CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2016, n. 24270
Rapporto di lavoro – Licenziamento – Diritto di opzione – Pagamento delle retribuzioni maturate e non corrisposte
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 14/11/2013, la Corte di Appello di Roma, in accoglimento dell’impugnazione proposta da S. Italia s.r.l. nei confronti di C. F., revocava il provvedimento monitorio con cui alla società era stato ingiunto il pagamento della somma di euro 33.037,75. L’importo era comprensiva delle retribuzioni maturate e non corrisposte nell’intervallo di tempo intercorso tra la data in cui il lavoratore – giudizialmente reintegrato a mente dell’art. 18 della I. n. 300 del 1970 – aveva esercitato il diritto di opzione, ed il momento in cui detta indennità era stata corrisposta, nonché degli emolumenti spettanti a titolo di ferie, festività e ROL dal di del licenziamento sino al pagamento della indennità sostitutiva della reintegra.
Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Ha resistito la società con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 18 commi 4 e 5 della I. n. 300 del 1970.
Si critica la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha disconosciuto il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni maturate e non corrisposte nell’intervallo di tempo intercorso tra la data in cui era stato esercitato il diritto di opzione ed il momento in cui detta indennità era stata corrisposta.
Si sostiene che la tesi accreditata dai giudici dell’impugnazione, secondo cui l’esercizio del diritto di opzione determinerebbe una interruzione dell’obbligo di pagamento delle retribuzioni, è smentita dal principio affermato da questa Corte, secondo cui,, poiché il sistema delineato dall’art. 18 I. 300/70 si fonda sul principio della effettività dei rimedi, l’obbligo di reintegra si estingue non già al momento dell’esercizio del diritto di opzione, ma solo in seguito all’effettivo pagamento della relativa indennità.
La censura deve ritenersi ammissibile, perché risponde ai paradigmi indicati nell’art. 366 c.p.c., recando gli elementi indispensabili per una ricognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, e formulando una adeguata illustrazione delle critiche alla sentenza impugnata.
Essa si palesa, tuttavia, priva di pregio, per i motivi di seguito esposti.
Rinviene infatti applicazione il principio di diritto espresso dalle Sezioni unite di questa Corte n. 18353 del 2014, in base al quale: “Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c. d. tutela reale – quale è quello, nella specie applicabile ratione temporis, previsto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, nel testo precedente le modifiche introdotte con la L. 28 giugno 2012, n. 92 – opti per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 18 cit., comma 5, il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere preteso dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo, con la conseguenza che l’obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell’adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall’art. 429 c.p.c., comma 3, salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore”.
A tale principio di diritto – al quale la Sezione lavoro si è pienamente conformata (cfr. Cass. n. 25679 del 2014, nn. 1169, 3237, 9479 e n. 18098 del 2015, nonché nn.5573, 17099 del 2016) – il Collegio intende dare continuità.
Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 18 commi 4 e 5 della I. n. 300 del 1970 e degli artt. 2119 e 2120 c.c.
Si lamenta che la Corte territoriale abbia denegato il diritto all’indennità ferie, festività e r.o.l. (riduzione orario lavoro), maturati dal dì del licenziamento sino all’effettivo pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra ed al trattamento di fine rapporto sia sulle retribuzioni dovute in detto periodo, sia sull’indennità sostitutiva della reintegra.
Anche detto secondo motivo, pur ammissibile, deve essere respinto.
Valgono, in proposito, le considerazioni già espresse in relazione alla prima censura, con la ulteriore precisazione che, per costante giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, riguardo alla indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi con cui viene normalmente fruita la riduzione mensile dell’orario di lavoro (R.O.L.) prevista dai contratti collettivi – le quali che secondo alcune pronunce partecipano di una natura sia retributiva che risarcitoria (Cass. n.20836 del 2013, Cass. n. 19303 del 2004) – spettano unicamente nel caso in cui il lavoratore, essendo in effettivo servizio, abbia svolto la propria attività lavorativa nel corso di tutto l’anno, senza fruire del riposo annuale e dei permessi per R.O.L. (cfr., ex plurimis, Cass. n. 5092 del 2001; Cass. n. 13953 del 2000).
Siffatto presupposto non ricorre con riferimento al lavoratore licenziato, il quale nel periodo di tempo intercorrente tra il licenziamento e la reintegrazione (ovvero all’esercizio del diritto di opzione)conseguente all’annullamento-di questo, si trova in una situazione, sia pure forzata, di “riposo” dall’attività lavorativa, per cui nella ricostruzione “de iure” del rapporto nel periodo intermedio ai sensi dell’art. 18 S.L. non possono essergli riconosciute indennità legate necessariamente al mancato “riposo”, analogo ragionamento valendo del resto per il riposo domenicale o per le festività infrasettimanali (vedi sul punto Cass. 8/7/2008 n. 18707).
In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.
Le spese seguono la soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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