CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 luglio 2017, n. 18829
Tributi – Dichiarazione dei redditi – Accertamento – Attività agricola
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate per l’anno d’imposta 2000 rideterminò il reddito del contribuente ed accertò maggiore materia imponibile ai fini dell’iva e dell’irpef, in esito alla qualificazione dell’attività da lui svolta come commerciale, anziché agricola.
Il contribuente impugnò il conseguente avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.
Quella regionale ha respinto l’appello dell’Ufficio. Al riguardo, ha considerato che il contribuente aveva provato di esercitare prevalentemente attività agricola, anche in considerazione delle quantità di concimi e fertilizzanti che aveva acquistato e della capacità produttiva della quantità di terreni che aveva a disposizione, emergente da una perizia prodotta dalla parte; laddove i sopralluoghi compiuti dai verificatori su porzioni limitate di terreno non assumevano rilevanza dirimente.
Contro questa sentenza l’Agenzia propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui il contribuente reagisce con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Con i due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché connessi, che, contrariamente a quanto sostenuto in controricorso, sono ammissibili, perché identificano in maniera deguata i fatti controversi e le pertinenti questioni di diritto, l’Agenzia lamenta:
– ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’insufficienza della motivazione della sentenza Impugnata in ordine al fatto controverso e decisivo della prevalenza dell’attività di natura agricola rispetto a quella connessa di commercio di flora (primo motivo);
– ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2135 c.c., dell’art. 29 (ora 32) del d.P.R. n. 917/86 e dell’art. 34 del d.P.R. n. 633/72, là dove il giudice d’appello si è contentato, al fine di escludere la natura commerciale, anziché agricola, dell’attività connessa svolta dal contribuente di commercio di flora, del parametro della prevalenza, nel novero dei prodotti agricoli commercializzati, di quelli provenienti dai fondi da lui coltivati, senza verificare se tale attività rientri nell’esercizio normale dell’agricoltura (secondo motivo).
1.1. – Va premesso, in diritto, che, ai fini tributari, l’attività di commercializzazione dei prodotti svolta da un’impresa, per essere considerata agraria per connessione, deve riguardare, almeno prevalentemente, i prodotti propri dell’impresa agricola e non assumere dimensioni tecnico-organizzative tali da assurgere ad attività del tutto autonoma; in nessun caso, inoltre, l’attività di commercializzazione di prodotti acquistati da terzi può considerarsi agraria per connessione, se su detti prodotti l’imprenditore, prima di operarne la rivendita, non esegua alcun intervento (ad esempio, di manipolazione o di trasformazione) idoneo ad inserire in qualche modo i prodotti stessi nel proprio ciclo intermediario per la collocazione sul mercato di prodotti di altri imprenditori, realizzando utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa (Cass. 10 aprile 2015, n. 7238).
1.2. – Il principio si correla a quello più generale, in base al quale nell’attività dell’impresa agricola rientrano, oltre alla coltivazione del fondo, anche le lavorazioni connesse, complementari ed accessorie dirette alla trasformazione ed alienazione dei prodotti agricoli, purché, però, sia riscontrabile uno stretto collegamento fra l’attività agricola principale e quella di trasformazione dei prodotti, come finalizzata all’integrazione od al completamento dell’utilità economica derivante dalla prima secondo il naturale svolgimento del ciclo produttivo.
Si deve, invece escludere questo vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale quando l’attività dell’imprenditore, oltre a perseguire finalità inerenti alla produzione agricola, risponda soprattutto ad altri scopi, commerciali o industriali, e realizzi quindi utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa (Cass., sez. un., 13 gennaio 1997, n. 265; conf., 21 gennaio 2013, n. 1344).
1.3. – In questo contesto, la motivazione della sentenza impugnata, la quale si riduce alla considerazione, espressa in maniera apodittica, relativa alla quantità, non specificata, di concimi e fertilizzanti acquistata ed alla condivisione, non argomentata, delle conclusioni della perizia esibita dal contribuente concernenti la capacità produttiva degli oltre 200.000 mq di terreno che ne erano oggetto, si rivela insufficiente.
Il giudice d’appello non ha difatti considerato gli elementi, ritualmente introdotti in giudizio dall’Agenzia, dei quali dà esaurientemente conto il ricorso, idonei ad orientare la formazione di una decisione di segno diverso, consistenti:
– nella circostanza che i dipendenti trovati a lavorare in nero in azienda hanno dichiarato di esercitare mansioni proprie di un’attività di scambio dei beni;
– nella constatazione che fosse impossibile per il contribuente coltivare da solo i fondi a propria disposizione ricavandone la quantità di raccolto venduta;
– nel dato che il contribuente non sia stato in grado d’indicare quali fossero i terreni da lui coltivati.
1.4. – In definitiva, la sentenza impugnata non dà esaurientemente conto della prevalenza, quanto ai prodotti commercializzati, di quelli provenienti dai fondi coltivati dal contribuente dei prodotti ed ha del tutto trascurato di verificare la sussistenza del nesso di strumentalità o di complementarità funzionale tra l’attività di commercializzazione di prodotti e quella agricola.
La complessiva censura va quindi accolta.
2. – In definitiva, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione.
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