CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2017, n. 28573
Tributi – Redditi di capitali – Dividendi – Soggetti residenti in altri stati Ue – Credito d’imposta – Rimborso – Diniego – Illegittimità – Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Regno Unito – Applicazione
Esposizione dei fatti di causa
1. La controversia concerne il diritto al rimborso dei crediti d’imposta sui dividendi percepiti negli anni dal 1992 al 2003 vantati dalle società L. e G.A. (P.M.) L. e L. e G.A.S.L. rispetto alle quali erano stati emessi provvedimenti di diniego del rimborso in data 15 dicembre 2008 da parte della Agenzia delle Entrate, centro operativo di Pescara, sul rilievo che non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’articolo 10, comma 4, della convenzione contro le doppie imposizioni sottoscritta tra l’Italia e il Regno Unito, resa esecutiva in Italia con legge numero 329 del 5 novembre 1990. Il diniego era motivato dal fatto che le società rivestivano la forma di fondi pensione e non potevano, perciò, beneficiare della convenzione predetta.
Conseguentemente non spettava il rimborso dei crediti d’imposta sui dividendi in quanto, all’epoca, i fondi pensione non erano soggetti ad alcuna imposta nel Regno Unito. La commissione tributaria provinciale di Pescara accoglieva i ricorsi delle società osservando che il provvedimento di diniego non era stato adottato nei termini previsti per gli accertamenti in materia di imposte dirette di cui all’articolo 43 del d.p.r. 600/73. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, lo rigettava sul rilevo che, sulla base della dichiarazione rilasciata dall’autorità fiscale della Gran Bretagna, la titolarità del reddito non era in capo al fondo pensioni, come sostenuto dall’agenzia delle entrate, bensì in capo alle società assicurative inglesi di cui il fondo costituiva un patrimonio di destinazione privo di soggettività giuridica. Osservava, poi, la CTR che la Corte di Giustizia UE, con sentenza resa il 19 novembre 2009 nella causa C-540107, aveva stabilito che lo Stato italiano, avendo assoggettato i dividendi distribuiti da società stabilite in altri Stati membri ad un regime fiscale meno favorevole di quello applicato sui dividendi distribuiti alle società residenti, era venuto meno agli obblighi previsti dall’articolo 56 del trattato UE e tale differenza di trattamento non poteva ritenersi superata dal fatto che le convenzioni contro le doppie imposizioni prevedevano la possibilità di detrarre l’imposta trattenuta alla fonte in Italia da quella dovuta nell’altro Stato membro.
2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato a 5 motivi. Si è costituita in giudizio con controricorso la società L. e G.A. (P.M.) L., la quale ha proposto ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo illustrato con memoria.
3. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 112 cod. proc. civ. ed all’articolo 18, comma 2, lettera e, del decreto legislativo 546/92.
Sostiene che la CTR è incorsa nel vizio di extra petizione, posto che la questione della discriminazione tra soggetti residenti e non esulava dal thema decidendum della controversia, incentrato sull’interpretazione della normativa convenzionale tra Italia e Regno unito sulle doppie imposizioni.
4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 27, comma 3 ter, del d.p.r. numero 600/73 ed all’articolo 1, comma 68, della legge 244/2007.
Sostiene che la CTR ha fatto erroneo ed inconferente richiamo della normativa sulla riduzione della ritenuta sui dividendi percepiti dalle società non residenti relativamente a partecipazioni in enti stabiliti nel territorio dello Stato italiano, posto che oggetto della controversia era il rimborso di un credito d’imposta a favore delle società non residenti in misura pari a quello concesso ai residenti al fine di evitare che il reddito già tassato in capo alla società distributrice dei dividendi fosse tassato una seconda volta a carico della società beneficiaria.
5. Con il terzo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 101, comma 2, della Costituzione. Sostiene che il richiamo ai principi comunitari in materia di non discriminazione e di libera circolazione dei capitali effettuato dalla CTR è inconferente poiché si tratta di principi non immediatamente applicabili e che richiedono adeguate norme di recepimento.
6. Con il quarto motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 56 del trattato UE e motivazione insufficiente ed illogica su fatti controversi decisivi della causa, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Sostiene che la CTR ha fatto un riferimento indebito ed irrilevante ai principi comunitari in tema di non discriminazione e di libera circolazione dei capitali poiché la problematica dell’assoggettamento a ritenuta di imposta sui dividendi non è riconducibile a quello della spettanza di un credito d’imposta a un fondo pensione gestito dalla società assicuratrice di diritto britannico attraverso il proprio patrimonio separato.
7. Con il quinto motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 10 della convenzione stipulata tra Italia e Regno Unito contro le doppie imposizioni, resa esecutiva con legge numero 329 del 1990. Sostiene che la CTR non ha tenuto conto che mancavano i requisiti per il diritto al rimborso previsto dalla norma convenzionale, ossia quello soggettivo, consistente nell’essere la richiedente un soggetto contemplato dalla convenzione italo britannica contro le doppie imposizioni, e quello oggettivo, consistente nell’aver subito una doppia imposizione sui dividendi percepiti. In particolare sostiene che, al fine di una corretta applicazione della convenzione, il contribuente deve dimostrare di aver subito una doppia imposizione sul cespite per il quale intende far valere il credito d’imposta e la società istante deve dimostrare con documentazione attendibile di aver incluso nella base imponibile dell’imposta inglese sulle società l’ammontare lordo dei dividendi per i quali chiede il rimborso del credito d’imposta nonché di aver subito su di essi un’effettiva imposizione. E la circostanza che il fondo pensione non costituisse un soggetto autonomo di diritto ma un semplice patrimonio di destinazione interno, separato ed autonomo, della società ricorrente, non escludeva che ad esso si rendesse comunque applicabile la disciplina dei fondi pensioni inglesi ispirata al regime di esenzione. Sostiene, poi, che dal 6 aprile 1999 il sistema tributario sulle doppie imposizioni è stato modificato nel Regno Unito nel senso che il credito d’imposta non spetta più ai soci residenti in Italia che ricevono i dividendi nel Regno Unito in quanto tale credito di imposta non spetta più neppure ai soci colà residenti. E’ venuto meno, dunque, il requisito della reciprocità che giustificava il diniego del credito d’imposta sui dividendi riscossi in Italia ai sensi dell’articolo 10.
Comma 4, della convenzione tra Italia e Regno Unito contro le doppie imposizioni.
8. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, la società costituita deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 2946 cod. civ. ed all’articolo 43 del d.p.r. 602/73.
Sostiene che ha errato la CTR nell’affermare che, in assenza di alcuna assimilazione del provvedimento di diniego dell’istanza di rimborso ad un avviso di accertamento, i termini per l’esercizio dell’azione non potevano che essere decennali. Invero doveva applicarsi anche alla richiesta di restituzione degli importi erogati alle società controricorrenti il termine di cui al combinato disposto degli artt. 43 del d.p.r. 600/73 e 43 del d.p.r. 602/73.
Esposizione delle ragioni della decisione
1. Preliminarmente osserva la Corte che l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza è infondata, posto che la questione di diritto fatta oggetto dei motivi di ricorso e la esposizione dei fatti di causa è esaustiva.
2. I primi quattro motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica. Essi sono infondati. In ossequio al principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa, legittimamente la CTR ha ritenuto che la decisione resa il 19 novembre 2009 nella causa C-540107 dalla Corte di Giustizia UE fosse applicabile nel caso di specie benché la questione non fosse stata dedotta dalle parti. Si trattava, invero, di qualificazione giuridica della fattispecie sulla base di sentenza che consentiva di addivenire alla decisione della causa in senso favorevole alla contribuente in quanto la Corte di Giustizia UE aveva statuito che la Repubblica Italiana aveva violato l’art. 56 del Trattato e l’art. 40 dell’Accordo SEE in materia di libera circolazione dei capitali tra gli stati membri e fra quelli aderenti all’Accordo SEE avendo mantenuto in vigore un regime fiscale più oneroso per i dividendi distribuiti a società residenti negli altri stati membri e negli stati aderenti all’Accordo SEE rispetto a quello applicato ai dividendi distribuiti a società residenti. Ciò in quanto la legislazione italiana esentava dalla imposizione fino al 95% i dividendi distribuiti a società residenti mentre i dividendi distribuiti a società stabilite in altri stati membri erano assoggettati a ritenuta alla fonte nella misura del 27%. In forza di tale sentenza, dunque, lo Stato italiano non aveva titolo per assoggettare ad imposta i dividendi percepiti in Gran Bretagna poiché l’imposizione tributaria era avvenuta sulla base di una norma illegittima. Ne conseguiva che l’istanza di rimborso presentata dalla contribuente avrebbe dovuto essere accolta per tale ragione.
3. Il quinto motivo di ricorso principale ed il motivo di ricorso incidentale rimangono assorbiti.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’agenzia delle entrate a rifondere alla contribuente le spese processuali che liquida in euro 22.000,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge.
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