CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 dicembre 2017, n. 31116
Tributi – Accertamento – Iva sulle cessioni di veicoli in sospensione d’imposta
Rilevato che
L’I.E. srl impugnò un avviso d’accertamento che rettificò, ai fini irpeg, irap e iva, per il 2002, le dichiarazioni presentate, per spese riqualificate come dì pubblicità e non di rappresentanza, per costi non documentati, (spese di regia), e per il recupero dell’iva detratta indebitamente per cessioni di veicoli in sospensione d’imposta, su dichiarazioni d’intento del cessionario; si costituì l’ufficio.
La Ctp di Modena, in parziale accoglimento del ricorso, annullò l’avviso relativamente alle riprese effettuate per spese per l’acquisto di servizi di ristorazione, ritenute di pubblicità, e per i costi fatturati da società dello stesso gruppo.
La società propose appello per insufficienza e erroneità della motivazione sulla eccezione di nullità dell’avviso impugnato e per l’infondatezza della pretesa riguardante l’iva sulle cessioni di veicoli in sospensione d’imposta, chiedendo in subordine la disapplicazione delle sanzioni.
L’Agenzia delle entrate si costituì proponendo appello incidentale in ordine alla parte della sentenza che ha riconosciuto la deducibilità delle spese riqualificate di pubblicità e non di rappresentanza.
La Ctr, in parziale riforma della sentenza appellata, accolse l’appello principale – annullando l’avviso per infondatezza della pretesa iva e rigettando l’appello incidentale, confermando nel resto la sentenza.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
Resiste la società con controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
Considerato che
Con il primo motivo, è stata denunciata l’insufficiente motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo, in quanto la Ctr, richiamando un precedente della Corte non riferibile al caso concreto, non ha esplicitato le ragioni per cui le circostanze addotte dall’ufficio a fondamento del recupero a tassazione dell’iva, sarebbero state inidonee a dimostrare la consapevolezza della società in ordine alla falsità delle dichiarazioni d’intento presentate dal contribuente.
E’ stato formulato il momento di sintesi.
Con il secondo motivo, è stata denunciata la violazione degli artt. 2967 c.c., art. 8, 1°c., lett. c, del d.p.r. n. 633/72, artt. 1 e 2 della I. n. 746/83, art. 15 della dir. CEE., avendo la Ctr ritenuto sufficiente, ai fini dell’applicazione, da parte del cedente, del regime di non imponibilità ai fini iva, di cui all’art. 8 suddetto, la circostanza che il cessionario avesse presentato una dichiarazione d’intento formalmente corretta.
E’ stato formulato il quesito di diritto: se il cedente, ai fini della legittima applicazione del regime di non imponibilità iva, sia tenuto a dimostrare non solo la regolarità formale della dichiarazione d’intento presentata dal cessionario, ma anche che, usando la diligenza propria dell’imprenditore avveduto, operante nel medesimo settore economico, non sarebbe stato possibile venire a conoscenza dell’insussistenza dei presupposti necessari per qualificare il cessionario esportatore abituale.
Con il terzo motivo, è stata denunciata insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, avendo la Ctr respinto l’appello incidentale, in ordine alla deducibilità di costi ritenuti di pubblicità, omettendo di indicare gli elementi di fatto posti a base della decisione.
E’ stato formulato il momento di sintesi.
Con il quarto motivo, è stata denunziata violazione degli artt. 112 c.p.c., 53 e 54, 2°c., del d.lgs. n. 546/92, in relazione all’art. 360,1° c., n.4, c.p.c., avendo la Ctr omesso di pronunciare, in relazione all’appello incidentale, in ordine all’illegittimità del terzo rilievo dell’avviso d’accertamento; è stato formulato il quesito di diritto.
Con il quinto motivo, è stata denunciata la violazione degli artt. 36, 2°c., n. 4, e art. 61 del d.lgs. n. 546/92, in relazione all’art. 360, n. 4, avendo la Ctr omesso di pronunciare sul capo dell’appello incidentale afferente al recupero d’imposta per le spese dei servizi di ristorazione e per i costi, attraverso un mero richiamo della sentenza di primo grado.
Con il sesto motivo, è stata dedotta l’omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo, in ordine al medesimo oggetto del quinto motivo; è stato formulato il momento di sintesi.
Il ricorso è fondato.
Preliminarmente, va rilevata l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità dei primi due motivi del ricorso.
Quanto all’eccezione concernente il primo motivo – in quanto l’Agenzia ricorrente avrebbe censurato il merito della causa – essa va disattesa poiché la ricorrente ha censurato la decisione relativa alla distribuzione dell’onere della prova.
Circa l’eccezione afferente al secondo motivo- secondo cui la ricorrente avrebbe formulato un quesito di diritto multiplo – va osservato che in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., SSUU, n. 9100/15). Nella fattispecie, l’eccezione è priva di pregio in quanto l’Agenzia ha espresso con chiarezza vari profili di doglianza in ordine alla violazione di plurime norme, sicché ne è possibile l’esame separato.
I primi due motivi, da esaminare congiuntamente poiché tra loro connessi, sono fondati; invero, il primo motivo, pur dedotto ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.pone lo stesso problema di distribuzione dell’onere della prova che viene poi esposto nel secondo motivo in iure.
Occorre richiamare la consolidata giurisprudenza della Corte secondo cui, n tema di Iva, la non imponibilità delle cessioni di beni asseritamente destinati all’esportazione, subordinata dall’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario in ordine alla destinazione del bene fuori del territorio della Comunità economica europea ed al possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla norma, viene meno qualora si accerti che i beni non sono stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione è ideologicamente falsa, nel quale caso l’obbligo del cedente di assolvere successivamente l’IVA su tali beni può essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode (Cass., n. 12751/11). Inoltre, in tema d’IVA, la non imponibilità delle cessioni all’esportazione effettuate nei confronti di esportatori abituali, prevista dall’art. 8, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 633 del 1972, non può essere subordinata alla sola formale specifica dichiarazione d’intento dell’esportatore ove questa sia ideologicamente falsa, occorrendo in tale ipotesi che il contribuente cedente dimostri l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime di non imponibilità o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere (Cass., n. 19896/16; ord. n. 176/15).
Nel caso concreto, la Ctr ha ritenuto di escludere la compartecipazione, anche colposa, del contribuente-cedente nell’illecito ascritto al cessionario, esportatore abituale, sull’erroneo rilievo che egli sarebbe obbligato ad un mero controllo formale dei documenti allegati dal cessionario; in particolare, le circostanze indicate in motivazione (la modesta composizione patrimoniale del cessionario; l’inesistente sua organizzazione imprenditoriale; le modalità di pagamento delle autovetture vendute, etc.) non sono sufficienti per legittimare la decisione impugnata (basti rilevare che non risulta nessun controllo dei documenti del veicolo).
Al riguardo – fermo il predetto consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – la difesa erariale ha anche ragione nel ritenere che la sentenza della Corte di Cassazione del 2008, n. 28948, richiamata nella sentenza impugnata, sia stata male intesa, in quanto la Corte, nel caso sottoposto al suo esame, ha evidenziato che la controparte erariale non aveva mai dedotto chiaramente che le società cessionarie avessero esibito delle dichiarazioni di intento false, limitandosi a rilevare altri elementi che non potevano certo rientrare nella conoscibilità della società cedente.
Il cedente avrebbe dunque potuto agevolmente accertare la qualità dei precedenti intestatari dei veicoli, e anteriori cedenti, cioè verificare, eventualmente mediante l’acquisizione di ulteriori dati di rapido reperimento rispetto a quelli allegati dal cessionario, se tali intestatari erano, o meno, soggetti legittimati a detrarre l’iva.
Tuttavia, tale controllo non è stato effettuato, sicché può sostenersi che il contribuente controricorrente non ha adottato le ragionevoli misure in suo potere al fine di escludere il suo coinvolgimento alla frode accertata.
Il terzo motivo è parimenti fondato.
Tale motivo, pur dedotto ai sensi del n. 5 dell ‘art. 360 c.p.c., ha la sostanza di una violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. (norma applicabile al processo tributario in forza del generale rinvio materiale alle norme del c.p.c. compatibili contenuto nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992), nel senso che denuncia, in realtà, la totale mancanza o meglio l’apparenza della motivazione.
In particolare, è applicabile al rito tributario, così come disciplinato dal citato decreto, il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. – come novellati entrambi dalla I. n. 69 del 2009, secondo il quale la mancata esposizione dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione delle ragioni giuridiche della decisione, determinano la nullità della sentenza soltanto ove rendano impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass., ord. n. 9745 del 2017).
Al riguardo, occorre richiamare l’orientamento della Corte per cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., SSUU, n. 17931/13).
Nella fattispecie, in applicazione del citato principio, va affermata la fondatezza del motivo in questione, poiché la Ctr si è limitata a rilevare che la documentazione acquisita comprovava che le spese di ristorazione e quelle di “regia”, portate in deduzione dal contribuente, fossero spese pubblicitarie e non di rappresentanza, senza indicare i documenti in esame.
Invero, la ricorrente Agenzia ha lamentato che non erano stati addotti elementi per associare e fatture utilizzate alla presentazione di nuove autovetture, ovvero a contesti o occasioni di diretta finalità promozionale delle vendite; peraltro, la Ctr ha anche erroneamente rilevato che l’Agenzia aveva omesso di fornire elementi di prova contraria, considerando che l’onere di provare i presupposti della deducibilità dei costi grava sul contribuente.
L’accoglimento dei primi tre motivi determina l’assorbimento degli altri tre.
Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Ctr, anche per le spese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, quanto al primo, secondo e terzo motivo, assorbiti il quarto, quinto e sesto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Ctr dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese.
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