CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 gennaio 2018, n. 2244
Tributi – Irap – Attività di trasporto pubblico locale – Riduzione base imponibile – Deduzioni – art. 1, co. 266, L. n. 296/2006 – Condizioni
Svolgimento del processo
Con ricorso tempestivamente notificato l’Agenzia delle Entrate, sulla base di sette motivi, impugnava la sentenza n. 475/09/15, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia il 17.12.2015.
Riferiva che la Autoservizi FVG s.p.a. – SAF, società di autotrasporti esercente l’attività di trasporto pubblico locale nelle province di Udine e di Belluno, aveva chiesto il rimborso della somma di € 267.122,00, versata a titolo di Irap relativamente all’anno d’imposta 2009, assumendo di avere diritto alla riduzione della base imponibile dichiarata in applicazione delle deduzioni introdotte dall’art. 1, co. 266, I. 296/2006 (cd. riduzione del cuneo fiscale prevista dalla Legge Finanziaria 2007), che aveva modificato l’art. 11, co. 1, lett. a), n. 2, del d.lgs. n. 446 del 1997. Al silenzio-rifiuto opposto dalla Amministrazione finanziaria, che riteneva la società operante in regime di concessione e a tariffa, e dunque compresa nelle categorie escluse dal beneficio, era seguito il contenzioso promosso dalla contribuente. La Commissione tributaria provinciale di Udine, con sentenza n. 128/1/2014, rigettava la domanda di rimborso, mentre la Commissione tributaria regionale del Friuli, con la sentenza ora impugnata, in totale riforma delle statuizioni del giudice di primo grado accoglieva l’istanza di rimborso.
La ricorrente censura la sentenza lamentando:
con il primo motivo la nullità della sentenza per inosservanza degli artt. 112, 115 c.p.c., 7 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., perché la pronuncia esclude che il servizio di trasporto pubblico prestato dalla società sia inquadrabile nello schema della concessione, collocandolo invece nell’appalto, in contrasto con il sistema di remunerazione descritto dalla medesima contribuente;
con il secondo motivo la nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per motivazione carente o apparente;
con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1655 c.c., 2697, 2727, 2729 c.c., 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. perché era onere della contribuente dimostrare di non operare in concessione, e perché, emergendo una duplice voce remunerativa, doveva escludersi la natura di appalto, collocandosi correttamente nella concessione;
con il quarto motivo la nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., perché incomprensibile la motivazione nella parte in cui tratteggia le caratteristiche del contratto che ne impedirebbero la sussunzione nell’alveo delle concessioni;
con il quinto motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c., nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per le medesime ragioni della precedente censura;
con il sesto motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 2727, 2729 c.c., 115 c.p.c., 1655 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., perché anche l’insieme degli elementi rilevati dal giudice di merito non sarebbe sufficiente ad escludere la presenza della concessione e a ritenere presente il contratto d’appalto nel rapporto de quo;
con il settimo motivo la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di concessione, dell’art. 11, d.lgs. n. 446/1997, degli artt. 18 e 19 del d.lgs. n. 422/1997, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per aver erroneamente escluso il giudice d’appello la presenza di una concessione traslativa di pubblico servizio, ostativa al conseguimento dei benefici fiscali introdotti per l’abbattimento del cuneo fiscale.
Chiedeva dunque l’accoglimento del ricorso.
Si costituiva la società, che contestava puntualmente con controricorso le avverse prospettazioni; con ricorso incidentale impugnava a sua volta la sentenza della commissione tributaria regionale, censurando, con unico motivo, l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per non essersi pronunciata la sentenza sulla inesistenza di una tariffa remuneratoria.
Alla pubblica udienza dell’8.11.2017, sentito il P.G., che chiedeva il rigetto del ricorso principale con assorbimento di quello incidentale, e le parti, la causa era decisa.
Motivi della decisione
Con i numerosi motivi l’Agenzia esamina da più angolazioni la medesima questione, ossia l’inadeguatezza della ricostruzione relativa al rapporto sinallagmatico tra gli enti pubblici territoriali e la società di autoservizi, offerta dal giudice tributario regionale, il quale ha negato la collocazione del servizio di trasporto pubblico locale nel rapporto concessorio con tariffa remuneratoria, escluso dai benefici introdotti dalla I. n. 266 del 2006 in tema di cuneo fiscale, inquadrandolo invece nell’appalto pubblico;
la sentenza della C.T.R. friulana, dopo aver illustrato l’oggetto della controversia e le rispettive posizioni, osserva che <<…si è in presenza di una concessione quando l’operatore assume i rischi connessi alla realizzazione e gestione del servizio, traendo la propria remunerazione direttamente dall’utilizzatore. In sintesi le concessioni sono caratterizzate dal trasferimento di una responsabilità di gestione. Su questo aspetto specifico, oltre a confermare i principi comunitari evocati dall’appellante, va precisato che la modalità di remunerazione è il tratto distintivo: nella concessione l’operatore si assume i rischi rifacendosi sull’utenza tramite la riscossione di un canone o tariffa; nell’appalto l’onere del servizio grava sull’amministrazione>>. Dopo questa premessa, mostrando di volere in concreto esaminare i rapporti vigenti tra l’ente territoriale conferente e la società di esercizio del trasporto pubblico, la sentenza prosegue nell’affermare che <<i contratti prodotti dalla società appellante, escludevano un regime concessorio mentre palesavano l’esistenza di un appalto pubblico, in quanto regolamentavano un corrispettivo annuo per l’erogazione del servizio di trasporto. Inoltre, mancava un atto unilaterale (tipico invece delle concessioni), nell’impegno di esclusiva garantito alla società, nella previsione di penali, premi e cause di decadenza o revoca e infine, nel rinvio alla normativa del codice civile e alla legislazione in materia di trasporta>.
Dunque il giudice tributario, con esame sia pur sintetico, fa una valutazione concreta, in fatto, del rapporto giuridico in essere tra le parti, giungendo a conclusioni opposte rispetto a quanto sostenuto dalla Amministrazione finanziaria e aderenti invece a quanto assertito dalla contribuente.
Questi i passaggi salienti della pronuncia impugnata, è allora innanzitutto infondato il primo motivo di ricorso. L’Amministrazione lamenta che il giudice di merito avrebbe escluso l’esecuzione del servizio di trasporto in concessione sull’assunto che i contratti esaminati prevedevano solo un corrispettivo annuo a carico dell’ente conferente, inconciliabile con il rapporto concessorio, mentre la contribuente stessa aveva riferito che il corrispettivo della società di trasporto era composto in parte da una tariffa a carico dell’utenza e in parte da un contributo a carico dell’ente territoriale. Per questo denuncia un error in procedendo. Ebbene, premesso che l’error in procedendo può essere invocato in ipotesi di omessa pronuncia su un motivo di appello (tra le tante, Cass., Sez. 3, sent. n. 26155/2014), laddove nel caso di specie emerge che il motivo è stato trattato (la natura giuridica del rapporto instaurato tra ente e società) sebbene, a dire della ricorrente, con analisi incompleta o contraddittoria dei fatti e degli elementi emergenti dagli atti di causa (al più sussumibile, quando ancora vigente la vecchia formulazione dell’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c. nella contraddittoria o insufficiente motivazione), nel caso che ci occupa le conclusioni cui perviene il giudice di merito non sono solo ancorate alla fonte del corrispettivo percepito dalla società di autotrasporti (tariffa, o contribuzione, o entrambi), ma all’insieme degli elementi che, sia pur sinteticamente, sono indicati tra i righi 10 e 15 di pag. 3 della sentenza impugnata. Si aggiunga, per mera completezza, che in nessuna parte della sentenza si afferma che il corrispettivo consistesse “solo” nel contributo versato dall’ente, apprezzandosi invece la previsione e regolamentazione di un corrispettivo (evidentemente da parte dell’ente), il che ontologicamente non esclude l’esistenza di una plurima composizione del medesimo.
Infondato è anche il secondo motivo, con il quale si denuncia l’error in procedendo per l’apparenza o l’apoditticità della motivazione. Anche questa censura non trova accoglimento. Come già rilevato, la sentenza perviene alla esclusione del rapporto concessolo esaminando la documentazione in atti e ritenendo che da essa emerga un rapporto giuridico tra ente conferente e società esercente il servizio pubblico di autotrasporto inquadrabile nell’appalto. Trattasi dunque con evidenza di un giudizio di fatto. Rispetto ad esso tutte le critiche mosse dalla Amministrazione pretendono, inammissibilmente, di censurare la motivazione denunciandone una inesistenza, che è inequivocamente contraddetta proprio dalle plurime critiche al suo contenuto, dal che si desume, sotto il profilo logico, che essa è esistente ancorché non coincidente, nell’argomentare, con la ricostruzione dei rapporti e con le conclusioni che l’Amministrazione vorrebbe.
Tenendo conto delle censure in concreto rivolte alla sentenza, deve pertanto affermarsi che il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni: perché è erroneamente invocata la violazione dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., laddove, per quanto già prima chiarito, non di omissione di pronuncia si tratta, ma di una ricostruzione dei fatti, resa dal giudice tributario, criticata nel merito dalla ricorrente Amministrazione; perché è insindacabile in sede di legittimità l’apprezzamento di merito operato dal giudice sulla base dei fatti e degli atti disponibili; perché, se anche la censura fosse stata ricondotta nell’alveo del n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., essa avrebbe superato il perimetro dei vizi di motivazione contestabili a seguito della riforma introdotta dall’art. 54 del d.l. n. 82 del 2012, convertito con modificazioni dalla I. n. 134 del 2012, ormai limitata all’omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.
Inammissibili infine sono tutti gli altri motivi di ricorso, che sotto più profili, anche ridondanti, invocano la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme (terzo, quinto, sesto e settimo motivo) o errores in procedendo (quarto motivo), poiché si tenta di introdurre, mediante l’invocazione di diritto o errori processuali, una critica sulla ricostruzione dei fatti resa dalla Commissione tributaria regionale, insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti appena chiariti e comunque denunciando la violazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.
In conclusione l’intero ricorso della Amministrazione è infondato e va rigettato.
Le conclusioni appena enunciate assorbono l’unico motivo formulato dalla contribuente nel ricorso incidentale, proposto infatti in via subordinata ove non rigettato il ricorso principale.
All’esito della controversia la ricorrente va condannata alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla contribuente, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore della Autoservizi F.V.G. s.p.a – SAF delle spese di causa, che si liquidano in € 4.200,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, nonché accessori come per legge.
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