CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 marzo 2017, n. 8144
Inpgi – Contributi omessi – Collaboratore fisso dell’azienda – Prova
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 6.10.2010, la Corte d’appello di Roma confermava la statuizione di primo grado che aveva revocato il decreto ingiuntivo con cui l’INPGI aveva richiesto ad A.S. s.r.l. il pagamento di contributi omessi in danno del giornalista G.S. La Corte, in particolare, riteneva che non fosse stata raggiunta la prova circa il fatto che questi fosse stato prima praticante e poi collaboratore fisso dell’azienda.
Ricorre contro questa pronuncia l’INPGI con due motivi, illustrati da memoria. L’azienda resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. in relazione all’art. 2 CCNLG, per avere la Corte di merito escluso la riconducibilità delle prestazioni lavorative rese dal giornalista al rapporto di collaborazione fissa ex art. 2 CCNLG sulla base di una non corretta individuazione dei criteri che permettono, in tale fattispecie, di riscontrare la subordinazione e attribuendo, invece, rilievo decisivo a circostanze secondarie e non decisive.
Il motivo è infondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, collaboratore fisso ex art. 2 CCNLG è colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, di cui assume la responsabilità, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento degli obiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, ciò che rende la sua prestazione organizzabile in modo strutturale dalla direzione aziendale (cfr. fra le tante Cass. nn. 833 del 2001, 4797 del 2004 e, da uIt., 11065 del 2014). E a tale parametro normativo si è attenuta la Corte territoriale nello scrutinio delle risultanze istruttorie, indipendentemente dal fatto che, per argomentare l’insussistenza di prova alcuna circa la sussistenza del vincolo di permanente disponibilità, abbia desunto indizi dalle concrete modalità con cui la prestazione si era di fatto svolta.
Con il secondo motivo, l’Istituto ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per non avere la Corte territoriale operato alcun riferimento al contenuto delle complessive risultanze della prova orale assunta nel giudizio di primo grado.
Il motivo è inammissibile, perché tendente (come esplicitamente ammesso a pag. 18, quint’ultimo rigo e seguenti, del ricorso) alla rivalutazione complessiva delle prove orali, che è cosa non possibile in sede di legittimità: anche prima della modifica apportata dall’art. 54, d.l. n. 83/2012 (conv. con I. n. 134/2012), infatti, la censura di vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. non può essere volta a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, né per suo tramite si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento.
Il ricorso, conclusivamente, va rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
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