CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 maggio 2017, n. 13601
Licenziamento disciplinare – Assenza ingiustificata dal lavoro – Rifiuto di prestare l’attività lavorativa presso altra sede – Ragioni organizzative del trasferimento
Fatti del processo
Con ricorso al Tribunale di Firenze in data 1.8.2011 E.B., dipendente di C.S. spa addetto alla sede di Empoli e trasferito alla sede di Firenze, impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli in data 14.3.2011 per assenza ingiustificata dal lavoro. Chiedeva accertarsi la illegittimità del trasferimento e la conseguente legittimità del rifiuto di prestare la attività lavorativa a Firenze.
Il giudice del lavoro, con sentenza del 27.7.2012, dichiarava la illegittimità del licenziamento.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza in data 1-8.7.2014 (nr. 585/2014), accoglieva l’appello di C.S. spa, rigettando la domanda originaria.
La Corte territoriale osservava che il lavoratore aveva giustificato la mancata assunzione del servizio presso la sede di destinazione opponendo una eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ., deducendo la nullità del trasferimento.
Il trasferimento disposto era valido.
Nella fattispecie di causa le ragioni del trasferimento erano state previamente comunicate al lavoratore, essendovi prova documentale di tre incontri preliminari in cui si era trattato del trasferimento sicchè non veniva in questione l’onere di cui all’articolo 2 L. 604/1966, pur a volerne ipotizzare la applicazione analogica alla fattispecie del trasferimento.
Quanto alle ragioni organizzative, il datore di lavoro aveva allegato la soppressione del posto di lavoro precedentemente occupato dal B. mentre questi, pacifica la operazione organizzativa, aveva addotto una strumentalità del riassetto, diretto al solo scopo di giustificare il suo trasferimento. Di tale preordinazione non vi era tuttavia prova né era significativo il concomitante trasferimento di altra lavoratrice dalla sede di Firenze ad altra destinazione, poiché nulla si diceva circa la identità tra i compiti svolti da quest’ultima e quelli poi assegnati al B.
La legittimità del trasferimento determinava la legittimità (in sentenza, per errore materiale: illegittimità ndr) del successivo licenziamento.
In ogni caso le conseguenze non mutavano a voler ritenere illegittimo il trasferimento.
Gli inadempimenti corrispettivi dovevano valutarsi secondo un criterio di proporzionalità; nella fattispecie concreta a fronte di un trasferimento comportante un pregiudizio di minima entità, stante la modestissima distanza della sede di nuova destinazione da quella originaria, la reazione del lavoratore appariva sproporzionata.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza E.B., articolando quattro motivi.
Ha resistito con controricorso C.S. spa.
Le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto — ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. — violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. e dell’art. 2 L. 604/1966.
Ha esposto che la società C.S. gli aveva comunicato il trasferimento in data 9.12.2010 e che, richiesta tempestivamente (nei successivi 15 giorni) di fornire la motivazione, non aveva dato risposta scritta nel successivo termine di sette giorni.
Il trasferimento avrebbe dovuto essere dichiarato nullo, in applicazione analogica dell’art. 2 co. 2 L. 604/1966; la Corte di merito aveva ritenuto rilevante la ragionevole presunzione della comunicazione dei motivi del trasferimento nei colloqui preliminari tra le parti, dei cui contenuti non vi era invece prova.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito, nell’esercizio del suo potere discrezionale di accertamento del fatto, ha ritenuto provata per presunzioni la avvenuta comunicazione al lavoratore, in forma orale, delle ragioni del trasferimento anteriormente alla sua adozione.
Tale accertamento non è censurabile in questa sede se non nei termini del vizio di motivazione ovvero dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (secondo il vigente testo dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ, applicabile ratione temporis) laddove la censura non indica un fatto, oggetto di discussione e decisivo, non esaminato dal giudice del merito.
In punto di violazione delle norme di diritto la Corte di merito ha invece correttamente affermato che la esigenza di portare il lavoratore a conoscenza dei motivi del trasferimento, che sta a fondamento della applicazione analogica dell’art. 2 L. 604/1966, neppure sussiste quando tali motivi gli siano stati comunicati dai datore di lavoro ancor prima di disporre il trasferimento ed in vista della sua adozione, come lo stesso collegio ha accertato essere avvenuto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 nr 3 e nr. 5 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ., per insussistenza delle ragioni organizzative nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
Ha precisato che il suo trasferimento aveva fatto seguito all’allontanamento dalla stessa sede di destinazione di un’altra dipendente, signora A.R.; la società non aveva dunque assolto all’onere di provare le cause oggettive della vacanza del posto sul quale era stato trasferito.
La Corte d’appello aveva omesso di valutare tale fatto decisivo limitandosi ad affermare che non risultava la identità dei compiti assegnati ai due dipendenti. Detta identità dei compiti risultava dalla successione dei fatti, dalla caratteristica del settore cui egli era stato destinato, dal provvedimento dell’11.2.2011 di CONSEA (doc. 17 del fascicolo del primo grado) oltre che dalla mancanza di contestazione del datore di lavoro sul punto.
Non vi era dunque necessità della prova che, comunque, sarebbe stata a carico del datore di lavoro.
Altro fatto non esaminato e decisivo era costituito dallo svolgimento fino alla data del trasferimento delle mansioni di «fidelizzatore» della clientela (ricerca di nuovi clienti e ri-tesseramento a Confesercenti di quelli esistenti) mentre all’esito del trasferimento egli avrebbe dovuto svolgere le diverse mansioni di consulenza alle aziende associate a Confesercenti sulla gestione del personale («addetto Gestione Risorse Umane con compiti di consulenza e gestione della amministrazione del personale»). La insussistenza delle ragioni organizzative era comprovata dal fatto che il posto assegnatogli presso la nuova sede era rimasto scoperto.
Il motivo è infondato.
Sotto il profilo del vizio di motivazione il fatto della concomitanza di due trasferimenti presso la sede di Firenze, uno in partenza e l’altro (quello oggetto di causa) in arrivo, è stato esaminato in sentenza e ritenuto non decisivo rispetto al dato della soppressione del posto di lavoro occupato dal B. nella sede di provenienza e della riorganizzazione aziendale.
La statuizione di «non decisività» del concomitante trasferimento di un’altra unità di personale non è sindacabile in questa sede, in quanto costituente esercizio del potere discrezionale di accertamento del fatto riservato al giudice del merito.
La censura di omesso esame della diversità delle mansioni assegnate nella sede di nuova destinazione rispetto a quelle svolte nella sede di provenienza è più completamente illustrata nel terzo motivo, al cui esame si rinvia.
Sotto il profilo della denunziata violazione dell’art. 2103 cod.civ. il motivo è inammissibile.
Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa mentre la allegazione – come prospettata nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunziato — ai sensi dell’art. 360 nr. 3 e nr. 5 cod.proc.civ. — violazione ed errata applicazione dell’art. 2103 cod.civ. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Ha dedotto che il trasferimento era collegato alla assegnazione di nuove mansioni, che ne integrava la ragione organizzativa; le future mansioni erano eterogenee rispetto alla professionalità acquisita, di tipo commerciale, che sarebbe andata dispersa.
Il motivo, nella parte in cui denunzia un vizio di motivazione per omesso esame di un fatto decisivo, è inammissibile.
Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.
Nella fattispecie il ricorrente non adempie all’onere di indicare in quali atti processuali («il come») ed in quale grado («il quando») il fatto della diversa professionalità sottesa alle nuove mansioni assegnate, non esaminato in sentenza, era stato portato alla attenzione del giudice del merito al fine di contestare le ragioni organizzative né a quello di indicare i contenuti rilevanti degli stessi atti processuali, depositandoli, poi, ai sensi dell’articolo 369 nr. 4 cod.proc.civ.
Né sono indicate le ragioni di decisività del fatto non esaminato rispetto al rilievo, contenuto in sentenza, della soppressione del precedente posto di lavoro.
In punto di violazione dell’articolo 2103 cod. civ. si rimanda a quanto sopra osservato in riferimento al secondo motivo , con considerazioni esattamente riferibili anche alla presente censura.
4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto ai sensi dell’art. 360 nr. 3 e nr. 5 cod. proc. civ. — violazione ed errata applicazione degli artt. 1460 e 2103 cod.civ. nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio .
La censura afferisce alla statuizione di non-invocabilità della eccezione di inadempimento, per difetto di proporzionalità.
Il ricorrente ha lamentato la omessa considerazione della assenza delle ragioni tecniche organizzative ed economiche del trasferimento, della mancanza della relativa comunicazione scritta, della dequalificazione professionale, nonché:
– della perdita economica delle provvigioni e dei benefit percepiti nell’esercizio delle precedenti mansioni, di importo elevato;
– dell’offerta della prestazione lavorativa presso la sede di provenienza.
La censura resta assorbita dal rigetto dei precedenti motivi.
Essa investe una ratio decidendi subordinata a quella principale, in quanto condizionata ad una ipotetica illegittimità del trasferimento.
La definitività della statuizione di legittimità del trasferimento esime dunque dall’esame del motivo, inidoneo a determinare la cassazione della sentenza.
Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma i quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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