CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 gennaio 2018, n. 2385
Dichiarazione dei redditi – Stati a fiscalità privilegiata – Paesi ” black list” – Tardiva presentazione della dichiarazione integrativa – Sanzioni
Fatti di causa
La G.d.f. redasse, nel 2006, un p.v.c. con cui contestò alla F.I. s.p.a., per gli anni d’imposta dal 2002 al 2004, la mancata separata indicazione nella dichiarazione delle spese e delle altre componenti negative di reddito derivanti da operazioni intercorse con soggetti domiciliati nei paesi inclusi nella cd. black list.
In corso di verifica fiscale, la stessa società presentò una dichiarazione integrativa, di cui all’art. 2, 8°c., del d.p.r. n. 322/98, al fine di sanare l’omessa indicazione delle suddette operazioni; sulla scorta di tale rilevazione, fu emesso un atto di contestazione ed irrogazione di sanzioni, per il 2004, nella misura del 10%, ai sensi dell’art. 8, comma 3bis del d.lgs. n. 471/97, senza riprendere a tassazione i costi relativi alle medesime operazioni.
La società impugnò tale atto con ricorso accolto dalla Ctp, che accertò la regolarità della presentazione della dichiarazione integrativa.
L’ufficio propose appello, accolto dalla Ctr che ha ritenuto inefficace la dichiarazione integrativa poiché presentata dopo l’inizio della verifica e non corredata dal pagamento della sanzione.
La F.I. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste l’Agenzia con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis, c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo è stata denunziata la violazione o falsa applicazione dell’art. 8, 1°c., del d.lgs. n. 471/97 e dell’art. 2, 8°c., del d.p.r. n. 322/98, avendo la Ctr erroneamente interpretato il predetto art. 8, nel senso della obbligatorietà del pagamento delle sanzioni, anticipato o coevo alla presentazione della dichiarazione integrativa, quale condizione necessaria per la validità della dichiarazione integrativa.
Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla mancata valutazione dell’irrogazione della sanzione per violazioni formali, a norma dell’art. 360, 1°c., n.5, c.p.c.
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo non può essere accolto.
Al riguardo, la Corte ritiene di dare continuità al consolidato orientamento secondo cui, in tema di reddito d’impresa, all’esito delle modifiche retroattive introdotte dall’art. 1, commi 301, 302 e 303 della legge n. 296 del 2006 e prima di quelle di cui alla legge n. 208 del 2015, applicabili a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, la separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi ” black list”) è un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità e la cui violazione espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa ex art. 8, comma 3 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1, a ciò non ostando la presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, ove operata dal contribuente dopo l’avvio dei controlli (Cass., n. 11933/16; n. 5085/17).
In particolare, la giurisprudenza della Corte è granitica nel ritenere che dopo la contestazione della violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, essendo indubbio che, ove fosse possibile procedere alla correzione della dichiarazione dei redditi sino al momento dell’accertamento definitivo del maggior reddito, la correzione stessa cesserebbe di essere un rimedio accordato dal legislatore per ovviare ad un errore del contribuente per trasformarsi in un mezzo elusivo delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza delle disposizioni relative alla compilazione delle dichiarazioni dei redditi (Cass., n. 5398/12; n.20081/14; n. 2612/2015; n. 4030/2015).
Inoltre, la Corte ritiene di ribadire che l’ammissibilità della possibilità di emenda ex post allo stesso accesso, ispezione, verifica e quant’altro si porrebbe in manifesto contrasto oltre che con il principio di effettività della sanzione (venendo ad elidere lo stesso esercizio del jus puniendi della P.A.) anche con i principi di efficienza e buon andamento della Amministrazione finanziaria ex art. 97 Cost., in quanto verrebbe a vanificare le attività ispettive e di controllo svolte dagli uffici finanziari, demandando al contribuente la scelta di evidenziare o meno nella dichiarazione fiscale i costi relativi ad operazioni indicate dal Legislatore come altamente sospette in relazione alla tipologia dei soggetti esteri con le quali vengono intrattenute, consentendo di sanare ex post la “irregolarità” mediante presentazione di una dichiarazione integrativa, secundum eventum inspectionis con evidenti effetti pregiudizievoli sullo scopo antielusivo della norma e sulla stessa efficacia dei controlli (Cass., n. 14999/15).
Nel caso concreto, non è dubbio ed è incontestato che la società ricorrente presentò la dichiarazione integrativa, di cui all’art. 2, comma 8, del d.p.r. n. 322/98- sanando così l’omessa indicazione delle operazioni intercorse con soggetti residenti in paesi a fiscalità privilegiata- solo nel corso della verifica fiscale; ne consegue, per quanto esposto, che tale dichiarazione sia da considerare inefficace in ordine alla regolarizzazione dell’omissione, non precludendo l’applicazione della suddetta sanzione.
Va altresì rilevato che è del tutto irrilevante, non giovando alla tesi sostenuta dalla parte ricorrente, il fatto che l’ufficio non abbia ripreso a tassazione i costi delle operazioni commerciali realizzate con soggetti operanti nei paesi a fiscalità privilegiata, riconoscendo la deducibilità degli stessi costi, in quanto il richiamato costante orientamento della Corte ritiene che la mera tardiva dichiarazione integrativa, nel corso della verifica o degli accessi dell’ufficio, integri una violazione legittimante la sanzione applicata.
Il secondo motivo è inammissibile per due profili.
Anzitutto, la questione della tipologia di sanzione applicabile non ha costituito oggetto del giudizio d’appello, considerando che il contribuente impugnò l’atto di contestazione delle sanzioni unicamente sulla base della regolarità della dichiarazione integrativa, come si evince dalla sentenza della Ctr; inoltre, la società ha erroneamente censurato la sentenza d’appello deducendo il vizio di cui all’art. 360, n.5, c.p.c., pur avendo lamentato esclusivamente l’omesso esame della questione dell’applicabilità della sanzione in misura fissa, di cui all’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 471/97.
Al riguardo, secondo il consolidato orientamento della Corte, l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede “l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., n. 21152/14; n. 17761/16).
Nella fattispecie, la società ricorrente ha dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ma rappresentando, in sostanza, non un fatto naturalistico o circostanza in senso storico, ma una mera questione di diritto afferente alla corretta applicazione della tipologia di sanzione conseguente alla tardiva presentazione della dichiarazione integrativa, in corso di verifica.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di euro 3300,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo del contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo.
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