CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2016, n. 24199
IVA – Accertamento prima di 60 giorni – Accertamenti c.d. “a tavolino” – Obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo – Atto emesso in violazione dell’adempimento – Declaratoria di nullità da parte dei giudici
Ritenuto in fatto
1. In data 29.11.2007 la società B.E. SRL riceveva, tramite servizio postale, l’avviso con il quale veniva accertata una illegittima detrazione dell’IVA sugli acquisti per l’anno di imposta 2002 e recuperato il credito IVA di €.98.326,00 indicato al rigo VL08. L’istanza di accertamento con adesione presentata in data 22.01.2008 sortiva esito negativo e la società impugnava l’avviso di accertamento in data 21.04.2008.
Sia in primo che in secondo grado la società risultava soccombente.
2. La società presenta ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi e corroborato da memoria ex art. 378 cpc, avverso la sentenza della Commissione Tributaria della Lombardia n. 117/44/09, depositata il 08.07.2009 e non notificata. L’Agenzia ha partecipato alla discussione in pubblica udienza.
Considerato in diritto
1.1. Primo motivo – Violazione e falsa applicazione degli artt. 60 del DPR n. 600/1973, 148 e 156 cpc, 3 della L. n. 890/1982 (art. 360, comma 1, n. 3, cpc). Si censura la decisione impugnata laddove ha ritenuto infondate le eccezioni proposte in merito alla dedotta inesistenza giuridica o nullità della notifica dell’avviso di accertamento, eseguita a mezzo del servizio postale, ritenendo sanati dalla tempestiva impugnazione della società gli eventuali difetti.
1.2. Il motivo è infondato. Va, infatti, ribadito il principio secondo il quale la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto di imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156, secondo comma, cpc, per effetto del raggiungimento dello scopo, il quale, postulando che alla notifica invalida sia comunque seguita la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, può desumersi anche dalla tempestiva impugnazione dell’atto ad opera di quest’ultimo (Cass. nn. 5057/2015, 8374/2015), principio al quale la Commissione si è conformata.
2.1. Secondo motivo – Violazione e falsa applicazione degli artt. 56 del DPR n. 633/1972, 7, comma 1, della L. n. 212/2000, 3 della L. n. 241/1990 e 24 della Cost. (art. 360, comma 1, n. 3, cpc) per avere ritenuto infondata l’eccezione di carenza di motivazione dell’atto impugnato.
2.2. Il motivo è inammissibile. Invero la parte, nell’introduzione del ricorso, ha riportato parte della motivazione dell’avviso di accertamento, dalla quale si evince che nell’ambito dei controlli effettuati presso la società non era stata rinvenuta alcuna documentazione contabile atta a dimostrare l’inerenza degli acquisti e, sulla scorta di tale circostanza, era stata ritenuta illegittima la detrazione dell’IVA sugli acquisti dichiarati al rigo VF21 per €.100.317,00.
Orbene, a fronte della valutazione compiuta dalla CTR, sia pure in forma sintetica, sulla idoneità della motivazione dell’avviso a consentire alla parte l’esercizio dei suoi diritti difensivi, la parte avrebbe dovuto illustrare in cosa concretamente e specificamente si sia compendiata la carenza motivazionale, trascrivendo in maniera più compiuta l’avviso di accertamento in modo da puntualizzare la censura e la rilevanza di ciò ai fini difensivi. Al contrario il motivo risulta formulato su astratte petizioni di principio, del tutto sganciate dal caso concreto.
3.1. Terzo motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 (art. 360, comma 1, n. 3, cpc) per avere la CTR erroneamente escluso la nullità dell’avviso di rettifica notificato contestualmente al pvc di riferimento, per mancato rispetto del termine di 60 giorni, in quanto il pvc era stato redatto in data 19.10.2007 e l’avviso era stato notificato il 26.11.2007, senza che venissero addotti i richiesti motivi di particolare e motivata urgenza.
3.2. Quarto motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della L. n. 212/2000 per avere escluso la CTR che la mancata instaurazione del contraddittorio con il contribuente in sede di verifica ed il mancato rispetto delle norme sulle garanzie comportasse la nullità dell’accertamento (art. 360, comma 1, n. 3, cpc).
3.3. I motivi terzo e quarto possono essere trattati congiuntamente per connessione; sono inammissibili perché presuppongono come accertato un fatto diverso da quello ricostruito dalla CTR, senza che ciò sia stato oggetto di specifica doglianza sul piano motivazionale, non colgono la ratio decidendi espressa dal secondo giudice e non soddisfano il requisito dell’autosufficienza.
3.4. Giova premettere che in tema garanzie difensive si è registrata la fondamentale decisione delle Sezioni Unite (SU n. 18184/2013, conf. sent. n. 1264/2014), che ha chiarito, come l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto a garanzia del contribuente nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività a fini fiscali, dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza di tale termine per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.
Quindi di recente la Corte, sempre a SU, ha precisato, con la sentenza n. 24823/2015, che vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini IRPEG ed IRAP, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale; mentre per i tributi “armonizzati”, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione tuttavia comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
3.6. Si deduce da questo complesso quadro giurisprudenziale che assume rilievo dirimente, in merito alla indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale ed alle sue conseguenze sull’attività accertativa del fisco, la circostanza se l’accertamento sia conseguito o meno ad un accesso presso i locali dell’impresa e la natura armonizzata o meno del tributo oggetto di accertamento.
3.7. Orbene, nel caso in esame, dalla sentenza emerge che la CTR, aderendo alla prospettazione dell’Ufficio, ha ritenuto che il pvc “che tale non sarebbe ad ogni effetto” era stato formato nell’ambito dell’Agenzia delle entrate da funzionari e costituiva “propriamente e soltanto una segnalazione” per cui il mero problema nominalistico non ne precludeva l’utilizzazione (fol. 10 della sent. imp.), e quindi, con accertamento in fatto non idoneamente censurato, ha escluso che il pvc fosse conseguito ad un accesso presso i locali dell’impresa.
3.8. Per vero, trattandosi nel caso in esame di rettifica afferente all’IVA, l’Amministrazione finanziaria era comunque gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, alla luce della giurisprudenza comunitaria – come illustrata nella cit. sent. n. 24823/2015 – tuttavia la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto solo nel caso in cui il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. Nel caso in esame le censure della ricorrente hanno un contenuto meramente formale e non affrontano in alcun modo il merito di una eventuale, ma sostanziale, strategia difensiva alla quale il contribuente non aveva potuto ricorrere proprio per l’inosservanza del principio del contraddittorio, di guisa che non sarebbero state comunque idonee a far scattare l’effetto caducatorio invocato dalla parte privata.
3.9. Va altresì rimarcato che la contribuente nell’articolare il motivo critica la condotta dell’Amministrazione con riferimento ad un pvc in data 19.10.2007 e sostiene che l’accertamento le sarebbe stato notificato prima del termine dilatorio dei sessanta giorni, ma non riproduce nei passi salienti né l’avviso di accertamento, né il pvc e non fornisce quegli elementi, a cui sarebbe stata tenuta sul piano dell’autosufficienza, necessari per consentire alla Corte di valutarne la concreta rilevanza e la decisività del motivo. La censura, invero, è svolta in maniera astratta.
3.10. Va aggiunto che la parte ha tentato inammissibilmente di sopperire alla carenza di autosufficienza con la memoria ex art. 378 cpc, trascurando di considerare che nel giudizio di legittimità non è consentito, con le memorie di cui all’art. 378 cpc, e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis cpc, specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (Cass. SU n. 11097/2006, Cass. n. 3471/2016).
4.1. Quinto motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 10, della L. n. 289/2002 (art. 360, comma 1, n. 3, cpc) per avere la CTR escluso che si fosse verificata nei confronti dell’Agenzia una preclusione ad ogni accertamento tributario nei confronti del dichiarante che aveva aderito a condono tombale.
4.2. Il motivo è infondato. Va confermato il condiviso principio secondo il quale, in tema di condono fiscale, non è inibito all’Erario l’accertamento diretto a dimostrare l’inesistenza del diritto di credito posto a base dell’istanza di rimborso, atteso che il condono elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, che restano soggetti – sia nell’ipotesi di cui all’art. 9, che in quella minore di cui all’art. 15 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in cui l’oggetto di definizione non è il tributo, ma la lite potenziale – all’eventuale contestazione da parte dell’ufficio (Cass. n. 6982/2015, 20433/2014).
5.1. In conclusione il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo e quinto, inammissibili i motivi secondo, terzo e quarto.
5.2. Le spese di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso, infondati i motivi primo e quinto, inammissibili i motivi secondo, terzo e quarto;
– Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di €.7.200,00 =, oltre spese prenotate a debito.
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