natura compensativa e non moratoria degli interessi oggetto dell’atto di accertamento e transazione intervenuto tra S. e S. con la società consortile S.-S.. La questione risolta con l’atto di accertamento e transazione riguardava la valutazione dei servizi resi da S. e da S. in favore della società consortile, sicché, una volta definito il valore di questi servizi, gli interessi erano stati pattuiti in misura tale da compensare le società creditrici per il tempo intercorso tra la data della prestazione e quella del pagamento: evidente quindi la loro natura di interessi compensativi e non moratori, non versandosi né in ipotesi di inadempimento contrattuale né di messa in mora. Gli interessi compensativi ex art. 1499 cod. civ. sono dovuti nei contratti di scambio per una funzione equitativa allo scopo di ristabilire l’equilibrio economico tra i contraenti, mirando a compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della cosa da lui consegnata all’altra parte prima di ricevere la controprestazione. Attesa la loro particolare finalità sono dovuti, a differenza degli interessi moratori, indipendentemente dalla mora e dall’inadempimento ed a prescindere dalla liquidità ed esigibilità del credito, sempre che di questo sia provata la certezza e la definitività (v., tra le tante: Sez. 2, Sentenza n. 10726 del 03/08/2001, Rv. 548777 – 01). Il ritardo con cui la società consortile aveva pagato le prestazioni ricevute da S. e S. non era dipeso, dunque, dal mancato adempimento di un’obbligazione certa, ma da una divergenza sulla quantificazione del debito, sicché, non essendo il credito certo (poiché S. e S. vantavano una pretesa che richiedeva la previa soluzione di una questione di valutazione, ossia il previo accertamento del valore delle prestazioni rese) non era nemmeno ipotizzabile una messa in mora.
Non è dunque ravvisabile l’illegittimità dedotta della sentenza impugnata nell’aver qualificato come accessori all’obbligazione principale soggetta ad IVA (somme a titolo di interessi dunque parimenti soggette ad IVA attesa la natura compensativa: v., ad es., Sez. 5, Sentenza n. 14112 del 18/06/2009, Rv. 608684 – 01) gli interessi compensativi di cui all’atto di accertamento e transazione intercorso tra le parti.
11. Analogamente è a dirsi quanto alle somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria.
Ed infatti, non può parimenti dubitarsi della correttezza di quanto sostenuto dalla parte contribuente, alla luce delle motivazioni delle decisioni di merito, che hanno riconosciuto, a seguito di apprezzamento in fatto insindacabile in questa sede in quanto logicamente e congruamente motivato, la infondatezza della tesi dell’Ufficio secondo cui le somme versate a titolo di rivalutazione monetaria avrebbero natura risarcitoria, con conseguente esclusione dal campo di applicazione IVA, anziché natura retributiva, e quindi accessorie all’obbligazione principale. Ed invero, anche gli importi pattuiti a titolo di rivalutazione monetaria assolvevano alla funzione di garantire le società creditrici contro la perdita di potere di acquisto del denaro nel tempo intercorso tra la prestazione dei servizi e l’incasso dei corrispettivi. Corretto dunque attribuire a questi importi una funzione retributiva, ossia di adeguamento all’inflazione dei compensi per le prestazioni, e non risarcitoria, ossia di ipotetica rifusione di un danno che né S. né S. avevano mai denunciato.
Ne discende, pertanto, che il conseguente carattere unitario dell’imposizione investiva anche la rivalutazione monetaria, che dell’obbligazione relativa alle somme a titolo di corrispettivo per servizi resi ed assoggettati ad IVA costituiva mero accessorio, senza che fosse possibile suddividere il debito per sottoporlo a separate forme di tassazione. Da qui, dunque, la corretta inclusione delle somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria nel campo di applicazione IVA.
12. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, il ricorso dell’Ufficio dev’essere respinto, con conseguente conferma integrale dell’impugnata sentenza.
13. Alla soccombenza deve seguire la condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che vengono liquidate come da dispositivo, in base ai parametri disciplinati dal DM 55/2014, recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247”, nella misura di € 7.000,00 per compensi in ragione del valore della causa (pari ad € 107.389,00), oltre spese generali forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 7.000,00 per compensi, oltre spese generali forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
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