CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 gennaio 2018, n. 2392
Riscossione delle imposte – Modalità – Versamento diretto – Rimborsi – Credito esposto in dichiarazione – Mancata adozione di provvedimento da parte dell’Amministrazione – Scadenza del termine per l’accertamento – Cristalizzazione del diritto del contribuente
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con due motivi avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, in epigrafe indicata, che, in parziale riforma della prima decisione – in controversia concernente plurime impugnazioni avverso il silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione in merito ad istanze di sollecito di rimborso di residui importi di crediti IRPEG già esposti nei rispettivi Mod. 760 per gli anni di imposta 1986-1989 – accogliendo l’appello della parte privata, ha ritenuto applicabile l’art. 2, comma 58, della legge n. 350/2003 anche agli interessi di legge, in quanto accessori del credito di imposta, ritenendo che il debito di capitale e quello per interessi dovessero essere assoggettati alla medesima disciplina; inoltre, accogliendo in parte l’appello incidentale dell’Ufficio, ha escluso il riconoscimento degli interessi anatocistici ex art. 1283 cod. civ., sulla considerazione che, nel caso in esame, la proposizione di detta autonoma domanda (dicembre 2006) era intervenuta quando era già in vigore (dal 04.07.2006) l’art. 37, comma 50, del d.l. n. 223/2006, che aveva stabilito che gli interessi previsti per il rimborso dei tributi non producevano in nessun caso interessi ai sensi dell’art. 1283 cod. civ.
Resiste con controricorso e ricorso incidentale fondato su tre motivi la società A.G. SPA, in proprio e quale incorporante di I. SPA, che deposita anche memoria.
Ragioni della decisione
1.1. La prima censura del ricorso principale – per violazione e falsa applicazione dell’art. 2948, n. 4, cod. civ. e dell’art. 2, comma 58, della legge n. 350/2003 (relativamente ai ricorsi originari nn. 9, 10, 11) ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – concerne l’accoglimento della domanda di sollecito del rimborso degli interessi sui crediti esposti nei modelli annuali 1987, 1988 e 1986, utilizzati interamente in compensazione con l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione degli immobili delle imprese nella dichiarazione dei redditi 1991, presentata in data 16.05.2006. Con la statuizione denunciata la CTR ha affermato che il debito per capitale ed il debito per interessi devono essere considerati in termini unitari e che la disposizione dell’art. 2, comma 58, della legge n. 350/2003 va applicata non solo per il rimborso dell’imposta, ma anche per gli interessi.
1.2. La censura è fondata e la statuizione sul punto va riformata.
1.3. Innanzi tutto non può condividersi la premessa in merito alla considerazione in termini unitari del debito per capitale e del debito per interessi: va infatti ribadita l’autonomia causale delle due obbligazioni e la natura di accessorietà solo genetica tra interessi e capitale, che rende i relativi diritti suscettibili di negoziazione autonoma (Cass. nn. 23746/2007, 17020/2014).
1.4. Va altresì esclusa la estensione dell’applicazione dell’art. 2, comma 58 cit, anche agli interessi.
L’art. 2, comma 58, della legge n. 350/2003 prevede «Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con contribuenti, e di rimborso delle imposte, l’Agenzia delle entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti»
È stato già affermato che i limiti alla proponibilità della eccezione di prescrizione del diritto di credito di imposta, posti dall’art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 si sostanziano in un mero invito rivolto agli uffici, non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice (Cass. SU n. 2687/2007, sez. semplice nn. 4786/2009, 7706/2013): ne consegue che tale disposizione, relativa solo all’imposta e non agli interessi, non può essere estesa in via analogica perché costituisce solo “un mero invito”, invito che, ad ogni modo, l’Agenzia nel caso di specie non ha affatto seguito per gli interessi.
2.1. La seconda censura del ricorso principale, per insufficiente motivazione (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), concerne il riconoscimento del maggior danno ex art. 1224 cod. civ. per rivalutazione monetaria, sulla considerazione che la parte privata aveva provato che i suoi investimenti le avevano assicurato nel periodo una elevata redditività.
2.3. La doglianza è fondata.
2.4. Invero la decisione è adesiva e meramente riproduttiva delle ragioni della società, senza che sia possibile comprendere come sia stato calcolato questo risarcimento, e se si sia tenuto conto di quanto già liquidato a titolo di interessi moratori.
Va, pertanto, ribadito il principio secondo il quale «In tema di obbligazioni pecuniarie costituite dai crediti di imposta, cui non sono applicabili gli artt. 1224, comma 1, e 1284 c.c., stante la speciale disciplina di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 602 del 1973, la particolarità della fattispecie tributaria impone un’interpretazione restrittiva dell’art. 1224, comma 2, c.c., sicché il creditore non può limitarsi ad allegare la sua qualità di imprenditore e a dedurre il fenomeno inflattivo come fatto notorio, ma deve, alla stregua dei principi generali dell’art. 2697 c.c., fornire indicazioni in ordine al danno subito per l’indisponibilità del denaro, a cagione dell’inadempimento, ed offrirne prova rigorosa» (Cass. n. 7803/2016, 16078/2017): su tali profili la statuizione impugnata appare insufficientemente motivata e va emendata.
2.1. Il ricorso incidentale concerne la statuizione con la quale la CTR ha respinto la richiesta di rimborso relativa alla residua porzione del credito risultante dalla dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 1991, riformando la prima decisione.
2.2. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per avere violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo la CTR ignorato l’eccezione della società secondo la quale, in assenza di contestazioni nei termini previsti dall’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 e 43 del d.P.R. n. 600/1973, il credito di imposta era da ritenere definitivamente accertato. La stessa questione è riproposta come vizio motivazionale con il secondo motivo e come violazione di legge con il terzo motivo.
2.3. I tre motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione e vanno respinti perché infondati.
2.4. Alla fattispecie in esame trova applicazione il principio espresso dalle Sezioni Unite, secondo il quale «In tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum». (Cass. SU n. 5069/2016).
3.1. In conclusione il ricorso principale va accolto su entrambi i motivi ed il ricorso incidentale va rigettato; la sentenza impugnata va cassata nei limiti dei motivi accolti e rinviata alla CTR del Lazio in diversa composizione per il riesame e per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– Accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione per il riesame e per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
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