CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2017, n. 28542
Tributi – Accertamenti bancari – Verifica conti correnti dei soci – Presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati – Assoggettamento a ritenute d’acconto
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 12 maggio 2009 la CTR di Bari ha confermato la decisione con la quale la CTP di Bari aveva parzialmente annullato alcuni avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle Entrate nei confronti della D.S. srl, alla medesima notificati dopo che ne era stato dichiarato il fallimento, e con i quali era stato rideterminato, quanto agli anni di imposta 1998, 1999 e 2000, il reddito imponibile ai fini IRPEG, IVA e IRAP.
In particolare l’attività di verifica era stata determinata a seguito dell’avvenuta verifica delle movimentazioni dei conti correnti bancari dei soci della predetta società.
Avendo la curatela fallimentare della D.S. impugnato gli avvisi di accertamento, la CTP di Bari li aveva parzialmente annullati, riducendo i maggiori redditi accertati nonché le sanzioni irrogate.
Avverso detta sentenza ha proposto appello la Amministrazione finanziaria, deducendo, per quanto ora interessa, la illegittimità dell’abbattimento operato sui redditi come accertati in ragione del calcolo forfettario dei costi connessi alla produzione e la erroneità della esclusione della doverosità delle ritenute non versate sugli utili corrisposti ai soci quale sostituta di imposta.
Nel giudizio di fronte alla CTR rimaneva contumace la curatela fallimentare, mentre interveniva, tramite l’ultimo suo rappresentante legale, la D.S. srl.
Come detto la CTR ha rigettato la impugnazione della parte pubblica osservando che, per un verso, l’Amministrazione aveva errato nel contabilizzare quale reddito anche le movimentazioni bancarie le cui causali erano risultate estranee alla Società e che, pertanto, non erano attribuibili ad essa e, per altro verso, che, mancando la prova della distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, non vi era ragione di gravare la società della omissione dei versamenti delle relative ritenute d’acconto.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della CTR la Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dalla Avvocatura generale dello Stato, affidandolo a 3 motivi, i primi due connessi.
Con questi ultimi, infatti, la ricorrente ha censurato la sentenza della CTR sotto il profilo sia della omessa motivazione che della violazione di legge in relazione all’avvenuto abbattimento forfettario dei redditi accertati in capo alla società contribuente in relazione ai relativi costi di produzione, determinati dai giudici di primo grado nel 70% dell’imponibile accertato, nonché nella violazione di legge che avrebbe commesso il giudice di appello nel confermare comunque sul punto la sentenza di primo grado, posto che l’ordinamento non prevede, in assenza di prova contraria da parte del contribuente, la possibilità di abbattere, in base ad un criterio forfettario presuntivo, il reddito accertato sulla base dei dati rivenienti dalle movimentazioni bancarie.
Quanto alla eliminazione del recupero a tassazione delle ritenute alla fonte non versate sugli utili presuntivamente distribuiti ai soci, la Amministrazione ricorrente ha rilevato che la CTR aveva negato la operatività della presunzione relativa alla detta distribuzione, in assenza di elementi che potessero fare ritenere diversamente allocati gli utili societari non contabilizzati, pur in assenza di diverse giustificazioni da parte della contribuente in ordine alla destinazione delle somme de quibus.
Resiste con controricorso la D.S. srl in persona del suo ultimo legale rappresentante, eccependo, in primo luogo, la inammissibilità del ricorso, non essendo stato quest’ultimo notificato a detta società, sebbene questa, stante la inerzia degli organi del fallimento, avesse legittimamente partecipato al giudizio di fronte alla CTR.
Nel merito ha dedotto la inammissibilità o comunque la infondatezza delle ragioni impugnatone introdotte dalla Amministrazione tributaria.
Considerato in diritto
Il ricorso, risultato fondato per quanto di ragione, va, pertanto, accolto nei limiti di cui alla motivazione.
Deve, preliminarmente, esaminarsi la pregiudiziale eccezione formulata dalla controricorrente D.S. Srl, in persona del suo già legale rappresentante, e con la quale è dedotta la inammissibilità e/o la improcedibilità del presente ricorso per cassazione, per essere stato lo stesso proposto, e conseguentemente notificato, nei soli confronti del Fallimento della D.S. Srl, in persona del suo curatore, e non anche nei confronti della società in bonis, sebbene essa avesse partecipato al giudizio di appello avverso la sentenza emessa dalla CTP di Bari.
Il motivo non ha pregio.
Va, in punto di fatto, chiarito quanto segue: essendo stati notificati alla D.S. Srl tre distinti avvisi di accertamento a cura della Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto il recupero a tassazione di redditi non dichiarati prodotti negli anni di imposta 1998, 1999 e 2000 nonché, sul presupposto dell’occulta distribuzione ai soci degli utili non dichiarati, le omesse ritenute che, in qualità di sostituto di imposta, la predetta società avrebbe dovuto operare, ai fini Irpef, su quanto versato ai soci medesimi, era proposta opposizione avverso tali atti di fronte alla CTP di Bari da parte della curatela del fallimento, intervenuto con sentenza del Tribunale di Trani del 15 gennaio 2003, della predetta Società; essendo stata parzialmente accolta la predetta impugnazione, con sentenza della citata CTP n. 304/15/07, avverso di essa aveva interposto ricorso in sede di gravame di fronte alla CTR di Bari la Agenzia delle entrate; in tale sede la curatela del fallimento non ha svolto attività difensiva, rimanendo estranea al giudizio; si è invece costituita, intervenendo volontariamente, la D.S. srl, in persona del suo ultimo legale rappresentante, rivendicando la propria legittimazione stante la inerzia della curatela; con la sentenza del 12 maggio 2009 ora impugnata, la CTR di Bari rigettava l’appello della Amministrazione; la predetta sentenza era, a questo punto oggetto di ricorso di fronte alla corte di cassazione sempre da parte della Amministrazione finanziaria, la quale notificava il proprio ricorso alla sola curatela del fallimento D.S. srl.
Tanto premesso, osserva il Collegio che secondo la giurisprudenza di questa Corte, sebbene la dichiarazione di fallimento comporti di regola, in forza della previsione di cui all’art. 43 della legge fall., la perdita della capacità del soggetto interessato da essa di stare in giudizio nella controversie relative a rapporti patrimoniali coinvolti dalla dichiarazione di fallimento, essendo trasferita la legittimazione processuale esclusivamente al curatore del fallimento, tuttavia il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione per la tutela dei suoi diritti patrimoniali nel caso in cui l’amministrazione fallimentare rimanga inerte (Corte di cassazione, Sezione, I civile, 25 ottobre 2013, n. 24159); tale situazione non è tuttavia riscontrabile ove la inerzia della curatela sia stata determinata non dal disinteresse degli organi fallimentari ma da una negativa valutazione circa la convenienza della controversia (Corte di cassazione, Sezione VI-I civile, 6 luglio 2016, n. 13814, ord.).
Nel caso di specie, la circostanza che sia stata proprio la curatela ad attivarsi per introdurre il giudizio di fronte alla CTP è elemento dal quale ragionevolmente desumere che non vi è stato da parte degli organi fallimentari un successivo disinteresse nel non coltivare il giudizio di fronte alla CTR, dovendo piuttosto ritenersi che la mancata costituzione in giudizio è stata frutto di una valutazione discrezionale da parte della curatela, ovviamente non suscettibile di essere sindacata in questa sede ma solo di essere apprezzata come tale.
Da quanto sopra ne discende la irrilevanza della costituzione in giudizio in grado di appello da parte della D.S. srl, in proprio, in quanto soggetto privo di legitimatio ad causam che, pertanto, neppure doveva essere destinatario della notificazione del successivo ricorso per cassazione.
La eccezione preliminare svolta dalla parte contro ricorrente è, pertanto, priva di fondamento.
Passando, a questo punto, ad esaminare le ragioni svolte dalla Amministrazione ricorrente con il proprio ricorso principale, ritiene la Corte che i primi due motivi di impugnazione possano essere esaminati congiuntamente, attesa la intima connessione che li caratterizza.
Con essi, infatti, la Amministrazione ricorrente lamenta, sia denunziando un’omessa motivazione su uno specifico motivo di impugnazione sia una violazione di legge, il fatto che la CTR di Bari, nel confermare la decisione assunta in precedenza dalla CTP, avrebbe riconosciuto quali costi di produzione una percentuale forfettaria dei maggiori ricavi accertati, quantificata nella misura del 70% di questi, senza che il contribuente abbia fornito qualsivoglia prova sia in merito alla inerenza degli stessi alla attività produttiva che alla loro incidenza quantitativa sui medesimi.
Coi descritti motivi la Amministrazione ha chiesto a questa Corte un sindacato su asseriti profili motivazionali non valutabili in questa sede.
In realtà, come è agevole rilevare attraverso la lettura della motivazione della sentenza impugnata, la ratio decidendi seguita dalla CTR appare essere, invero, diversa da quella ritenuta dalla parte ricorrente; il giudice del gravame tributario, infatti, ha ritenuto di non dovere riprendere a reddito gli importi delle movimentazioni bancarie rilevati in sede di accertamento tributario, in quanto gli stessi sono riferiti ad operazioni estranee alla D.S. Srl, essendo essi risultanti dalle contabilizzazioni riferite ai rapporti bancari intrattenuti direttamente dai soci.
Trattasi, pertanto, di valutazione affatto differente da quella ritenuta in sede di impugnazione, sicché i due motivi di doglianza, per come articolati da parte della Amministrazione ricorrente, debbono essere dichiarati inammissibili in quanto riguardanti profili di censura non coordinati con il testo della sentenza impugnata.
Fondato è, viceversa, il terzo motivo di impugnazione.
Con esso, infatti, l’Amministrazione si lagna del fatto che la CTR di Bari abbia ritenuto la illegittimità della rettifica operata in relazione alle dichiarazioni modello 770 presentate dalla D.S. Srl in qualità di sostituto di imposta, aventi ad oggetto le ritenute alla fonte che la dette Società avrebbe dovuto operare, e riversare all’Erario, sui maggiori utili distribuiti al soci quale reddito di impresa.
Rilevato, infatti che la motivazione della sentenza impugnata fa riferimento alla mancata prova dell’avvenuta distribuzione ai soci di tali maggiori utili, tale fatto non potendo essere desunto dalla rilevata “ristretta base azionaria” (rectius, trattandosi di una srl, societaria) della compagine in questione, formata da tre soli soci, due dei quali – titolari, peraltro, della maggior parte delle quote – legati da uno stretto vincolo familiare, osserva il Collegio che, diversamente da quanto parrebbe essere stato ritenuto dalla CTR di Bari, nell’interpretazione normativa costantemente operata da questa Corte è radicato il principio secondo il quale in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale è ammissibile la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extrabilancio, alla cui distribuzione è plausibilmente ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano, in assenza di validi elementi deponenti in senso contrario, partecipato in misura conforme al loro apporto sociale (Corte di cassazione, Sezione V civile, 29 luglio 2016, n. 15824; idem Sezione VI-V civile, 28 novembre 2014, n. 25271, ord.; idem Sezione VI-V civile, 18 novembre 2014, n. 24572).
Poiché nel caso che interessa la CTR di Bari non ha in alcun modo tenuto conto, pur in assenza di elementi probatori in senso opposto, tali da privare di rilevanza la predetta presunzione, dell’esposto consolidato principio ermeneutico, la sentenza impugnata deve essere, sul punto annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari che, riesaminerà, alla luce delle esposte argomentazioni, la fondatezza o meno al riguardo del gravame proposto dalla Amministrazione ricorrente.
In ragione del solo parziale accoglimento del ricorso, le spese del presente grado di giudizio vanno dichiarate irripetibili nei confronti del fallimento D.S. Srl e compensate nei confronti delle D.S. srl in persona del suo già legale rappresentante.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso;
in accoglimento del terzo, cassa la sentenza impugnata limitatamente al punto relativo alla rettifica operata con riguardo al contenuto delle dichiarazioni mod. 770 presentate dalla D.S., e rinvia per nuovo esame ad altra Sezione della CTR di Bari;
dichiara irripetibili le spese del presente giudizio relativamente al fallimento D.S. Srl e le compensa fra le parti quanto alla posizione della D.S. Srl, in persona del già suo legale rappresentante.
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