CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 novembre 2016, n. 24413
Avviso di accertamento – Studi di settore – Scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi determinati
Ritenuto in fatto
1.1. Con sentenza in data 26.5.2014 la Sezione Staccata di Foggia della CTR Puglia, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal locale ufficio dell’Agenzia delle Entrate, ha proceduto a riformare la sentenza con la quale il giudice di primo grado, su ricorso del contribuente R.P., aveva annullato l’avviso di accertamento notificato al medesimo in dipendenza del rilevato scostamento tra i ricavi dichiarati per l’anno 2004 e i ricavi determinati in applicazione degli studi di settore.
Confermando la legittimità dell’impugnato atto impositivo, il giudice d’appello ha previamente respinto l’eccezione di estinzione del giudizio – sollevata dalla parte sul rilievo che il processo non era stato riassunto nel termine di sei mesi dall’ordinanza di rigetto della pregressa istanza di ricusazione da essa proposta – sulla base della considerazione “che il formale atto di riassunzione non è necessario se il processo non venga sospeso, ma semplicemente rinviato, in attesa della decisione sulla ricusazione, come avvenuto nella fattispecie”. Ha di poi osservato nel merito, in replica a quanto oppostamente argomentato dalla parte, che “non esiste alcuna violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente per l’omessa allegazione all’accertamento dello studio di settore TD20U relativo all’anno di imposta 2004”, dovendo presumersene l’allegazione in base all’elenco dei documenti allegati all’invito al contraddittorio e, comunque, non influendo la dedotta circostanza sulla validità dell’atto, avendo avuto il contribuente contezza dello studio di settore nel corso del contraddittorio; che “l’accertamento è legittimo, poiché non si fonda sul mero scostamento dagli studi di settore”, in quanto, operati gli aggiustamenti del caso, l’incongruenza rilevata non poteva considerarsi causale, non ravvisandosi altre cause, oltre quelle generiche indicato dal contribuente, in grado di influire negativamente sullo svolgimento dell’attività; che “è vero che lo studio di settore evoluto può essere applicato anche retroattivamente”, ma a condizione che siano rimaste immutate, tra le altre condizioni, la capacità reddituale del contribuente e la situazione economica del paese, sicché lo studio evoluto realizzato tenendo conto della crisi verificatasi tra il 2008 ed il 2009 non poteva essere applicato al 2004; che era, infine, accertata “la commistione tra la ditta individuale R. e la società a responsabilità limitata I. della quale il R. era rappresentante legale”, attesa l’identità dell’attività svolta e la comune ubicazione.
Avverso detta sentenza ricorre ora per cassazione il R. affidandosi a sette motivi, illustrati pure con memoria ex art. 378 c.p.c.
Non ha svolto attività difensiva l’erario.
1.2. All’udienza di discussione il collegio disponeva l’acquisizione del fascicolo processuale relativo ai pregressi gradi di merito e rinviava la causa a nuovo ruolo.
Consideratoin diritto
2.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente si duole per gli effetti dell’art. 360, comma primo n. 4, c.p.c. della violazione dell’art. 6, comma 3, D.lg. 546/92 in quanto, a seguito dell’istanza di ricusazione da esso proposta nei confronti del Presidente del collegio d’appello, le “testimonianze” afferenti all’incidente promosso sono state acquisite solo dal Primo Presidente della Commissione Tributaria Regionale e solo successivamente sono state trasmesse al collegio della ricusazione, laddove al contrario “tali testimonianze ed ogni altra attività istruttoria avrebbero dovuto essere assunte esclusivamente e direttamente dal collegio giudicante e non da un soggetto ad esso estraneo”, discendendone, perciò, “l’invalidità del procedimento e quindi della sua decisione finale con conseguente nullità della sentenza ora ricorsa”.
2.2. Il motivo è affetto da plurime ragioni di inammissibilità.
2.3.1. Va invero previamente ricordato che in base alla prescrizione recata dall’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., secondo cui “il ricorso deve indicare, a pena di inammissibilità, […] 4) i motivi per i quali si chiede la cassazione con l’individuazione delle norme di diritto su cui si fondono, secondo quanto previsto dall’art. 366-bis”, questa Corte ha reiteramente affermato con specifica afferenza al vizio qui denunciato che “il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., giusta disposto di cui all’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (13878/16; 12865/16; 3010/12).
2.3.2. Ora nella specie l’illustrazione del motivo è, con riguardo alla detta premessa di diritto, manifestamente manchevole, poiché omette di indicare quale sia l’affermazione operata in sentenza dal giudice territoriale sottoposta a censura, limitandosi ad esprimere una critica generica non avverso il giudizio di questo, che sia in contrasto con l’invocato principio di diritto e che giustifichi perciò la conferenza della formulata censura, ma avverso l’operato del Presidente della CTR, che è soggetto non solo estraneo al collegio deliberante nella specie, ma le cui determinazioni sono rimaste palesemente estranee alla deliberazione da questo assunta, non traducendosi infatti in alcuna specifica affermazione della sentenza qui impugnata che sia per questo meritevole di censura.
2.4. Il motivo difetta poi di autosufficienza. Come questa Corte ha precisato a più riprese, a seguito della novellazione dell’art. 366 c.p.c. ad opera dell’art. 5 L. 40/06 – che ha aggiunto ai precedenti il numero 6, in forza del quale “il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità … la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, codificando in tal modo il principio di autosufficienza, – il ricorso per cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (14784/15; 15952/07; 12362/06).
Nella specie l’illustrazione del motivo si rivela del tutto lacunosa, poiché manca ogni indicazione circa gli atti istruttori che il Presidente del consesso pugliese avrebbe irritualmente compiuto nel corso del procedimento, lamentandosi genericamente che questi avrebbe provveduto ad assumere talune “testimonianze”, senza offrire alcun ulteriore ragguaglio in proposito sulle modalità, sul tipo e sul contenuto degli atti assunti, sicché la doglianza nella laconicità della sua postulazione resta avvolta in un cono di manifesta genericità non altrimenti colmabile se non con il diretto esame degli atti processuale, in chiara violazione perciò del ricordato parametro autosufficienza del ricorso.
2.5. Da ultimo il motivo, a causa della sua prospettazione, porta pure a rilevare il difetto di interesse in capo al deducente a fame materia di impugnazione, dal momento che non essendo altrimenti chiarito in quali atti si sia concretato il denunciato vulnus di legittimità che inficierebbe il procedimento di ricusazione, non è dato cogliere – né in questo il ricorrente dà mostra di spendersi in modo adeguato, giustificando in tal modo il rilevato difetto di interesse – il nesso relazionale tra gli atti asseritamente viziati assunti nel corso del procedimento e l’esito finale dell’incidente processuale e dell’intera vicenda nel suo complesso, omettendo ogni considerazione che ne dimostri l’interesse attuale e concreto alla sollevazione della questione e lasciando che sia l’interprete a colmare anche in questo caso la lacuna che affetta il motivo.
3.1. Il secondo motivo imputa alla sentenza gravata la violazione dell’art. 52, comma 3, D.lg. 546/92, sempre per gli effetti dell’art. 360, comma primo n. 4, c.p.c. avendo la CTR rigettato l’eccezione di estinzione del relativo giudizio in difetto di tempestiva riassunzione dalla pronuncia dell’ordinanza che aveva deciso sulla ricusazione con l’argomento che “né il collegio con il giudice ricusato né il collegio chiamato a decidere sulla ricusazione hanno mai formalmente sospeso il processo”, vero al contrario che “a seguito della presentazione della istanza di ricusazione e della sua sicura ammissibilità (vagliata dallo stesso giudice ricusato) il processo doveva considerarsi automaticamente sospeso e quindi, lo stesso avrebbe dovuto essere riassunto nel termini di sei mesi dalla data della pubblicazione dell’ordinanza che aveva deciso sulla ricusazione”.
3.2. Il motivo è infondato.
3.3.1. Come invero si apprende dalla lettura dell’ordinanza emanata in chiusura dell’incidente di ricusazione in data 19.12.2012 – acquisita in via interlocutoria e che la Corte è abilitata ad esaminare in quanto giudice del fatto processuale – il collegio deliberante, rigettando l’istanza, afferma testualmente che “il giudizio deve proseguire non essendovi motivi per disporre la sospensione”. Questo conferma che, come era già arguibile dall’ordinanza adottata dal giudice a quo in data 5.11.2012 – ove a fronte della formulata istanza detto giudice si era limitato a disporre il rinvio della causa a nuovo ruolo “riservando al collegio chiamato a decidere sulla ricusazione la pronuncia di sospensione” – il processo, non sospeso in quella occasione, non lo è stato neppure in seguito, allorquando il giudice ad quem esaminando l’istanza ha ritenuto di doverla rigettare giudicandola infondata. Ne consegue che non essendo stata perciò disposta alcuna sospensione – né all’atto della rimessione dell’istanza di ricusazione del giudice a quo, né all’atto della decisione sulla stessa da parte del giudice ad quem – la circostanza afferente alla mancata riassunzione del giudizio nel termine dell’art. 43, comma 1, D.lg. 546/92 – a fronte della cui allegazione si era resa necessaria l’acquisizione del fascicolo processuale relativo al pregresso grado d’appello onde verificare se, a seguito della decisione sulla ricusazione, fosse stato dato l’avviso di cui all’art. 54, comma 4, c.p.c., applicabile al processo tributario ex art. 2, comma 2, D.lg. 546/92 – si rivela inconferente, dal momento che il processo non sospeso e già rinviato a nuovo ruolo, ha ripreso il suo normale corso mediante la fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 30, comma 1, D.lg. 546/92, senza che si rendesse necessaria la presentazione di apposita istanza volta alla sua riassunzione a mente dell’art. 43, comma 1, D.lg. 546/92 e senza che in difetto di essa se ne potesse dedurre l’estinzione per inattività delle parti (art. 45, comma 1, D.LG 546/92). Rettamente perciò la CTR, nel rigettare la relativa eccezione, ha potuto conclusivamente dichiarare che il “formale atto di riassunzione non è necessario se il processo non venga sospeso, ma semplicemente rinviato in attesa della decisione sulla ricusazione”.
3.3.2. Né è qui utilmente spendibile in contrario l’argomentazione secondo cui l’istanza di ricusazione determina ipso iure la sospensione del processo, poiché, seppur in tali termini si esprime l’art. 52, comma 4, c.p.c., nondimeno, come riconosciuto dal giudice delle leggi – che ha sul punto condiviso il conforme insegnamento di questa Corte circa la produzione dell’effetto sospensivo solo a seguito della positiva delibazione dell’istanza – l’apparente rigidità della formula pure consente al giudice di delibare preventivamente i presupposti formali della valida ricusazione ai fini della sospensione del giudizio, in tal modo escludendosi che un ricorso per ricusazione presentato senza rispettare le condizioni e i termini prescritti produca la sospensione del processo, non integrando esso la fattispecie che tale sospensione impone (C. Cost. 388/02). Pur, perciò, non dubitandosi che l’effetto sospensivo del giudizio si determini ex lege, sebbene non sia un effetto naturale dell’istanza, ciò è tuttavia frutto di una preliminare valutazione positiva da parte del giudice che sia investito della sua cognizione, in mancanza della quale il processo non soggiace ad alcuna forma di sospensione e prosegue il suo corso senza impedimenti di sorta, quantunque si debba poi osservare – ancora in replica ad una corrispondente obiezione del ricorrente che pone mente alla funzione di garanzia della sospensione – che il rinvio a nuovo ruolo disposto nella specie dal giudice a quo, precludendo ogni ulteriore attività processuale prima che l’incidente di ricusazione sia definito, pone il processo in uno stato di quiescenza, non diverso da quello che segue alla sua formale sospensione, di tal ché la funzione di garanzia che si lega a quest’ultima si realizza in pari modo anche se il processo non sia stato formalmente sospeso.
4.1. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta ex art. 360, comma primo n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. 212/00, 42, commi primo e terzo, D.P.R. 600/73 e 56, comma terzo, D.P.R. 633/72, poiché, malgrado si fosse eccepito fin dal giudizio di primo grado che all’avviso di accertamento notificato non era stato allegato il corrispondente studio di settore, il giudice d’appello, affermando il contrario, aveva “distorto” i fatti di causa posto che la mancata allegazione era stata riconosciuta dalla stessa Agenzia resistente, così come altrettanto erroneamente aveva ritenuto che la mancata allegazione fosse priva di effetti, essendo al contrario “preciso onere dell’Agenzia, al fine di rispettare il dato normativo, quello di allegare … lo studio di settore ed il suo prospetto di calcolo”.
4.2. Il motivo è infondato.
Ancorché la doglianza ricorrente sia prospettata in guisa di errore di diritto, la constatazione che il motivo evidenzi l’erroneità del convincimento espresso dal decidente sul presupposto che questi avrebbe ritenuto sussistente un fatto sostanziale – rappresentato nella specie dall’allegazione all’avviso di accertamento dello studio di settore applicato nella specie – altrimenti insussistente, in quanto, come testualmente dedotto, il detto documento “non era stato allegato né all’avviso di accertamento né all’invito al contraddittorio”, porta a ritenere – come del resto induce significativamente a credere il predicato “distorcere” in proposito impiegato dal ricorrente – che il motivo, malgrado la veste assunta, fuoriesca manifestamente dal perimetro del giudizio di legittimità descritto dagli artt. 360 e segg. c.p.c. per ricadere nell’ambito dell’errore revocatorio; come del resto questa Corte ha già affermato osservando – come qui ancora occorre osservare – che “costituisce errore di fatto deducibile, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., come motivo di revocazione della sentenza, quello che si verifica in presenza non già di sviste di giudizio, ma della percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto o di una dichiarazione che, invece, incontrastabilmente non risulta dai documenti di causa” (2668/16; 7488/11; 8251/03).
Altro e diverso, e non quello qui azionato, avrebbe dovuto perciò essere, se del caso, il rimedio da esercitare.
5.1. Violazione e falsa applicazione degli arttt. 39, comma primo e 42 D.P.R. 600/73 e dell’art. 2727 si argomenta ex art. 360, comma primo n. 3, c.p.c. con il quarto motivo di ricorso, poiché sebbene la CTR abbia ritenuto che l’accertamento operato nella specie sia legittimo perché non si fonda sul mero scostamento dagli studi di settore, “nel prosieguo della sentenza non indica quali sarebbero stati gli ulteriori elementi considerati che insieme agli studi di settore avrebbero indotto l’Agenzia (ed il giudice d’appello) a ritenere provati i maggiori ricavi accertati”, in tal modo “dando per scontato” che, assolvendo l’onere probatorio su di sé gravante, l’ufficio abbia dimostrato la validità degli studi di settore applicati nella specie, ancorché al contrario si fosse dimostrata a mezzo di produzioni eseguite nel corso del giudizio (prospetti relativi a realtà diverse per oggetto e per territorio portanti il medesimo risultato) la loro inidoneità a fotografare la realtà aziendale di esso ricorrente.
5.2. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
5.3.1. E’ invero destituito di ogni attendibilità in diritto laddove allega che la CTR, avallando la legittimità dell’accertamento, ciò avrebbe fatto sulla base di una creduta autosufficienza probatoria degli elementi indiziari estrapolati dagli studi di settore, assumendone “aprioristicamente” l’applicabilità al caso di specie pur senza indicare quali ulteriori ragioni avessero indotto l’Agenzia a ritenere provati i maggiori ricavi accertati. L’allegazione è smentita dalla lettura della sentenza che, in linea con l’insegnamento di questa Corte in ordine alla valenza probatoria ascritta ai dati di derivazione parametrica, ha intessuto il proprio giudizio muovendo dall’iniziale constatazione della legittimità nella specie dell’operato accertamento in quanto non fondato sul mero “scostamento dagli studi di settore” e, dando seguito a questa premessa – di cui si dà cura di ripercorrere minutamente gli sviluppi fattuali che ne erano scaturiti, riepilogando le rettifiche che l’ufficio aveva ritenuto di apportare al risultato di verifica all’esito del contraddittorio – perviene al conclusivo convincimento, motivato precipuamente in considerazione del fatto che, oltre all’annualità in verifica anche per altre due precedenti e successive annualità il contribuente non era risultato congruo, che, così come allegato dall’ufficio, “l’incongruenza rilevata non poteva considerarsi casuale e relativa al solo anno preso in esame in quanto si era verificata anche negli anni precedenti e successivi”, in tal modo giudicando la posizione del contribuente “non credibile” e addossando rettamente al medesimo la prova che lo scostamento rilevato fosse da attribuire “a circostanze particolari”.
5.3.2. Il motivo è per contro inammissibile laddove rappresenta che la CTR non avrebbe tenuto in debito conto, onde rivedere l’attendibilità del riscontro parametrico operato nella specie dall’ufficio, delle circostanze in senso ostativo allegate da esso ricorrente nel corso del giudizio. In tal modo, mostrandosi in particolare dimentico del precetto secondo cui spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, il ricorrente, riproponendo all’attenzione della Corte quelle circostanze che il giudice d’appello avrebbe “degradate” o non avrebbe esaminate, ne sollecita un inammissibile sindacato di fatto che è estraneo ai compiti di questa Corte non essendo essa, com’è noto, giudice del fatto sostanziale.
6.1.1. Con il quinto motivo di ricorso il R. deduce a mente dell’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata in ordine all’invocata applicazione nella specie degli studi di settore più evoluti, l’apparenza della motivazione risultando in ragione del fatto che la CTR “tace”, omettendo ogni commento, in ordine alla circostanza che era stata la stessa Agenzia a ritenere lo studio di settore indicato dal contribuente “ove più favorevole poteva essere applicato anche agli anni precedenti, compreso il 2004”, che lo studio di settore di cui si era auspicata l’applicazione nella specie “riguardava un periodo (il 2006) non interessato da alcuna particolare crisi di settore”, che non era dato intendere come si fosse potuto ritenere che lo studio di settore più evoluto “tenesse conto della crisi generalizzata che ha colpito i settori di produzione negli anni 2008 e 2009”, tenuto conto del fatto che quanto al 2008, l’Agenzia non disponeva “dei dati contabili di tale annualità” e quanto al 2009 che “lo studio di settore era stato pubblicato a marzo 2009”, che lo studio di settore più evoluto “restituiva la congruità dei valori dichiarati senza l’utilizzo di alcun correttivo anticrisi”.
6.1.2. Vizio di motivazione apparente si allega ex art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. pure con il settimo motivo di ricorso in quanto, nella parte in cui, prendendo in esame i rapporti tra l’impresa del contribuente e quella per conto della quale la prima prestava la propria attività in regime di subappalto ed affermando che l’attività della prima doveva essere considerata come svolta interamente nei confronti dei clienti finali, la motivazione risulta sul punto chiaramente “apparente” in quanto omette del tutto di motivare quale sia il nesso logico che permette di spiegare “l’illogica conclusione” secondo cui i ricavi della committente subappaltatrice dovrebbero essere attribuiti alla ditta individuale del contribuente.
6.2. Entrambi i motivi – che possono essere esaminati congiuntamente in ragione dell’unitarietà della censura – sono infondati.
E’ di tutta evidenza che, in disparte dalla considerazione suggerita dal concreto contenuto che il deducente ha impresso alle rimostranze enunciate con i motivi in esame – che affondano le loro radice in una diversa valutazione delle risultanze di fatto emerse dal processo e si tramutano perciò in una rinnovata istanza di riesame a cui questa Corte non può accedere – il vizio denunciato nella specie è frutto di incongrua rappresentazione e nei termini formulati non soddisfa il paradigma normativo della motivazione apparente.
Come invero si insegna stabilmente, il vizio di motivazione apparente ricorre allorché il giudice di merito ometta di indicare, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (9113/12; 1756/06; 2067/98). Esso non è perciò riconoscibile nel caso concreto, posto, quanto alle lagnanze esternate con il quinto motivo di ricorso, che la CTR, lungi dall’astenersi dal dovere motivazionale o dall’assolvere il medesimo senza chiarire le ragioni del proprio convincimento, giuste o sbagliate che siano – ma se di questo il ricorrente si fosse voluto dolere, sotto altra e diversa veste avrebbe dovuto sollecitare il sindacato di questa Corte – quelle ragioni ha invece diffusamente declinato osservando a conforto dell’inapplicabilità di esso affermata nella specie, “che lo studio evoluto invocato dal contribuente per la prima volta nel ricorso introduttivo tiene sostanzialmente conto della crisi che ha investito in maniera generalizzata tutti i settori della produzione negli anni 2008 e 2009” e “di conseguenza non può essere applicabile automaticamente all’anno di imposta 2004”; e posto, quanto al settimo motivo, che parimenti la CTR non è venuta meno al compito assegnatole di motivare la propria decisione – anche qui senza che il motivo possa autorizzare la Corte a scrutinare la meritevolezza del giudizio in tal modo espresso – recependo e facendo affermativamente proprie le deduzioni dell’ufficio ovvero statuendo che la stretta interelazione tra la I. ed il R. era comprovata dal fatto che quest’ultimo ne fosse il legale rappresentante, che le attività erano identiche e che entrambe le ditte avevano la sede nel medesimo luogo.
7.1. Il sesto motivo lamenta ex art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, poiché sebbene si fosse dedotta, sul rilievo che lo studio di settore restituiva sempre lo stesso risultato sia che l’attività fosse svolta a S., sede dell’impresa, o presso una qualsiasi altra località, l’assoluta inattendibilità dello strumento accertativo utilizzato dall’Agenzia, su tale fatto decisivo “il giudice di appello non spende neppure una parola nonostante che la questione sia stata ripetutamente portata all’attenzione e nonostante le ripetute osservazioni di entrambe le parti”.
7.2. Il motivo è infondato.
Trattandosi invero di fatto secondario – atteso che esso non si risolve nella deduzione di una circostanza che modifichi o estingua il fatto costitutivo della pretesa rappresentato nella specie dal rilevato scostamento reddituale – l’allegazione in parola può essere fonte solo di argomento di prova in favore di un fatto principale, ma, fermo che, come è noto, il giudice non è tenuto ad esplicitare, per ogni argomento di parte, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante – onde già per questo profilo la sua negligenza non è decisiva -, va detto che alla luce del complessivo giudizio espresso dal giudice territoriale in ordine all’attendibilità del riscontro reddituale offerto dagli studi di settore – in particolare sottolineando, come si è già avuto occasione di notare, che i dati indiziari emersi dalla loro applicazione erano confermati nella specie dalla reiterata condizione di incongruenza del contribuente, nonché dalla genericità delle sue obiezioni – il rilievo, su cui si appunta il motivo, non si rivela provvisto di alcuna decisività in grado di orientare diversamente il ragionamento decisorio sviluppato dal decidente, la cui logicità, lungi dal poter essere messa in discussione dall’omessa valutazione di un’allegazione fattuale che non ha la dignità del fatto principale, è qui assicurata con motivazione congrua ed adeguata dal positivo apprezzamento che il giudice del merito ha inteso accordare ad altre circostanze di prova.
8. Il ricorso va dunque respinto.
Nulla per le spese in difetto di costituzione avversaria.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, D.lg. 115/02.
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