CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 novembre 2016, n. 24460
Bando di concorso – Diploma di scuola secondaria superiore – Riqualificazione professionale – Interpretazione – Titolo d’istruzione.
Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 763/10, rigettava l’impugnazione proposta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nei confronti di A.M., avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Trapani n. 282 del 27 aprile 2007.
2. Il Tribunale aveva riconosciuto alla lavoratrice, dipendente del suddetto Ministero inquadrata nella categoria C1 Super, il diritto alla partecipazione al corso di riqualificazione per il passaggio alla posizione C2, indetto con il bando di selezione del 4 aprile 2001.
In particolare, il Tribunale, premesso che il CCNL (all. A CCNL Ministeri del 16 febbraio 1999) richiedeva come requisito di ammissione alla procedura di riqualificazione, il possesso di diploma di scuola secondaria superiore, riteneva l’illegittimità del bando di selezione nella parte in cui aveva prescritto il possesso del diploma di scuola secondaria di durata di cinque anni, e previa disapplicazione dello stesso, aveva ritenuto che il titolo di studio posseduto dalla lavoratrice (diploma di scuola magistrale della durata di tre anni) fosse idoneo a consentire la partecipazione al concorso in base alla normativa contrattuale.
3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il Ministero prospettando un motivo di impugnazione.
4. Resiste la lavoratrice con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della sentenza con motivazione semplificata ai sensi del decreto del Primo Presidente della Corte di cassazione in data 14 settembre 2016.
2. Con l’unico motivo di ricorso, il Ministero prospetta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 191 del d.lgs. n. 297/1994, nonché dell’art. 15 del CCNL Comparto ministeri sottoscritto il 16 febbraio 1999, in relazione all’art. 360, n. 3, cpc.
Espone il ricorrente, nel richiamare il testo dell’art. 191 citato, che la Corte d’Appello attribuiva rilievo ai commi 1 e 2, secondo i quali, rispettivamente “L’istruzione secondaria superiore comprende tutti i tipi di istituti e scuole immediatamente successivi alla scuola media; ad essi si accede con la licenza di scuola media”.
“Sono istituti e scuole di istruzione secondaria superiore il ginnasio-liceo classico, il liceo scientifico, gli istituti tecnici, il liceo artistico, l’istituto magistrale, la scuola magistrale, gli istituti professionali e gli istituti d’arte”, ma trascurava quanto sancito dal comma 3 del medesimo art. 191, che riserva l’accesso agli studi universitari a chi abbia conseguito la maturità dopo un corso di studi di cinque anni.
Il corso di studi triennale frequentato dalla lavoratrice non era equiparabile a quello di scuola secondaria superiore, come si evinceva anche dall’art. 194 del d.lgs. n. 297 del 1994. A sostegno delle proprie argomentazioni richiamava giurisprudenza amministrativa e deduceva l’erronea interpretazione delle clausole del CCNL.
3. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.
La declaratoria contrattuale in questione richiedeva, per l’accesso alla procedura di riqualificazione in questione il possesso del diploma di scuola secondaria superiore.
Tale è la scuola magistrale ai sensi dell’art. 191, comma 2, del d.lgs. n. 297 del 1994.
In tal senso si è già pronunciata questa Corte con la sentenza S.U. n. 26281 del 2009, laddove, nel vagliare i requisiti per partecipare ad una selezione interna, si è affermato, con argomentazioni che si condividono, “Non è contestato che le attuali contro ricorrenti siano in possesso del “titolo di studio di scuola media superiore” e cioè del diploma di scuola magistrale, la quale rientra, ai sensi del d.lgs. n. 297 del 1994, tra le scuole di istruzione secondaria superiore. Tanto sembra sufficiente ad integrare le previsioni del CCNL e del bando, dal momento che questi fanno esclusivo riferimento al tipo del titolo di studio, tacendo su quale dovesse esserne la durata, di talché, seguendo la interpretazione propugnata dall’Istituto ricorrente, si finirebbe con l’imporre, per la partecipazione al concorso, una ulteriore condizione, non prevista”.
4. Il ricorso deve essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro tremila per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15 per cento e accessori di legge.
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