CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 gennaio 2018, n. 2393
Tributi – IVA – Compravendita veicoli usati – Regime del margine – Presupposto – Imposta assolta a monte – Onere di verifica dei precedenti proprietari in capo al rivenditore – Prova di buona fede
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, in epigrafe indicata, che ha confermato la prima decisione, che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti di I.C. SRL per IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno 2000.
2. Il giudice di appello ha ritenuto che l’Amministrazione non avesse fornito alcuna prova a sostegno della pretesa, ma si fosse limitata a fare proprie le conclusioni dei verificatori senza valutazione autonoma e critica delle stesse e, considerata anche l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Cassino nei confronti dell’amministratore della società contribuente in merito all’acquisto di autovetture in violazione del regime del margine, ha confermato l’annullamento dell’avviso.
3. La contribuente resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1.1. Preliminarmente vanno esaminate e respinte le eccezioni sollevate dalla controricorrente in merito al ricorso.
1.2. La prima, relativa alla mancanza della procura speciale alle liti dell’Avvocatura dello Stato, è infondata.
Come già affermato da questa Corte, con principio che qui è ribadito, «In tema di contenzioso tributario, ed alla stregua di quanto sancito dall’art. 72 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, le agenzie fiscali possono avvalersi per la loro rappresentanza in giudizio del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 43 del T.U. approvato con r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, senza che occorra a tal fine un mandato alle liti o una procura speciale, restando i rapporti tra Direttore dell’agenzia ed Avvocatura erariale in ambito meramente interno» (Cass. n. 13156/2014).
1.3. L’eccezione di violazione del principio di autosufficienza è infondata, poiché il ricorso nella sua formulazione consente di ripercorrere tutte le fasi processuali e la vicenda oggetto della controversia con adeguatezza; il ricorso, inoltre, pur presentandosi come “farcito”, non va dichiarato inammissibile poiché il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, può essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, appare in linea con gli ordinari criteri ex art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. in relazione ai singoli motivi (Cass. nn. 18363/2015, 12641/2017).
1.4. L’eccezione concernente la mancata formulazione dei quesiti nel ricorso è infondata.
La sentenza impugnata, in quanto pubblicata in data 25.11.2009, non è soggetta al regime dei quesiti dettato dalla disciplina transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, e successivamente abrogato, dell’art. 366-bis cod. proc. civ..
2.1. Con il primo motivo la Agenzia denuncia la violazione degli artt.2697 cod. civ. e 36 e 38 del d.l. n.41/1995, conv. dalla legge n.85/1995, in merito al regime probatorio applicato dalla CTR con riferimento alle contestazioni mosse per violazione del c.d. regime del margine. Con il secondo lamenta la insufficiente motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime del margine, laddove in sentenza è affermato che dalla documentazione in atti emergerebbe che «molti degli acquisti contestati come acquisti intracomunitari risultano effettuati da terzi senza la dovuta autorizzazione della ditta», senza tuttavia esplicitare le ragioni e gli elementi di tale convincimento.
2.2. I motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione. Sono fondati e vanno accolti.
2.3. Trova applicazione il principio secondo il quale «In tema di IVA, il regime del margine – previsto dall’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, conv. con modif. in I. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto.
Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se I’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole» (Cass. SU. n. 21105/2017, Virgilio).
2.4. Orbene nel caso di specie, la CTR non si è attenuta a questo principio.
Invero la CTR non ha esaminato gli elementi oggettivi offerti dall’Amministrazione, concernenti, tra gli altri, l’epoca di immatricolazione ed il chilometraggio già maturato dai veicoli, rilevanti ai fini della qualifica degli stessi come “nuovi”, nonché la qualità dei cedenti comunitari, come si evince dal ricorso ove sono trascritti per autosufficienza stralci del pvc e dell’atto impositivo, elementi che solo ove ritenuti non rilevanti avrebbero potuto esonerare la contribuente dall’onere della prova volta a dimostrare la ricorrenza dei presupposti applicativi richiesti dalla legge e della sua buona fede. Ed ancora ha affermato erroneamente, alla luce di quanto chiarito dalle Sezioni Unite, che l’onere della prova spetta all’Amministrazione.
3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 56, comma 5, del d.P.R. n. 633/1972, 7 della legge n. 212/200, 36 e 38 del d.l. n. 41/1995, conv. dalla legge n. 85/1995, in merito al riconoscimento della sussistenza del vizio motivazionale dell’atto impositivo.
3.2. Il motivo è fondato e va accolto.
3.3. L’art. 7, comma 1, della I. n. 212 del 2000, che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già avuto integrale e legale conoscenza, consente di assolvere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche per relationem, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. (Cass. nn.9323/2017, 15327/2014).
3.4. A ciò va aggiunto che la motivazione per relationem non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, giacché ciò significa semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. n. 21119/2011).
Ne consegue la erroneità della decisione impugnata, che va sul punto emendata, laddove ha ritenuto insufficiente a soddisfare l’onere motivazionale per l’avviso, la adesione dell’Amministrazione alle conclusioni raggiunte dai verificatori “senza alcuna valutazione autonoma e/o critica delle stesse” (fol. 2 della sent.).
4.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 654 cod. proc. civ., 36 e 38 del d.l. n. 41/1995, conv. dalla legge n. 85/1995, 56, comma 5, del d.P.R. n. 633/1972, per avere omesso la CTR di effettuare una propria ed autonoma valutazione degli elementi probatori acquisiti nel processo penale celebratosi nei confronti del legale rapp. p.t. della società.
4.2. Il motivo è fondato.
4.3. Giova ricordare che nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio (Cass. nn. 19786/2011, 16262/2017).
Nel caso in esame la CTR non ha operato correttamente poiché si è limitata ad un recepimento acritico delle conclusioni raggiunte in sede penale.
5.1. In conclusione il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR del Lazio in diversa composizione per il riesame e per le statuizioni sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– Accoglie il ricorso, cassa e rinvia la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio in diversa composizione per il riesame e per le statuizioni sulle spese del giudizio di legittimità.
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