CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2017, n. 28572
Tributi – IVA – Operazioni oggettivamente inesistenti – Detrazione dell’imposta – Esclusione
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 35/18/09, depositata il 04.02.2009 e non notificata, che ha confermato la prima decisione, con la quale era stato parzialmente annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società I. SRL per l’anno 2003, in merito al recupero IVA di € 20.146.006, oltre sanzioni, per una presunta operazione inesistente, contestata in merito ad una fattura emessa dalla F. S. SRL, concernente l’acconto prezzo di € 100.000.000 più IVA, relativamente ad un preliminare di vendita di cosa futura, avente ad oggetto un complesso immobiliare ancora da individuare, poi non concluso con contratto definitivo. In particolare, sulla scorta della documentazione contabile societaria, l’Ufficio aveva ritenuto che l’operazione fatturata fosse oggettivamente inesistente, non risultando eseguita alcuna effettiva operazione, né alcun movimento finanziario, e che la contribuente, nella dichiarazione rettificata avesse portato indebitamente in detrazione l’IVA relativa di € 20.000.000, mai versata dall’apparente cedente.
2. Il giudice di appello ha escluso che l’operazione potesse essere ritenuta simulata in modo assoluto e, quindi, inesistente, come sostenuto dall’Ufficio, sulla considerazione che le presunzioni formulate dall’Ufficio e la metodologia accertativa erano prive di logica e censurabili in diritto ed in fatto. Quanto alla diversa prospettazione, sempre formulata dall’Ufficio, secondo la quale l’acconto, non essendo stato concluso il contratto definitivo, a mente del contratto preliminare, avrebbe dovuto valere come caparra e, come tale, non essere assoggettabile ad IVA, il secondo giudice la ha disattesa sulla considerazione che la cedente non aveva emesso la nota di variazione, di guisa che, non essendo venuta meno l’operazione, non era venuto meno il diritto del cessionario a portare in detrazione l’imposta. Ha sostenuto, inoltre, richiamando il principio di neutralità dell’IVA, che in caso di operazione inesistente il cessionario non perde il diritto alla detrazione poiché, ai sensi dell’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972, l’obbligo di corrispondere l’imposta nell’intero ammontare indicato sulla fattura grava sul cedente che la ha emessa.
3. Resiste con controricorso la società contribuente.
Ragioni della decisione
1.1. Il primo motivo, sotto specie di violazione di legge, è articolato in tre sub-motivi.
1.2. Primo sub-motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art.17 della VI direttiva del Consiglio in materia di IVA n. 77/388/CEE.
La ricorrente chiede di sapere se sia viziata la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il diritto a detrazione non può essere negato e non considera invece che lo stesso dovrebbe essere disconosciuto in presenza di finalità fraudolente o abusive.
1.3. Secondo sub-motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art.19, del d.P.R. n.633/1972, in relazione all’art. 20 della VI direttiva del Consiglio in materia di IVA n. 77/388/CEE. Secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, il diritto alla detrazione avrebbe dovuto essere disconosciuto, una volta che il compromesso stipulato tra le parti si era estinto per inadempimento della I. SRL, e l’acconto – come contrattualmente previsto – avrebbe dovuto assolvere la funzione di caparra confirmatoria, ciò anche se il cessionario non aveva provveduto a rettificare la propria
dichiarazione e ad annullare la detrazione eseguita ed il cedente non aveva emesso una nota di variazione.
1.4. Terzo sub-motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art.19, del d.P.R. n.633/1972, in relazione agli art. 17 e 19 della VI direttiva del Consiglio in materia di IVA n.77/388/CEE ed al principio comunitario dal divieto di abuso del diritto.
Secondo la ricorrente la CTR ha errato nell’escludere la perdita del diritto a detrazione da parte del cessionario quando l’operazione viene ad essere inesistente, giacché l’applicazione delle disposizioni comunitarie sul divieto di abuso del diritto esclude la configurabilità della detrazione in presenza di azioni simulate poste in essere solo allo scopo di realizzare un indebito vantaggio fiscale.
2.1. Secondo motivo – Insufficiente ed illogica motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio (art.360, comma 1, n.5, cod. proc. civ.).
La ricorrente sostiene che la CTR, svalutando la questione della inesistenza dell’operazione – sulla quale l’Ufficio aveva invece fondato il rilievo – ha ritenuto legittima la detrazione sulla scorta dell’evidenza contabile costituita dalla registrazione della fattura da parte dell’emittente ai sensi dell’art. 21, comma 7, del d.P.R. n.633/1972 e, pur avendo affermato che spettava all’Ufficio provare la inesistenza dell’operazione, non ha esaminato i molteplici elementi dedotti in proposito, ma, di contro, si è limitata ad affermare che la contribuente aveva dimostrato mediante documentazione la natura reale dell’operazione, senza tuttavia illustrare sulla base di quali specifici elementi fosse pervenuta a tale conclusione. Deduce, altresì, la insufficienza e la illogicità delle considerazioni relative alla omessa emissione della nota di variazione, che avrebbe impedito alla contribuente di annullare gli effetti della fattura in acconto e di compensare l’IVA ivi computata con un corrispondente importo a debito.
2.2. La disamina del secondo motivo, concernente l’accertamento dei fatti, va compiuta in via preliminare e la fondatezza della doglianza, per le ragioni di seguito esposte, comporta l’assorbimento delle questioni di introdotte dal primo motivo.
2.3. Come questa Corte ha già ampiamente chiarito in tema di operazioni inesistenti (ex multis, Cass. sez. 5A, nn. 13253/15, 16936/15) diverso è il regime probatorio che contraddistingue le operazioni oggettivamente inesistenti (come nel caso in esame) da quelle soggettivamente inesistenti: a) nelle prime, ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12, 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestare; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 5406/16, 28683/15, 428/15, 12802/11, 15228/01); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale avrebbe versato il prezzo o corrispettivo; b) solo nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti (che non ricorrono nella fattispecie in esame) sorge invece l’esigenza della tutela della buona fede del contribuente, in quanto, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, il diritto alla detrazione può essere negato solo quando il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapete con l’uso dell’ordinaria diligenza (disponendo di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto) che con l’emissione della relativa fattura il soggetto formalmente cedente aveva evaso l’imposta o partecipato ad una frode; una volta che l’Amministrazione abbia assolto a tale onere probatorio, spetta al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (v. Cass. nn. 24426/13, 23560/12).
2.4. Quanto all’IVA, la ratio della sua indetraibilità in caso di operazioni inesistenti risiede nella considerazione che il diritto del cessionario/committente alla detrazione dell’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal cedente/prestatore è soggetto – quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa – ad una duplice condizione: 1) che l’acquirente del bene rivesta la qualità di imprenditore; 2) che sia ravvisabile l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, ovverosia la strumentalità del bene stesso a tale attività, l’onere della cui prova grava sull’interessato (Cass. nn. 3518/06, 16730/07, 2362/13, 27718/13); ebbene, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’IVA non può in alcun modo essere ritenuto – anche sul piano probatorio – sulla base del solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, come detto, l’inerenza dell’operazione all’impresa, che è certamente mancante in relazione al pagamento dell’IVA corrisposta per operazioni (anche parzialmente) inesistenti, in quanto di per sé inidoneo a configurare un pagamento a titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, ed anzi potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (Cass. nn. 735/10, 6973/15, 18118/2016).
2.5. La CTR non si è attenuta a questi principi nell’esaminare la fattispecie e la decisione impugnata risulta errata, perché meramente assertiva ed inidonea a far comprendere il percorso logico giuridico seguito e sulla scorta di quali elementi di fatto, tra i molteplici indicati dall’Amministrazione (l’inverosimiglianza della stipula di un compromesso di cosa futura per un importo ingentissimo con una società esercente altra attività e priva di un congro patrimonio immobiliare da cedere; la genericità delle clausole contrattuali; la mancanza di prove circa una movimentazione finanziaria; la coincidenza della compagine sociale e della sede delle due società; la cessione del credito e l’accollo del debito intervenuto tra le società ed i soci; etc.) e quelli offerti dalla contribuente, si sia formato il suo convincimento.
3.1. In conclusione, il ricorso va accolto sul secondo motivo, assorbito il primo, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Campania in diversa composizione per il riesame e la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– Accoglie il ricorso sul secondo motivo, assorbito il primo;
– Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania in diversa composizione per il riesame e la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
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